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Suinicoltura in Italia, il punto della situazione

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Specializzazione nel suino pesante, rispetto dei disciplinari DOP e una forte crisi dovuta al rincaro delle materie prime e alle nuove normative. Il quadro dell’allevamento suinicolo nostrano dipinto da un esperto del settore

 

Industria salumiera: è questa la destinazione delle carni prodotte dagli allevamenti suinicoli in Italia, che si contraddistinguono da quelli europei proprio per la specializzazione nella produzione di suini pesanti destinati alla trasformazione in salumi. Animali alimentati nel rispetto dei disciplinari DOP, con materie prime nobili e in modo tale che la carcassa sia caratterizzata da un particolare equilibrio tra parte magra e parte grassa, per soddisfare la richiesta dell’industria di trasformazione.

A parlarci di queste e delle altre caratteristiche della suinicoltura del Bel Paese è Maurizio Gallo, direttore dell’Associazione Nazionale Allevatori Suini (ANAS).

 

Dottor Gallo, quanti sono i suini in Italia e quanti gli allevamenti?

Secondo i dati Eurostat, lo scorso anno in Italia sono stati prodotti circa 12.281.000 capi suini. Il dato è in calo del 3,5% rispetto al 2011. Anche nel circuito DOP si è registrata una diminuzione del numero di suini certificati pari al 3,2% rispetto al 2011.

Il calo produttivo è una diretta conseguenza della contrazione del parco scrofe nazionale iniziata nel 2011 e proseguita anche nel 2012: i dati Istat indicano che nel 2012 la consistenza delle scrofe è calata del 13%. La forte crisi che sta attraversando il settore lo scorso anno è stata acuita da un trend sostenuto dei prezzi delle materie prime per mangimi (non sufficientemente compensato dal miglior andamento dei prezzi dei suini), nonché dall’entrata in vigore, il 1° gennaio 2013, delle norme che impongono l’allevamento in gruppo delle scrofe e che hanno imposto la necessità di realizzare alcuni adeguamenti strutturali agli allevamenti. Questa situazione sta determinando la chiusura delle strutture di allevamento di piccole/medie dimensioni che non riescono più a sostenere i costi di produzione.

Il fenomeno della riduzione del numero delle aziende suinicole in realtà è anche legato alla concentrazione delle aziende in strutture di più grandi dimensioni ed è iniziato da alcuni anni: secondo i dati del Censimento generale dell’Agricoltura del 2010 in Italia il numero degli allevamenti suinicoli è passato dalle 100.952 unità rilevate nel 2007 alle 26.197 unità del 2010, in calo del 74%. In Italia, il 10% degli allevamenti (ossia gli allevamenti con più di 500 suini) alleva l’88% circa di tutti i capi presenti sul territorio.

 

Come si colloca l’Italia nel panorama dell’allevamento suino nella Comunità Europea?

I suini pesanti conferiti al circuito DOP rappresentano oggi il 70% dell’intera produzione suinicola nazionale: dei circa 12.281.000 capi suini prodotti in Italia nel 2012 i suini pesanti certificati per la trasformazione in prodotti a denominazione di origine protetta sono stati circa 8.308.000. Questo orientamento produttivo, anche grazie anche all’attività di selezione del Libro Genealogico Italiano tenuto da ANAS, ha contribuito a distinguere qualitativamente la produzione suinicola nazionale da quella delle altre suinicolture europee, prevalentemente orientate alla produzione del suino leggero da macelleria ossia da destinare al consumo fresco.

Proprio grazie alla peculiarità della produzione suinicola, l’Italia si distingue nel resto del mondo per la qualità dei propri prodotti di salumeria. Sono numerosi i prodotti italiani a base di carne suina che hanno ottenuto a livello comunitario il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta o dell’Indicazione Geografica Protetta.

 

Ci sono delle Regioni italiane in cui il settore è più sviluppato?

La produzione suinicola in Italia si concentra prevalentemente nelle regioni della Pianura Padana: Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. In Lombardia si alleva oltre il 44% dei capi suini presenti in Italia, in Emilia Romagna il 17% circa, in Piemonte il 10% e nel Veneto l’8%. In queste regioni è presente circa l’80% dei capi suini italiani.

 

Quali sono i principi dell’allevamento suinicolo?

Oggi l’allevamento del suino deve avvenire nel rigido rispetto di una lunga serie di norme, perlopiù sviluppate a livello comunitario, che garantiscono la tracciabilità, la salubrità, la sicurezza e l’igiene della produzione, nonché il benessere degli animali, sia in allevamento che durante il trasporto o la macellazione e la sostenibilità ambientale dell’attività produttiva. Si tratta di un apparato normativo piuttosto consistente la cui eventuale inosservanza viene sanzionata da parte delle autorità (sanitarie, ambientali e così via) preposte ai controlli.

Per agevolare il rispetto delle norme e dei principi da applicare nell’allevamento del suino ANAS, in collaborazione con l’Associazione Italiana Allevatori, ha sviluppato un “Manuale di corretta prassi operativa per gli allevamenti suinicoli” validato dal Ministero della Salute, che può rappresentare un’utile documento-guida per l’allevatore.

Inoltre la produzione del suino pesante DOP deve sottostare al rispetto dei Manuali di produzione redatti per ciascun prodotto tipico della salumeria. Questi disciplinari impongono norme piuttosto rigide sull’alimentazione del suino, sulla genetica e sulla tracciabilità dei prodotti.

 

Quali sono le età di macellazione a seconda della destinazione d’uso finale della carne?

Il suino pesante viene allevato fino ad un peso elevato di oltre 160 kg e macellato non prima di aver raggiunto i 9 mesi di età (3 mesi in più rispetto al suino comunitario). Questi suini sono selezionati e allevati secondo criteri che li rendono particolarmente adatti alle trasformazioni salumiere. Nel resto d’Europa e del mondo invece si seleziona e si alleva un suino destinato alla produzione di carne fresca e macellato a pesi inferiori (100-110 kg).

La forte specializzazione per il “suino pesante” è sicuramente un elemento qualificante della suinicoltura italiana, ma negli ultimi anni si sta pensando anche ad una maggiore articolazione produttiva che consenta di intercettare la domanda dei diversi segmenti del mercato. L’iniziativa più rilevante di questa strategia è l’organizzazione di una filiera del cosiddetto “suino intermedio” che, macellato al peso vivo di 125-135 Kg, presenta rispetto al tradizionale “pesante” un ciclo di allevamento più breve e carcasse più magre e quindi adatte al consumo fresco e alle lavorazioni cotte, mentre rispetto al prodotto di importazione si distingue per una migliore qualità organolettica delle carni.

Silvia Soligon