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I principali player dell’industria mangimistica europea: il ruolo dell’Italia

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L’industria mangimistica è uno dei settori dell’alimentare più fortemente integrato con la fase agricola, che, a monte del processo produttivo, fornisce le materie prime vegetali ed a valle, con l’allevamento, rappresenta il mercato di destinazione finale dei mangimi.

Il suo sviluppo nell’Unione Europea è quindi coerente con la vocazione zootecnica dei diversi paesi membri (Figura 1). A fronte di una produzione europea di mangimi pari a circa 160 milioni di tonnellate, i principali paesi sono Germania, Spagna, Francia (con un’incidenza oscillante fra il 13-15%), seguiti da Regno Unito, Olanda, Italia ed infine Polonia (che si attestano fra il 7-10%). Complessivamente in questi sette big player si concentra il 77% dei volumi di mangimi prodotti nell’Unione Europea.

Tra i diversi paesi esistono però differenze rilevanti nel modello e nel tessuto produttivo, così come nello scenario competitivo. Una lettura delle caratteristiche dei diversi sistema-paese fornisce perciò utili indicazioni per comprendere quali siano le peculiarità dell’Italia rispetto agli altri competitor.

Innanzitutto i paesi mostrano una diversa specializzazione produttiva. In Italia, come in Francia, la produzione di mangimi è distribuita fra le diverse specie zootecniche, sebbene vi sia una prevalenza di quella destinata al comparto avicolo. Gli altri paesi mostrano viceversa una maggiore focalizzazione: in Polonia la prevalenza della produzione di alimenti zootecnici è destinata all’avicolo; questo comparto riveste ampia importanza anche nel Regno Unito, affiancato da quello bovino. In Spagna, Germania e Olanda, infine, maggiore rilevanza rivestono gli alimenti destinati a suini e bovini (Figura 2).

Riguardo il tessuto produttivo, alcuni paesi, come Olanda e Germania, sono caratterizzati da una struttura più concentrata rispetto agli altri player. L’industria mangimistica tedesca, ad esempio, può contare su un nucleo ristretto di imprese con elevata capacità produttiva: il 13% degli stabilimenti supera le 200.000 tonnellate annue e produce circa il 51% dei mangimi composti, mentre il 61% ha una capacità produttiva compresa fra le 500 e le 50.000 tonnellate e fornisce appena il 12% della produzione nazionale. Viceversa l’Italia, come Francia, Spagna, Regno Unito, e Polonia, ha un struttura produttiva più ampia e frammentata, che presenta ancora margini per un’ulteriore razionalizzazione.

Ma le differenze più rilevanti per l’Italia rispetto ai competitor europei emergono nelle caratteristiche del sistema-paese.

Un primo elemento che penalizza il nostro paese è il perdurante ritardo nella crescita economica. Nel corso degli ultimi tre anni la dinamica del PIL italiano è stata meno brillante della media europea, con variazioni annuali costantemente inferiori a quelle degli altri paesi ad elevata produzione mangimistica. Nel 2019 si prevede un incremento del PIL italiano pari allo 0,1%, in forte ridimensionamento rispetto all’anno precedente. Sebbene questo rallentamento caratterizzi tutte le economie considerate, in termini di intensità non raggiunge quello nel nostro paese. Nel 2020 è attesa una ripresa, ma sempre più contenuta per l’Italia rispetto agli altri partner.

Il confronto fra una serie di indicatori relativi all’ambiente competitivo, monitorati in 190 economie dalla World Bank, fa emergere inoltre le maggiori difficoltà con cui si confronta un’impresa italiana nel corso della sua attività rispetto a quelle degli altri principali paesi produttori di mangimi (Figura 3). L’Italia è infatti all’ultimo posto nel ranking complessivo 2019 dei 7 player esaminati, occupando la 20° posizione tra i 28 partner dell’Unione Europea e la 51° fra i 190 paesi classificati dalla World Bank.

In Italia la situazione è più critica rispetto alla maggior parte degli altri paesi a causa degli ostacoli che frenano le nuove iniziative di impresa, come le procedure amministrativo-burocratiche legate all’avvio di nuove attività ed al rilascio di un permesso di costruzione. Anche in relazione al credito emerge la necessità di recuperare terreno rispetto ai competitor, sia in fase di accesso al finanziamento che per quanto concerne le azioni a protezione dei piccoli investitori. Criticità emergono anche in relazione alla soluzione delle insolvenze e soprattutto al rispetto dei contratti. In questo caso l’Italia sconta, rispetto agli altri player, la scarsa efficienza del sistema giudiziario nelle cause commerciali, sia in termini di lunghezza delle procedure, che della certezza e costanza di interpretazione delle norme. Infine l’elemento che più influisce nel penalizzare l’ambiente competitivo italiano rispetto ai partner comunitari è la pressione fiscale: ad incidere negativamente non è soltanto un’aliquota elevata, ma anche l’eccessivo carico burocratico associato alla riscossione di tasse e imposte.

Maggiore efficienza si riscontra invece nel nostro paese in fase di registrazione della proprietà e nei procedimenti legati al commercio internazionale (procedure svolte da dogane e autorità portuali ed attività svolte da broker, banche commerciali, compagnie assicurative, ecc.). L’Italia dispone inoltre di una rete di distribuzione dell’energia elettrica soddisfacente, che garantisce una presenza capillare sul territorio ed un’erogazione continua e costante, sebbene non ai livelli di Regno Unito, Germania e Francia.

A questi elementi, che offrono un quadro generale dell’efficienza del nostro sistema-paese, se ne aggiungono alcuni altri che hanno un peso rilevante per le imprese del settore mangimistico. Si tratta dei costi dell’energia e del lavoro e dell’efficienza dei sistemi di trasporto merci.

Riguardo l’energia elettrica, l’Italia, insieme a Germania e Regno Unito, detiene i più elevati costi per le utenze industriali. Facendo riferimento alla fascia di consumo fra i 2.000 ed i 20.000 MWh nel secondo semestre 2018, con 0,12 euro per kWh, il nostro paese è già significativamente distante dalla media UE-28 (0,10 euro per kWh), ma soprattutto dalla Francia dove il costo si ferma a 0,07 euro per kWh.

In termini di costo del lavoro, nel complesso l’Italia si colloca in una posizione intermedia in linea con la media comunitaria (Figura 4). La retribuzione oraria lorda nel settore manifatturiero è pari a 28 euro nel 2018, più contenuta rispetto ai 38-40 euro/ora di Germania, Francia e Olanda. Tuttavia il nostro paese si distingue per l’eccessivo carico contributivo-fiscale, la cui entità in valore assoluto è prossima a quella dei paesi ad elevato costo del lavoro (in Italia il cuneo fiscale incide per il 29% sulla retribuzione, con un peso inferiore solamente al 31% della Francia).

Infine, riguardo l’efficienza del trasporto merci, un primo aspetto rilevante è rappresentato dall’impiego delle diverse infrastrutture. In Unione Europea nel 2016, su un totale di 2,4 miliardi di tonnellate-chilometro di trasporto merci per vie interne1, il 76% avviene su strada. Il trasporto delle merci su gomma è prevalente in tutti i paesi considerati ed in Italia si attesta all’85%, cui si affianca il 15% delle ferrovie (il dato più elevato dopo Polonia al 25% e Germania al 19%). Si aggiunge inoltre il trasporto via mare, che nel 2016 nell’Unione Europea è stato pari a 3,9 miliardi di tonnellate; in questo segmento il nostro paese ha una quota significativa (12% del totale), ponendosi insieme alla Spagna immediatamente dopo Olanda e Regno Unito.

Questi dati mostrano come il nostro paese sia in linea con i partner europei nell’impiego dei diversi sistemi di trasporto merci, tuttavia le sue performance (espresse in tonnellate-chilometro di trasporto merci per abitante) sono nettamente meno brillanti. I dati relativi alle vie interne mostrano infatti come l’Italia sia in ultima posizione nel più importante segmento del trasporto autostradale. Nel caso di quello ferroviario, sebbene preceda Spagna e Regno Unito, l’indicatore è nettamente al di sotto della media comunitaria e molto distante da quello di Germania e Polonia, che insieme all’Italia, fanno maggiore ricorso a questo sistema di trasporto nell’Unione Europea.

Il quadro delineato mostra quindi come un’impresa mangimistica italiana si muova in uno scenario più complesso e meno favorevole rispetto ai competitor di altri paesi. La capacità delle nostre imprese di essere comunque performanti, nonostante questo scenario di riferimento, è sintomatico di una forte vitalità delle imprese del sistema, o almeno di alcune di esse. Attraversato il difficile periodo di crisi economica che ha per lungo tempo afflitto il nostro paese, queste imprese possono guardare al futuro ponendosi ulteriori obiettivi di consolidamento e sviluppo.

 

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Foto: Pixabay

Ersilia Di Tullio – Nomisma