La sentenza della Corte di Giustizia europea sulle tecniche di mutagenesi potrebbe mettere una pietra tombale sull’innovazione nel campo della selezione delle piante? La decisione dei giudici dello scorso luglio, che ha equiparato gli organismi ottenuti mediante le nuove tecniche di mutagenesi agli OGM, potrà avere infatti delle significative ripercussioni nel campo delle sperimentazioni e delle biotecnologie, facendo scontare all’Unione europea un deficit di competitività rispetto ad altri Stati. La questione è stata affrontata dall’Esa, la European Seed Association, e da altre organizzazioni nel corso di un evento organizzato al Parlamento europeo lo scorso febbraio dall’eurodeputato svedese Christopher Fjellner. L’Esa, la comunità scientifica e le aziende sementiere hanno chiesto al legislatore europeo di chiarire l’ambito di applicazione della direttiva europea 2001/18/CEE che regolamenta l’emissione nell’ambiente a fini di ricerca e l’immissione in commercio di organismi geneticamente modificati.
La sentenza
Alla decisione della Corte di Giustizia europea si è arrivati dopo il ricorso del sindacato agricolo francese Confédération paysanne al Conseil d’Etat contro la normativa nazionale di trasposizione della direttiva europea sugli OGM. Per il sindacato, che ha presentato ricorso assieme ad altre associazioni, l’utilizzo di varietà di sementi resistenti a un erbicida e modificate grazie a una tecnica di mutagenesi rappresenta un pericolo per l’ambiente e la salute animale e umana. Nonostante le differenze con gli OGM, visto che la mutagenesi non prevede l’inserimento del DNA terzo, gli organismi così ottenuti sono stati comunque equiparati dai giudici agli OGM. Pertanto questi organismi modificati con modalità che non si realizzano naturalmente rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, con tutti gli obblighi che ne derivano (relativi, ad esempio, alla valutazione del rischio ambientale, alla tracciabilità, all’etichettatura e al monitoraggio).
Un’eccezione è rappresentata, invece, dagli organismi su cui si è intervenuti con tecniche di mutagenesi “utilizzate in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza”, che sono esenti dagli obblighi della direttiva a meno che gli Stati membri, avendone facoltà, non decidano diversamente.
Le critiche
Come riferisce Fefac, la Federazione europea dei produttori di mangimi, Kws, una multinazionale sementiera, e Altius, uno studio legale specializzato, presenti all’incontro al Parlamento europeo, hanno individuato i principali punti deboli della sentenza della Corte di Giustizia europea. Secondo loro i giudici hanno mancato di considerare la scienza alla base della mutagenesi nella selezione di piante e animali e inoltre non hanno chiarito la definizione di mutagenesi in termini di diritto creando grande incertezza per le aziende di selezione e le autorità competenti, allontanandosi da una valutazione scientifica del rischio basata sul prodotto verso una valutazione del rischio di un processo tecnologico.
Esa ha partecipato al panel del gruppo di esperti assieme a Copa-Cogeca, Mission of Argentina, Swedish Board of Agriculture e VIB-UGent Center for Plant System Biology. Dalla discussione è emersa un’altra carenza della sentenza, incapace di distinguere tra “nuove” e “vecchie” tecniche di mutagenesi. Gli effetti della sentenza – hanno sottolineato gli esperti – sono già visibili nella riduzione degli investimenti in ricerca e sviluppo nella selezione delle piante in Europa e nei Paesi esportatori che temono che i loro prodotti possano dover essere autorizzati nel mercato europeo come OGM classici.
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Vito Miraglia