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Ismea, per operatori del settore cerealicolo contratti di filiera da incentivare

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Il censimento sui centri di stoccaggio di Ismea contiene anche un’indagine qualitativa da cui emerge un quadro articolato del settore cerealicolo italiano. L’industria mantiene salda la leadership mentre le aziende agricole arrancano sotto i colpi della concorrenza estera; sul prodotto nazionale si consuma uno scontro di visioni tra chi non vede nell’origine un valore aggiunto e chi invece difende i cereali coltivati sul territorio. Dal settore arriva però un vasto apprezzamento per i contratti di filiera. Le note dolenti riguardano infine i centri di stoccaggio, con strutture tendenzialmente arretrate, bisognose di innovazione e in molti casi a rischio di sparizione. 

La parte qualitativa del Censimento di Ismea è stata realizzata coinvolgendo quindici aziende del settore rilevanti per volumi di prodotto stoccato e per le attività condotte: centri di stoccaggio afferenti a consorzi agrari, aziende agricole, società di commercializzazione di cereali, importatori, molini, sementifici, pastifici, mangimifici, stoccatori e magazzini di custodia.

Contratti di filiera

Dall’indagine è emerso un apprezzamento dei contratti di filiera. Gli operatori hanno infatti espresso “la speranza in una loro sempre maggiore incentivazione”. Questi strumenti riescono infatti a tenere insieme tutti gli attori del comparto, a fare sistema, una delle poche leve che l’agricoltura italiana può sfruttare per competere sui mercati internazionali.

Cereali nazionali

L’industria, che si è affermata in una posizione primaria, richiede un prodotto di qualità e in quantità adeguate. Quello che conta è un insieme di parametri (dall’assenza di micotossine al peso specifico, al valore proteico) in base ai quali valutare la qualità dei cereali e accanto ai quali non trova spazio l’origine. Qualitativamente il prodotto estero è “almeno pari, in alcuni casi superiore, al prodotto nazionale”, si legge nel report. Anche sulla quantità la bilancia pende a favore dei Paesi esteri, soprattutto extra-Ue: questi godono di superfici molto più estese, possono assicurare la fornitura del prodotto e una continuità dei prezzi, sostengono costi di produzione molto più bassi, possono investire e poi operare all’interno di normative di produzione e stoccaggio percepite come meno stringenti. In questo quadro gli agricoltori italiani, l’anello debole del comparto, non riescono a competere. 

Critici sull’origine del frumento sono proprio gli stoccatori, che sollevano dubbi sulla produzione del cereale all’estero (glifosato/prodotti fitosanitari), sulle modalità di stoccaggio e sul fatto che l’applicazione dei vincoli normativi italiani non può essere verificata sul grano estero. Infine non sembra esserci una vera volontà politica di difendere il prodotto nazionale e quindi dovrebbe essere il consumatore finale a fare pressione sull’industria per avere prodotti con materie prime 100% italiane. Chi invece stocca e commercia frumento estero punta il dito contro la sua demonizzazione: il frumento italiano è insufficiente a soddisfare la domanda dell’industria e inoltre all’estero è possibile reperire anche del grano di qualità superiore.

Lo scenario di domani

Molti centri di stoccaggio sono obsoleti e necessitano di ammodernamento. Tuttavia, dal momento che per gli agricoltori e di conseguenza per gli stoccatori i margini sono sempre più scarsi, non è economicamente remunerativo investire sul miglioramento delle strutture. Si preferisce invece la “manutenzione dell’esistente”. La prospettiva dell’innovazione è prossima solo per le grandi realtà: “Ammodernare, ristrutturare, ampliare è un obbligo per stare sul mercato ma non una scelta per differenziarsi positivamente dalla concorrenza. In questo quadro evidentemente appaiono in sofferenza soprattutto le strutture di piccole e medie dimensioni che manifestano incertezze e timori riguardo il futuro delle loro attività”. Probabilmente le uniche realtà che potranno sopravvivere nel tempo sono i grandi consorzi e le cooperative. Per queste l’ammodernamento sarà una necessità per non fare la stessa fine delle picole realtà che tenderanno invece a sparire.

Cambierà anche il modo di fare stoccaggio. I grandi silos saranno affiancati da altre strutture per contenere prodotti sempre più differenziati. Inoltre sembra non più rinviabile la standardizzazione dello stoccaggio, in particolare riguardo le tecnologie di conservazione, le norme di sicurezza e le garanzie di tipo igienico-sanitario.

A pesare sulla sopravvivenza delle realtà dello stoccaggio sarà anche la possibilità di accedere ai fondi regionali e/o comunitari, indispendabili per l’ammodernamento delle strutture. Solo le grandi aziende di stoccaggio hanno l’opportunità di rivolgersi a consulenti e a centri dedicati per accedere ai finanziamenti oltre che le risorse economiche per corprire la restante parte degli investimenti.

 

Foto: © FedeCandoniPhoto_Fotolia

red.