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Carne bovina, in leggero aumento i consumi pro-capite

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Più carne bovina nel 2018. Secondo le rilevazioni di Ismea tre elementi hanno determinato una maggiore disponibilità di prodotto nel mercato interno: l’incremento delle importazioni di carni congelate, un maggior numero di capi destinati alla macellazione e la flessione delle esportazioni (-3,8%). All’aumento dell’offerta ha fatto seguito una tendenza dello stesso segno con i consumi pro-capite in aumento del 2%, un dato riconducibile però ai consumi fuori casa. I consumi domestici, infatti, sono complessivamente calati dello 0,8% rispetto al 2017, dopo un andamento altalenante nel corso dell’anno: in salita nei primi mesi del 2018, stabili in estate, in frenata nell’ultimo trimestre. A far segnare un aumento è stata invece la spesa totale per gli acquisti domestici: +1,6%, con i primi dati del 2019 ancora positivi (a gennaio i volumi acquistati sono superiori rispetto allo stesso mese del 2018). 

Alcuni indicatori dei consumi stanno cambiando in senso positivo. L’indice di penetrazione, ovvero il numero di famiglie acquirenti rispetto all’universo di riferimento, ha raggiunto quota 88,1%, il valore più alto degli ultimi cinque anni, mentre il numero di atti di acquisto ha fatto segnare un segno positivo sia nel 2017 (+2,8%) che nel 2018 (+0,3%). Protagonisti esclusivi della ripresa dei consumi sono stati i nuclei familiari composti da giovani che hanno ricominciato a comprare più carne fresca bovina. Tra i canali di vendita, scendono mercati rionali, liberi servizi e ipermercati mentre salgono i discount (+3%) e, in misura minore, i supermercati (+1%).

Offerta e macellazione 

L’incremento dei capi inviati alla macellazione ha superato il 3% secondo i dati Istat e dell’Anagrafe nazionale e a cambiare è anche la composizione dell’offerta: meno vitelli ma più vitelloni femmina (oltre 90 mila capi in più, +17%) e maschi (aumento di 26 mila capi, +3%), e vacche (36.000 capi in più, +7%). L’Italia si colloca così a fianco di altri Paesi europei con performance simili: +7% in Spagna, +1,2% in Francia, +3,5% in Irlanda e +1,2% in Germania.   

Sempre il clima, con i problemi causati al foraggio, ha spinto l’invio al macello di un maggior numero di vacche da latte saturando la domanda degli impianti di macellazione e rallentando l’avvio al macello dei vitelloni che in poco tempo hanno appesantito un mercato già congestionato. Inoltre da metà novembre, soprattutto in Francia e Germania, si è registrato un rallentamento delle riforme nel settore lattiero-caseario che ha permesso una ripresa del mercato per i giovani bovini e l’equilibrio del mercato. Lo scandalo sanitario su alcune partite di carne bovina in Polonia ha avuto ripercussioni in altri Paesi: sono crollati i prezzi alla produzione e diminuita di molto la domanda dei Paesi europei. Nella parte finale dell’anno il numero di giovani bovini per il macello è sembrato diminuire ma nonostante ciò i dati comunicati parlano di un leggero incremento nella produzione di carne.  

Il patrimonio di vacche nutrici in Europa ha mostrato infine una lieve flessione (-0,8%), a fronte dell’aumento in alcuni Paesi come l’Italia (+8,7%) e della flessione in altri Stati come l’Irlanda  (-3,5%) e la Francia.

Importazioni 

L’incremento delle importazioni di oltre l’1,2% nasconde due dati contrastanti: sono cresciute di molto le carni bovine congelate, +21%, mentre sono scese quelle fresche, -2,2%. I principali fornitori restano il Brasile per la carne congelata (con un forte aumento del flusso in arrivo dalla Germania: +81%) mentre per la carne fresca diminuiscono gli arrivi da Polonia e Germania e salgono quelli da Irlanda e Argentina. L’import è costato 3,3 miliardi di euro (+5% sul 2017), solo le carni hanno richiesto un esborso di 1,93 miliardi. Quasi il 40% della spesa è stata destinata ad animali vivi.

Prezzi 

Nella prima metà i prezzi di vendita dei capi di allevamento sono stati maggiori di quelli del 2017 ma sia gli ultimi mesi che l’avvio del 2019 non hanno confermato le attese. A febbraio e marzo però i prezzi sembrano aver invertito la rotta. Per i vitelloni l’offerta contenuta ha rinviato la stagionale contrazione dei prezzi: dal -1% di gennaio si è passati al +1% di marzo, in aumento rispetto a 2016 e 2017. Anche i prezzi del 2019 delle vacche da macello superano i livelli dei due anni precedenti; il differenziale negativo con gli stessi mesi del 2018 si è gradualmente assottigliato e a marzo è restata sotto il 3%. Per i vitelli, dopo i massimi storici raggiunti nel 2018 e dopo un triennio di rivalutazioni, nel 2019 i prezzi si sono fermati su buoni livelli, leggermente inferiori all’anno precedente. 

Per le carni all’ingrosso, invece, i prezzi del primo trimestre 2019 sono in calo rispetto agli stessi mesi del 2018 per vacche da macello, vitelloni e vitelli. Per queste ultime due categorie i livelli sono ai minimi dagli ultimi quattro anni.

Costi di produzione 

La flessione della redditività degli allevatori è stata frenata dal contenimento dei costi di produzione. Nell’ultimo trimestre 2018 l’indice dei prezzi dei mezzi correnti di produzione per il comparto zootecnico generale ha registrato un recupero di 1,6 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dello scorso anno ma in termini congiunturali è in calo dello 0,3%. Il 2018 si è chiuso infine con un incremento dei costi dei mangimi e dei prodotti energetici e un contenimento dei valori dei capi da ristallo, il cui indice ha perso  sempre su base congiunturale 2,6 punti percentuali.

 

Foto: Unsplash

redazione