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Fao, le proposte per una pesca più sostenibile

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Garantire l’approvvigionamento di pesce a una popolazione in crescita senza compromettere le risorse naturali. Investimenti, crescita e tutela di mare e oceani, laghi e fiumi sono i perni su cui poggia il piano per una pesca sostenibile. “La terra da sola non basta a nutrirci, abbiamo bisogno di sfruttare anche la produzione alimentare delle risorse acquatiche. Ma dobbiamo farlo senza compromettere la salute di oceani e fiumi, e migliorando le condizioni sociali di quanti dipendono dalla pesca, che spesso sono proprio i più poveri della società”, ha detto il Direttore Generale della Fao Qu Dongyu in apertura del Simposio internazionale sulla Sostenibilità della Pesca

L’evento è l’occasione per ripensare il modo in cui viene gestita la pesca. Sul settore gravano le conseguenze del cambiamento climatico, dell’inquinamento da plastica ma anche dello sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche. Uno stock marino su tre è sovrasfruttato, denuncia la Fao, mentre 40 anni fa era solo uno su dieci. La domanda di pesce di acqua dolce è in crescita e sta mettendo a dura prova la sostenibilità della pesca nelle acque interne. Il pesce è ampiamente consumato: in media ogni persona mangia ogni anno 20,3 Kg di proteine di prima qualità e micronutrienti essenziali dal pesce. 

Inevitabilmente si mangerà sempre più pesce alla luce del boom stimato della popolazione mondiale: 10 miliardi di persone nel 2050. Come ha ricordato il direttore della Divisione Pesca e acquacoltura della Fao Manuel Barange, il consumo di proteine animali e pesce è cresciuto più del tasso di crescita della popolazione mondiale. Dal 1960 questa è salita dell’1,5% l’anno, invece l’aumento del consumo di proteine animali e pesce è stato rispettivamente del 2,5% e del 3% annui.

Un gap di sostenibilità nel mondo

I prodotti ittici sono anche le derrate alimentari più commercializzate e rappresentano un’importante fonte di reddito per i Paesi meno avanzati. La quasi totalità delle persone che dipendono dalla pesca (il 95%) vive in Africa e in Asia e sono soprattutto piccoli operatori. Dalla metà degli anni ‘70 questi Paesi hanno aumentato i loro vantaggi netti derivanti dalla pesca da quasi zero a oltre 40 miliardi di dollari all’anno. A livello globale, più di una persona su dieci dipende dalla pesca per guadagnarsi da vivere e nutrire le proprie famiglie.    

Tuttavia in questi Stati la gestione della pesca procede in condizioni peggiori rispetto al resto del mondo. Se nei Paesi a maggior reddito la pesca è sempre più sostenibile – sostiene la Fao – con la ricostituzione degli stock e operatori del settore in buono stato – nelle regioni in via di sviluppo non sta avvenendo lo stesso. Il risultato? “Un pericoloso divario di sostenibilità”, dice il direttore generale della Fao.  

“Dobbiamo invertire la tendenza se vogliamo raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile”, avverte Qu Dongyu, che nel simposio ha rilanciato una proposta per una pesca più sostenibile. Bisogna reinvestire in programmi di sostenibilità per le acque marine e quelle dolci; investire nella crescita sostenibile delle attività in mare; abbinare adeguate misure di tutela a una gestione più efficace, anche per quanto riguarda il problema degli sprechi alimentari nell’industria ittica. L’iniziativa Blue Growth della Fao, basata sull’equilibrio tra principi ecologici, economici e sociali, e lo sviluppo dell’acquacoltura possono contribuire al perseguimento della crescita sostenibile.

 

Foto: Pixabay

redazione