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Coronavirus, annata disastrosa per le carni ovine

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Il settore ovicaprino pagherà un caro prezzo per l’emergenza coronavirus. L’annata 2020 avrà un esito disastroso, come ricorda Ismea. L’Istituto di Servizi per il mercato agricolo alimentare ha diffuso i dati relativi al comparto carni nel 2019 e delle valutazioni relative ai primi mesi dell’anno. Consumi crollati, meno macellazioni e anche meno prodotti importati per le conseguenze della gestione della pandemia. 

La filiera ovicaprina è caratterizzata da consumi stagionali e concentrati in due periodi dell’anno: nelle feste di Natale e di Pasqua. Un agnello su tre, prodotto nell’anno, è infatti consumato proprio a Pasqua. Negli ultimi cinque anni il volume di carne ovina è diminuito del 21%, soprattutto per il consolidarsi di regimi alimentari con minore o nullo consumo di carne. Su questo scenario si abbatte il forte calo dei consumi della Pasqua di quest’anno. La domanda si è contratta su tutti i fronti, dai consumi domestici alla chiusura del canale Horeca. Già nel primo trimestre gli acquisti erano diminuiti dell’1% su base tendenziale. 

Il calo della domanda si è poi riverberato sulla riduzione delle macellazioni; anche la Gdo ha diminuito la domanda. La minore attività dei macelli – come riferito da alcuni operatori – ha pagato anche la flessione delle importazioni di agnelli vivi soprattutto da Romania e Bulgaria. Nel 2019 il numero di capi macellati è rimasto invece stabile.

Mercato all’origine 

L’effetto sul mercato è stato una riduzione delle richieste dai macelli con la conseguente offerta abbondante di capi. I prezzi, invece che andare incontro al tradizionale balzo, hanno visto una leggera flessione: le quotazioni degli agnelli hanno perso il 15% (3,69 euro al Kg nella settimana di Pasqua). Anche all’ingrosso c’è stata una flessione del 13% rispetto alle scorse festività pasquali per la carne di agnello, a 7,06 euro a Kg peso carcassa. Ha contribuito, inoltre, la minore pressione esercitata sul prodotto nazionale dai capi importati.

Per il settore – una filiera agroalimentare svantaggiata, con limitazioni strutturali che, ad esempio, le impediscono di praticare economie di scala e di vantare un adeguato potere contrattuale con la Gdo per le carni – sono state previste delle misure anti-crisi. Il ministero delle Politiche agricole e le Regioni hanno raggiunto l’intesa sulla concessione di aiuti agli allevatori, sia per capi Igp che non, per due annualità, dal valore complessivo di 7,5 milioni di euro. 

Import

Un’altra caratteristica strutturale del settore delle carni ovicaprine è la dipendenza dall’estero per la fornitura di capi vivi e carni. Nel 2019 la bilancia commerciale ha raggiunto i 178 milioni di euro di deficit circa. Ma per entrambe le categorie di prodotto l’emergenza coronavirus – come anticipato – sta limitando le importazioni.

Per i capi vivi nel 2019 l’import è risultato in calo: -14% rispetto al 2018 (-25% negli ultimi cinque anni). Lo scorso anno, inoltre, si è leggermente modificata la geografia degli approvvigionamenti: più capi da Spagna e Polonia, meno dai Paesi dell’Est (Romania e Ungheria: -22% e 15% rispettivamente).

Sul fronte della carne fresca, invece, se il quinquennio precedente al 2019 era stato caratterizzato da un contenimento delle spedizioni, nel 2019 c’è stato un balzo di oltre il 6%. Un dato che potrebbe spiegarsi con il miglioramento dei consumi fuori casa. Invariata la rosa dei partner commerciali con, tuttavia, un aumento di prodotto da Spagna e Regno Unito (+14,7% e +8%), Grecia e Irlanda. Meno carne fresca dalla Francia, che resta comunque il terzo Paese esportatore di carne ovicaprina dell’Italia.

 

Foto: Pixabay

redazione