Sul rapporto fra il consumo di carne rossa, fresca e lavorata, e il rischio oncologico le valutazioni dello Iarc, l’Agenzia internazionale per la Ricerca sul Cancro, sembrano aver messo un punto fermo. Il consumo eccessivo di carne lavorata, dalla salsiccia ai wurstel al bacon, è stato correlato a un maggior rischio di insorgenza del tumore al colon-retto. La soglia è stata individuata in 50 grammi al giorno cui si associa un aumento del rischio del 18%. Le prove di questa associazione sono convincenti, ha detto l’agenzia, mentre non sono emerse evidenze scientifiche sufficientemente forti da supportare una relazione altrettanto evidente fra il consumo di carne rossa e il rischio tumorale. Nella classificazione dello Iarc le carni rosse sono state inserite nel gruppo delle sostanze “probabilmente cancerogene” e l’asticella è stata fissata a 100 grammi al giorno, quantità alla quale si potrebbe correlare un aumento del rischio di tumore al colon-retto del 17%.
Si tratta di quantità piuttosto elevate, tendenzialmente superiori a quelle consumate abitualmente in un Paese come l’Italia. Nulla vieta, pertanto, che la carne rossa possa far parte di una dieta varia e bilanciata per il benessere dell’organismo, ma non solo. Può esserlo anche in caso di malattia oncologica: un paziente con tumore, con la supervisione di uno specialista, può seguire un’alimentazione completa che includa anche la carne rossa non processata in quantità adeguate.
La carne rossa è una delle principali fonti di proteine animali a disposizione per l’uomo. L’apporto di questo macronutriente, fondamentale per la formazione dei tessuti a partire da quello muscolare, è nell’ordine di circa 20 grammi ogni 100 grammi di prodotto. Oltre a ciò il consumo di carne rossa, bovina, suina, ovina ed equina, garantisce all’organismo micronutrienti altrettanto importanti come il ferro, lo zinco e il potassio tra i minerali e le vitamine del gruppo B.
Malattia e problemi nutrizionali
Questi nutrienti sono essenziali in condizioni di benessere e a maggior ragione in presenza di una malattia come quella oncologica. Come ricorda il ministero della Salute nelle Linee di Indirizzo percorsi nutrizionali nei pazienti oncologici, negli individui con tumore sono molto frequenti le alterazioni dello stato nutrizionale “anche in fasi di malattia estremamente precoci, come subito dopo un intervento chirurgico attuato con intento radicale e, quindi, in assenza di metastasi”. Spesso questi pazienti vanno incontro a perdita di peso corporeo. Le conseguenze della malnutrizione sono rilevanti e si ripercuotono sulla qualità di vita e soprattutto sulla capacità del paziente di aderire alle terapie, con un peggioramento della prognosi: “il 20-30% muore per le conseguenze dirette ed indirette della malnutrizione”, sottolineano le Linee di indirizzo.
Per questi motivi sin dalla prima visita i pazienti neoplastici devono ricevere un’adeguata valutazione nutrizionale con l’intervento di esperti in materia. Quello che va assolutamente evitato è il fai da te, come ad esempio cominciare a non mangiare determinati alimenti, e, allo stesso modo, è decisivo non farsi vincere dall’inappetenza o dalla nausea che sorgono con la malattia. Da un’indagine del 2017 sulle abitudini alimentari nei pazienti oncologici condotta dalla Federazione italiana delle Associazioni di volontari in oncologia (Favo) con la collaborazione dell’Associazione italiana Malati di cancro (AIMaC), è emerso che la carne rossa rientra fra i cinque alimenti esclusi (per il 38,5% degli intervistati) o ridotti (per il 43,7%) a seguito della diagnosi di tumore. La carne è dunque il primo alimento a subire questa sorte subito dopo l’alcol. In ogni caso, quasi 7 pazienti su 10 seguivano una dieta personalizzata definita da uno specialista o dal centro presso il quale erano in cura.
Il ruolo delle proteine
La dieta dev’essere invece variegata ed equilibrata affinché il paziente possa recuperare energie, sostenere la propria funzione immunitaria, prevenire la perdita di massa muscolare e condizioni ancora più gravi come la cachessia, e affrontare al meglio il proprio percorso terapeutico. Le proteine dei tagli più magri di carne rossa – ma non solo, anche il pesce o i legumi – contribuiscono al buon funzionamento del sistema immunitario e riparare i tessuti. Spesso, come ricorda l’American Cancer Society, i pazienti oncologici hanno un bisogno di proteine maggiore del solito. Dopo interventi chirurgici, chemioterapia e radioterapia si ha bisogno di più proteine per contrastare le infezioni e promuovere la guarigione dei tessuti. Anche dopo il termine dei trattamenti oncologici il consiglio degli esperti della società scientifica americana è quello di consumare carne rossa non più di 3-4 porzioni a settimana e di evitare la carne processata.
La carne rossa non processata, in definitiva, può rientrare in questo regime alimentare a patto che sia cotta nella maniera più appropriata. L’aspetto rilevante è proprio questo: come viene cucinata la carne. Sotto accusa sono finite infatti le modalità di cottura della carne rossa ad alte temperature che portano alla formazione di sostanze chimiche cancerogene. Alla frittura, alla cottura alla griglia e alla brace sono da preferire, pertanto, cotture più salutari: la bollitura, la cottura al vapore, al forno o al cartoccio.
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Vito Miraglia