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Pac 2014/2020:un’opportunità a rischio

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La riforma della Politica Agricola Comune si trova nel bel mezzo di un vero e proprio pantano nel quale si stanno faticosamente muovendo i tre principali attori europei da cui dipenderà il futuro dell’agricoltura dell’Unione, e cioè la Commissione, il Parlamento e il Consiglio, a cui si sta aggiungendo ora anche un quarto protagonista, il bilancio comunitario.Con la fine di quest’anno si sarebbero dovute scrivere nel dettaglio le norme per la disciplina della PAC del dopo 2014, ma purtroppo ad oggi siamo ancora in mezzo al guado e al momento la soluzione sembra essere ancora molto lontana.  

 

Già le proposte iniziali della Commissione, presentate a ottobre dello scorso anno, sono sembrate da subito inidonee e molto lontane dall’effettiva realtà che il settore agricolo sta vivendo nel suo complesso a livello non solo europeo, ma addirittura mondiale, dominato da una domanda crescente che tende a superare l’offerta e con una conseguente forte instabilità dei prezzi sui mercati. Proposte dalle quali emerge che la principale preoccupazione della Commissione non sembra essere tanto quella di fornire uno strumento di maggiore competitività per tutti gli agricoltori europei, quanto quella di trovare una giustificazione agli occhi dell’opinione pubblica sul perchè l’agricoltura debba continuare a rappresentare un capitolo di spesa per il bilancio comunitario.  

 

 

Un fatto del tutto sorprendente perchè parlando di PAC si fa riferimento a una politica di indirizzo di un settore economico fondamentale per lintera Unione Europea, con riflessi notevoli anche sotto il profilo sociale e occupazionale ma, soprattutto, perchè essa riguarda un’attività di importanza strategica se si guarda al ruolo imprescindibile che l’agricoltura occupa al fine di garantire, nel prossimo futuro, gli approvvigionamenti alimentari per i cittadini di ben 27 Paesi, che costituiscono oggi l’UE e che dal 1 gennaio 2013, diventeranno 28 con lentrata anche della Croazia.  

 

Pensare di lasciare l’agricoltura al suo destino senza una seria politica di sostegno che ne favorisca mantenimento e crescita, significa lasciare il nostro destino nelle mani di altri e abbandonarsi alle incognite degli approvvigionamenti dallestero, che resterebbero l’unica via per assicurarsi di che sopravvivere, qualora non fossimo più in grado di provvedere da soli al fabbisogno alimentare interno.  È purtroppo triste dover constatare che la Politica Agricola Comune venga percepita dall’opinione pubblica come un peso e che le Autorità europee accettino di degradarla a mero strumento assistenzialistico per gli agricoltori, anzichè valorizzarne il ruolo e promuoverla nella convinzione che si tratti di uno strumento e di un investimento indispensabili per la crescita con importanti ricadute sociali, occupazionali e ambientali che coinvolgono un’intera filiera, quella appunto agro-alimentare, che dal dopoguerra a oggi ha consentito di elevare il benessere dellUnione Europea.  Ed è sorprendente che, nonostante molte critiche mosse contro le proposte della Commissione non solo dalle rappresentanze di tutta la filiera agro-alimentare, ma anche dallo stesso Parlamento Europeo, l’impostazione generale della PAC data dalla Commissione sia rimasta sostanzialmente invariata e persegua ancora la sua deriva verde, senza fornire agli agricoltori europei alcuno strumento che possa consentire loro di investire per crescere e per fare fronte alla costante aumento della domanda di prodotti alimentari a livello non solo europeo, ma globale.  

 

 

Come se non bastasse si sta profilando un altro duro colpo alla PAC, proveniente dal nuovo quadro finanziario UE 2014-2020 che si va delineando in questi giorni e che contemplerebbe una riduzione complessiva del bilancio comunitario di circa 80 miliardi di euro. Una forte riduzione che non mancherebbe di tradursi in un ulteriore notevole impoverimento delle già insufficienti risorse finanziare destinate all’agricoltura si stimano circa 25 miliardi di euro in meno tale da suscitare nuovi forti dubbi sul reale ruolo della prossima PAC e sulla sua capacità di fornire un concreto e necessario sostegno per l’agricoltura europea nel prossimo futuro.  Probabilmente, prima o poi, la globalizzazione imporrà un confronto più aperto sui mercati mondiali e gli operatori dovranno imparare a combattere sul mercato ad armi pari e quindi privi anche di sostegni pubblici, ma la PAC che si va profilando rischia di imporre ai nostri agricoltori e ai nostri allevatori, così come alle imprese di trasformazione del settore agro-alimentare, di doversi confrontare sul mercato sopportando maggiori oneri rispetto agli altri player che operano nel resto del mondo. Non è possibile basare la nuova PAC su un sistema che va a minare la competitività dei nostri operatori agricoli con l’imposizione di adempimenti supplementari che gli altri non hanno (benessere animale, condizionalità ambientale, sicurezza alimentare, ecc.), senza le adeguate forme di sostegno necessarie a sostenere i maggiori costi che derivano da tali adempimenti.  

 

 

Sicuramente la grave situazione economica che stiamo attraversando impone che si realizzino economie anche in agricoltura, ma questo non giustifica imporre obblighi che mettono fuori concorrenza la nostra agricoltura.  Occorrerà semmai prevedere un impiego più razionale ed efficiente delle risorse finanziarie stanziate, evitando ogni possibile spreco e facendo in modo che possano beneficiare degli aiuti previsti soltanto coloro che realmente svolgono l’attività di produzione agricola e dalla quale provenga la loro principale fonte di reddito.  L’Unione Europea, attraverso la PAC, ha il dovere di fornire ai suoi produttori agricoli gli strumenti per continuare a svolgere e a far crescere questa attività fondamentale e strategica nell’interesse dei Paesi membri ed ha, al contempo, la responsabilità di assicurare a tutti i suoi cittadini la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari necessari a garantire almeno il proprio fabbisogno interno.

 

Foto: Pixabay

Giulio Gavino Usai