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Recovery Fund, De Castro: “Per zootecnia attenzione su investimenti per sviluppo filiere corte”

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L’Unione europea sta esaminando due dossier cruciali per il futuro del mercato unico e dell’economia dei Paesi membri: il rinnovo della Politica Agricola Comune e la ripresa dell’Europa, dopo lo shock pandemico, da sostenere con lo strumento del Next Generation Eu e il bilancio rafforzato per il 2021-27. Ne parliamo con l’onorevole Paolo De Castro, coordinatore per il gruppo socialdemocratico in commissione per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento Ue e già capo negoziatore della riforma della Pac nell’assise europea.

Il piano Next Generation Eu metterà a disposizione dell’Italia poco meno di 209 miliardi di euro di cui quasi 8 per lo Sviluppo rurale. Su cosa dovrebbe orientarsi l’Italia per far fruttare al massimo queste risorse destinate al settore primario?

Parliamo di una misura straordinaria e senza precedenti per circostanze senza precedenti, dovute alla pandemia da Covid-19, con risorse che in commissione Agricoltura al Parlamento europeo abbiamo chiesto di avere disponibili già per il biennio 2021-2022. Mentre la Commissione Ue aveva proposto che fossero subordinate all’entrata in vigore della prossima Pac, quindi nel 2023. A questi circa 8 miliardi del Recovery Fund si aggiunge poi un anticipo da 2,6 miliardi previsto dall’accordo sul Bilancio Ue, per un pacchetto complessivo che supera quindi i 10 miliardi, di cui 1,22 destinati all’Italia, che potranno come minimo raddoppiare con il cofinanziamento nazionale. Almeno il 37% di queste risorse aggiuntive sarà indirizzato a pratiche a favore dell’ambiente, mentre almeno il 55% dei fondi dovrà incentivare gli investimenti per lo sviluppo sociale ed economico delle zone rurali attraverso il sostegno ad agricoltura di precisione, digitalizzazione e modernizzazione dei macchinari, migliori condizioni di sicurezza sul lavoro, giovani agricoltori, filiere corte e mercati locali, energie rinnovabili ed economia circolare. Su questa destinazione di risorse straordinarie abbiamo raggiunto l’accordo politico il 10 novembre alla fine del trilogo con il Consiglio Ue.

I piani nazionali per la ripresa dovranno contenere riforme e programmi d’investimento che sostengano la transizione verde. Secondo lei a cosa darà maggior peso la Commissione Ue nella valutazione di questi piani?

Alla concretezza e alla fattibilità dei piani stessi, che dovranno essere realizzati con risorse sotto forma di investimenti, e non come fondi erogati a pioggia. Per l’agricoltura, in particolare, le risorse dovranno essere destinate a progetti in linea con il New Green Deal e le strategie ‘Biodiversity’ e ‘Farm to fork’. Nel 2030 tra i primi obiettivi ci dovranno essere ad esempio il dimezzamento dell’uso di fitofarmaci di sintesi nei campi e di antibiotici negli allevamenti, una riduzione del 20% di fertilizzanti chimici e un 25% di terreni coltivati con metodo biologico. Obiettivi che i nostri agricoltori e allevatori dovranno raggiungere con adeguati incentivi per contribuire a sostenere la transizione verde, con un orizzonte finale fissato al 2050 all’insegna della neutralità climatica. In ogni caso, ricordo che gli obiettivi del Green Deal e delle due strategie non sono incorporabili nella Pac, perché dal punto di vista giuridico non è possibile inserire una comunicazione della Commissione in un atto legislativo. Prima la Commissione dovrà tradurre la comunicazione in un atto legislativo, poi se ne parlerà democraticamente in Parlamento e in Consiglio, che sono i co-legislatori.

La chiusura del canale Horeca, soprattutto, ha dato un duro colpo a diverse filiere zootecniche. Il Recovery Fund può essere uno strumento utile anche per la ripresa della zootecnia?

Certamente. L’attenzione sotto forma di investimenti, ripeto, dovrà essere rivolta allo sviluppo di filiere corte e mercati locali. Il che non significa abbandonare i tradizionali canali commerciali e distributivi, ma diversificarli per dare maggiore valore aggiunto alle produzioni locali, magari certificate, biologiche e comunque con standard di qualità misurabili.

La nuova architettura verde della Pac, oggetto di discussione nell’ambito della sua riforma, ha previsto la possibilità di finanziare i cosiddetti eco-schemi per favorire pratiche rispettose dell’ambiente. Sono degli strumenti efficaci?

La riforma della Pac, sulla quale in commissione Agricoltura al Parlamento europeo abbiamo lavorato intensamente negli ultimi due anni, introduce regimi ecologici obbligatori, i cosiddetti eco-schemi, che rimettono la politica agricola al centro della programmazione, europea e delle Regioni, evitando il rischio di una ri-nazionalizzazione contenuto invece nella proposta iniziale della Commissione. E questo è un cambio di paradigma fondamentale per l’applicazione della prossima Pac, che vincolerà gli agricoltori a impegni ambientali più stringenti, ma con più risorse per lo sviluppo rurale – almeno il 35% – dedicate all’ambiente, e almeno il 30% dei pagamenti diretti per gli eco-regimi. Questa è la scommessa che abbiamo fatto per sostenere un’agricoltura diversa e finalizzata alla produzione di alimenti sicuri nel rispetto delle aree rurali e dell’ambiente e, ovviamente, dei cittadini-consumatori.

Vito Miraglia