A pochi giorni dalla scadenza del 31 dicembre l’Unione europea e il Regno Unito hanno trovato l’accordo per regolare le relazioni commerciali a partire dal prossimo 1° gennaio, quando il Regno Unito non farà più parte del mercato unico e dell’unione doganale. È stato scongiurato l’incubo del ‘no deal’, che avrebbe comportato l’applicazione di tariffe di almeno il 50% – ricorda la Commissione europea – sui prodotti lattiero-caseari, sulla carne di maiale e su quella bovina e su prodotti alimentari lavorati, tra gli altri.
Sarà in ogni caso fondamentale sorvegliare sull’applicazione dell’accordo per evitare criticità nella catena di valore agroalimentare a danno di produttori e consumatori di entrambe le parti. Secondo Copa-Cogeca il settore primario sarà comunque tra i più colpiti da Brexit. Per questo la Commissione europea deve mantenere alta l’attenzione e intervenire con tutti gli strumenti a disposizione, tra i quali la Riserva proposta per contrastare gli effetti negativi della fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione europea.
Il quarto mercato per il Made in Italy di eccellenza
Grazie all’accordo trovato dai negoziatori di Bruxelles e Londra non saranno applicate quote e tariffe sui prodotti che attraverseranno la Manica. Per l’Italia è una buona notizia, come conferma la ministra delle Politiche agricole alimentari forestali Teresa Bellanova, con riferimento alle esportazioni. L’intesa rappresenta un “buon viatico per il nostro export. L’Italia potrà continuare a esportare prodotti senza dazi e senza quote e questo è un risultato importantissimo”, aggiunge Bellanova. Un capitolo fondamentale riguarda i prodotti certificati, le cui esportazioni rappresentano il 21% di tutto l’export agroalimentare. Nel 2019, secondo gli ultimi dati Ismea-Qualivita, le spedizioni verso il Regno Unito hanno fruttato 273 milioni di euro, confermando il Paese al quarto posto tra i principali mercati di destinazione dopo Germania, Usa e Francia.
Bellanova ricorda che, in base all’intesa, è “assicurata la prosecuzione della massima tutela alle indicazioni geografiche esistenti al 31 dicembre 2020, come previsto dall’accordo di recesso”. Inoltre l’Italia lavorerà con gli altri Paesi che sono sulle stesse posizioni “affinché adeguata protezione sia data anche alle future Ig registrate dopo il definitivo abbandono del Regno Unito”, sottolinea la ministra.
Tutelare la concorrenza
Nonostante la mancata previsione di tariffe e dazi comunque sarà più oneroso spedire beni verso il Regno Unito, come nota Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura: “Esportare sul mercato britannico sarà comunque più complicato sotto il profilo documentale e dei controlli. Di conseguenza, aumenteranno i costi. L’organizzazione degli agricoltori britannici ha già segnalato al proprio governo il rischio di blocchi e rallentamenti del traffico alle frontiere a causa dei nuovi adempimenti”. Altri profili critici riguardano la concorrenza dal momento che il Regno Unito potrà stringere intese con Paesi terzi e quindi i prodotti agroalimentari italiani potrebbero essere penalizzati. Uno scenario che rende necessario “rafforzare le iniziative promozionali a favore dei nostri prodotti sul mercato del Regno Unito e trovare nuovi canali di sbocco per il Made in Italy”, continua Giansanti.
Le preoccupazioni relative alla concorrenza sono condivise anche da Cia-Agricoltori italiani, con particolare riferimento all’insieme delle condizioni alle quali Regno Unito e Unione europea dovranno operare per evitare il rischio di concorrenza sleale in materia di aiuti di Stato e normative nel campo fitosanitario e ambientale. Uno dei punti sui quali si erano incagliate le trattative riguardava proprio la garanzia del cosiddetto level playing field, dunque la necessità che il Regno Unito rispetti standard minimi evitando di attrarre investitori stranieri offrendo condizioni più vantaggiose.
Un fondo per gli operatori più colpiti
Le risorse previste per tutelare il settore primario dalle ricadute di Brexit sono diverse. L’accordo stesso ha definito la possibilità di ricorrere agli strumenti commerciali di difesa secondo le regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio per proteggere gli agricoltori ad esempio da bruschi cali di prezzo, ricorda la Commissione europea. Inoltre, secondo quanto concordato al Consiglio europeo di luglio, l’esecutivo dell’Ue ha proposto l’istituzione di una Riserva di adeguamento da 5 miliardi di euro a sostegno di quelle aziende che saranno particolarmente colpite dalla fuoriuscita del Regno Unito dal mercato unico.
Il sindacato unico europeo del settore primario, Copa-Cogeca, si è rivolto alla Commissione chiedendo l’immediata attivazione di questo strumento soprattutto a favore di piccole e medie imprese, cooperative e altri operatori già colpiti severamente dalla pandemia. Evitare problematiche significa salvaguardare il settore agroalimentare, che frutta circa 48 miliardi di euro, tutelare i livelli di occupazione e garantire la continuità nella fornitura dei prodotti agro-alimentari-zootecnici. La transizione post-Brexit dovrà compiersi nel migliore dei modi. In questa fase – è la richiesta di Copa-Cogeca – è necessario che la Commissione e le altre autorità pubbliche forniscano le risorse per implementare e rendere vigenti le nuove misure doganali, nel campo sanitario e fitosanitario, in continuo dialogo con gli operatori. Le nuove regole dovranno essere definite in modo chiaro per poter programmare le attività produttive.
Inoltre – conclude il sindacato – bisogna ribadire la natura essenziale della catena di valore agroalimentare e mantenere i ‘corridoi verdi’ già sperimentati con successo durante la prima fase dell’emergenza coronavirus per garantire gli scambi commerciali.
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