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I mercati delle commodities agricole: tra volatilità, rischio e nuove sfide

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Ormai è noto a tutti: i mercati delle materie prime agricole sono ormai sempre più volatili. Anche se in questi ultimi anni i prezzi sembrano relativamente più bassi e stabili, non ci si può fare illusioni: incertezza e rischio sono aumentati in modo strutturale negli ultimi anni.

Per queste ragioni, tra oscillazioni di breve periodo e tendenze evolutive di medio e lungo termine, non è facile orientarsi sui mercati internazionali come forse era un tempo, fino a oltre un decennio orsono, prima del 2007. 

 

Un effetto della Pac del 2003: crollo delle produzioni di mais in Italia

Per comprendere l’attuale condizione dei mercati internazionali è innanzitutto necessario identificare alcuni cambiamenti strutturali che sono intervenuti, negli ultimi anni, e che hanno segnato una forte discontinuità rispetto al passato.

Il primo di questi cambiamenti è quello relativo alla politica agricola comune (Pac) dell’Unione Europea. Con l’avvio dell’ultima vera grande riforma, quella decisa nel 2003 e avviata tra il 2005 e il 2007, il disaccoppiamento del sostegno economico garantito agli agricoltori si è avviato a diventare completo. In altri termini in tutti i Paesi UE, gradualmente, gli aiuti ad ettaro riconosciuti agli agricoltori sono diventati completamente indipendenti (“disaccoppiati”, cioè non più accoppiati) rispetto alle scelte produttive, quindi sia rispetto alla scelta di coltivare una coltura o un’altra, che rispetto alle rese ottenute. Con il disaccoppiamento totale degli aiuti, gli agricoltori sono stati spini in modo sempre più chiaro e forte verso un approccio molto diverso al mercato. Se prima la scelta di coltivare una particolare coltura, ad esempio il mais, poteva servire per accedere a un certo tipo di aiuto, dopo la riforma ciò non era più vero.

In altri termini i produttori hanno iniziato ad avvicinarsi sempre di più alle convenienze dettate dalle sole condizioni produttive locali e aziendali e dal mercato. Una implicazione evidente e molto significativa è stata la scelta operata progressivamente dagli agricoltori, di ridurre progressivamente le superfici seminate a mais nel nostro Paese. Così si spiega il passaggio dai circa 1,2 milioni di ettari del 2004, anno immediatamente precedente l’avvio del disaccoppiamento per i cereali in Italia, ai 661 mila ettari del 2016, poco più della metà, con una discesa che non lascia spazio a fraintendimenti.

Qualcuno potrebbe anche ipotizzare la presenza di altre cause (aflatossine, crisi della zootecnia, diminuzione dei prezzi, ecc.), ma a ben osservare queste sono solo possibili parziali “con-cause”: il motore del cambiamento è stata l’eliminazione degli aiuti accoppiati che per tanto tempo, in particolare tra il 1992 e il 2004, avevano sostenuto le scelte produttive degli agricoltori. 

 

Alcune altre implicazioni per i mercati italiani: la connessione con i mercati internazionali

Un’altra importantissima implicazione della riforma della Pac del 2003 (e degli anni seguenti) per i mercati delle commodities, è stata il ricollegamento sempre più stretto tra prezzi nazionali, prezzi europei e prezzi mondiali.

Se per molto tempo i prezzi europei, grazie alla varie forme di protezione e sostegno interno, sono rimasti relativamente isolati o comunque meno sensibili rispetto all’evoluzione dei prezzi mondiali, sempre a partire dal 2005, anno di avvio del disaccoppiamento totale, anche i prezzi europei (dei cereali e della soia, in particolare) che ancora non erano strettamente connessi o addirittura allineati con quelli mondiali, hanno iniziato a muoversi in questo modo.

La “libertà” di seminare quello che si ritiene più remunerativo anche in Europa, infatti, ha dato il colpo di grazia alle già ridotte ragioni che potevano giustificare un andamento dei nostri mercati europei significativamente diverso rispetto a quello dei mercati mondiali.

Questo fortissimo allineamento dei prezzi è poi apparso con grande clamore con la prima grande bolla dei prezzi del 2007-2008. I prezzi sia nazionali che europei, dopo quella prima grandissima bolla, dalle implicazioni internazionali ancora in parte sottovalutate, hanno iniziato a muoversi tutti in modo molto più allineato che in precedenza.

Così anche i produttori italiani di materie cereali e altre materie prime agricole hanno iniziato a ricordare ciò che avevano dimenticato, e cioè che i mercati agricoli, senza politiche specifiche di stabilizzazione dei prezzi, sono destinati alla più assoluta incertezza e alla volatilità. Dopo questa prima bolla, infatti, ne abbiamo avute almeno altre due altrettanto importanti: quella del 2010-11 e quella del 2012-13. Da allora, anche se i mercati si muovono ancora con sensibili fluttuazioni, non si sono avute più bolle dei prezzi così vistose. M ciò non significa che il rischio economico sia molto inferiore. 

 

Le implicazioni per la zootecnia e per l’industria mangimistica

In questo contesto di estrema variabilità dei prezzi delle materie prime agricole, è inevitabile che sia la zootecnia che l’industria mangimistica ne ricavino delle conseguenze importanti e non positive.

Elevata variabilità dei prezzi, infatti, implica un forte aumento del rischio economico sia per l’industria mangimistica che, in ultima analisi, per la zootecnia. Se ci ricordiamo anche che il primo aprile 2015 sono state eliminate le quote latte, e che gli aiuti accoppiati per le carni bovine ci sono ancora (una delle pochissime eccezioni) ma in misura ridotta, si comprende bene come il rischio sia aumentato in modo molto sensibile in tutta la filiera.

Se qualcuno si illude pensando che sia sufficiente scaricare a valle lungo la filiera gli aumenti che si verificano in termini di costi di produzione, posto che ci si riesca, (cereali e soia per l’industria mangimistica, mangimi e materie prime per l’allevamento), sarebbero i comportamenti stessi dei consumatori finali a riportarlo con i piedi per terra. Essi, infatti, non sono più disponibili ad acquistare alimenti a qualsiasi prezzo, in primo luogo perché molte volte semplicemente non ne hanno la possibilità in termini di reddito.

E ciò è tanto più vero se pensiamo ai prodotti di alta qualità della zootecnia italiana.

Grande variabilità dei prezzi della materie prime e aumento del rischio di mercato da un lato, potere d’acquisto in parziale recupero ma pur sempre limitato dall’altro, impongono a tutti i soggetti della filiera alcuni aggiustamenti importanti: (1) dotarsi di strumenti continuativi ed efficaci di monitoraggio e previsione delle tendenze dei mercati internazionali delle commodities (e anche dei principali prodotti); (2) adottare strumenti specifici per gestire e se possibile ridurre il rischio di mercato connesso con la forte variabilità dei prezzi, sia per i venditori che per gli acquirenti. Ma su entrami i temi si ha l’impressione che il nostro Paese debba ancora fare molta strada, e in salita.

Foto: © FedeCandoniPhoto – Fotolia.com

Gabriele Canali