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Brexit senza accordo: i costi per l’agroalimentare italiano

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In caso di “no deal”, la vendita di prodotti agroalimentari made in Italy nel Regno Unito non dovrebbe diminuire nell’immediato. Tuttavia, su questa possibilità pesa l’autonomia decisionale della Gran Bretagna in materia di dazi e barriere tecniche, che non consente allo stato attuale di poter delineare uno scenario più definito. Lo spiega l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), che nel rapporto: “Gli scambi agroalimentari tra Italia e Regno Unito” ha analizzato i possibili effetti dell’uscita del Regno Unito dalla UE senza accordi, con particolare riferimento alle esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani verso il mercato inglese.

L’esame dei dati sugli scambi agroalimentari tra Italia e Regno Unito elaborato da Ismea evidenzia che nel commercio estero del Regno Unito il mercato comunitario rappresenta il partner principale: la quota riconducibile all’UE è pari al 63,8% per l’export agroalimentare e al 73% per l’import agroalimentare. L’Italia si posiziona al sesto posto tra i fornitori di prodotti agroalimentari del Regno Unito, con un fatturato di 3,3 miliardi di euro nel 2018. Tra il 2009 e il 2018 il fatturato ha registrato un aumento medio annuo del 4%.

L’Ismea precisa che i principali prodotti italiani esportati nel Regno Unito sono: vini confezionati, vini spumanti, pomodori polpe e pelati, prodotti della panetteria e pasticceria, formaggi stagionati e freschi, paste alimentari, prosciutti stagionati, cioccolato, caffè, riso lavorato/semilav. L’analisi del posizionamento competitivo di questi prodotti sul mercato britannico evidenzia la leadership italiana per vini spumanti, pomodori pelati e polpe, riso lavorato/semilav., pasta di semola e pasta ripiena. Ma l’Italia occupa un ruolo di grande rilievo anche per le altre produzioni.

Lo scenario di una Brexit senza accordo, secondo l’Ismea, potrebbe determinare molteplici criticità per gli acquisti all’estero del Regno Unito, data la netta prevalenza dei paesi comunitari nelle proprie importazioni e la difficoltà d’instaurare nel breve periodo rapporti commerciali con partner alternativi. È possibile che si verifichi nel breve periodo un aumento generalizzato dei prezzi al consumo dei prodotti agroalimentari, a seguito dell’introduzione di un regime di dazi extra UE. Questo potrebbe determinare una contemporanea progressiva riduzione delle importazioni da parte di tutti i Paesi UE.

Sulla base del posizionamento dell’Italia per singolo prodotto, l’Ismea ritiene che “la minaccia di un eventuale effetto sostituzione UE/Paesi Terzi non appare immediata”, anche alla luce del fatto che il Belpaese detiene le prime posizioni per i prodotti espressione del made in Italy (pasta, riso, pomodori). Potrebbe invece essere più articolata la situazione del vino, perché i vini del nuovo mondo (tra quali Nuova Zelanda e Australia, membri del Commonwealth) detengono già rilevanti quote del mercato inglese.

L’Istituto precisa, tuttavia, che sullo scenario pesa “l’autonomia decisionale del Regno Unito in materia di dazi, regimi fiscali, barriere tecniche e accordi commerciali bilaterali che non consentono allo stato attuale di poter delineare uno scenario probabile”.

Foto: Pixabay

redazione