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Chi paga il no agli Ogm? Coop Italia: “Maggiori oneri solo per noi”

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No-Ogm alla prova del mercato. Il caso di scuola è quello di Coop Italia. Era il 2000 quando il Consorzio delle cooperative leader nella grande distribuzione otteneva la prima certificazione no-Ogm nell’alimentazione degli animali destinati a diventare carne a marchio Coop. Ma a che prezzo? E quanto pesa e chi paga questa scelta radicale? “Si tratta di un progetto oneroso con un investimento dell’ordine di 10 milioni di euro all’anno, ma che dimostra”, spiega a Mangimi&Alimenti Claudio Mazzini, responsabile Sostenibilità, Innovazione e Valori di Coop Italia, “che, pur con gli investimenti necessari, la creazione di un sistema affidabile di fornitura e utilizzo di mangimi non-OGM è concretamente realizzabile e fattibile, senza aggravi per i consumatori, ma anzi rispondendo a una loro manifesta esigenza di qualità”.

 

La filiera è blindata. Ci sono specifici disciplinari che risalgono la filiera dettagliando le richieste per i mangimifici, gli allevatori, i macelli. “Coop ha progettato e messo in atto un sistema di garanzie volto ad assicurare i consumatori sul non utilizzo di mais, soia e loro derivati OGM nei propri prodotti a marchio – continua Mazzini -. Gli allevatori devono approvvigionarsi esclusivamente da mangimifici preventivamente validati da Coop – ricorda Mazzini – e a loro volta i mangimifici devono rifornirsi da fonti qualificate di materie prime”. Complessivamente questo sistema viene applicato al mangime di 19 milioni/anno di capi di bestiame (tra bovini, suini e avicoli) e di 2.300 tonnellate di pesce di allevamento, provenienti per oltre il 90% da allevamenti nazionali. Una volta sui banchi, secondo Mazzini, il consumatore non trova differenze di prezzo. Ma davvero tra un filetto che arriva da questa filiera e uno proveniente da quella tradizionale, a parità di qualità, non ci sono ritocchi al prezzo? “Il costo per il consumatore è il medesimo – assicura Mazzini -, negli anni abbiamo da un lato ricercato la massima efficienza in accordo con la filiera produttiva e gli allevatori, ai quali Coop riconosce i maggiori costi pagando una maggiorazione sul prezzo di mercato, dall’altro abbiamo interiorizzato il maggior onere”. Con la crisi il vantaggio di questa scelta è rimasto immutato? “La crisi dei consumi ha toccato ovviamente tutti, anche se i prodotti a marchio Coop hanno performance migliori del mercato”, risponde Mazzini che delinea, rispetto al contesto economico, altri scenari. “Al momento il problema non è legato alla scelta Ogm sì o Ogm no – afferma il responsabile della Sostenibilità di Coop Italia -, ma ad un andamento dei costi delle materie prime sottoposto a speculazioni e pressioni esogene alla sola legge domanda/offerta che ne determina l’attuale volatilità”.

 

Foto: Unsplash

co.col.