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Leucaena leucocephala (Lam.) de Wit : potenzialità e limiti di una leguminosa da foraggio

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La Leucena, una leguminosa ampiamente diffusa nell’area d’origine, presenta caratteristiche tali (De Angelis A., 2008) da consentirne un’ampia diffusione negli ambienti tropicali e subtropicali, nonché nell’area del Mediterraneo; diffusione, peraltro, auspicabile, se si considerano gli effetti positivi nei confronti della preservazione dell’ambiente ed i molteplici usi cui si presta la notevole quantità di biomassa prodotta.

La Leucena ha origine nelle terre del Guatemala, Honduras, El Salvador e del sud del Messico, in un area che si estende dal 12° al 20° parallelo di latitudine nord. Un certo numero di varietà furono portate dal nord del Messico fino al Nicaragua dalla civilizzazione precolombiana. Oggi la leucena si coltiva o si è naturalizzata in tutto il mondo entro la latitudine 25° N e 25° S grazie alla diffusione di una varietà arbustiva durante il periodo del commercio coloniale spagnolo, dal 1565 al 1825, ed all’uso delle varietà arbustive come albero da ombra per le piantagioni di caffè, cacao, canapa, pepe, vaniglia ed altre essenze (National Academy of Sciences, 1984; Van de Beldt et al., 1985).

Il genere Leucaena comprende circa 50 specie tra arbusti ed alberi presenti nelle regioni tropicali e subtropicali dell’America del Nord e del Sud, dell’Africa e del Pacifico del Sud e più di 800 varietà (Allen, O.N., et al., 1981; Brewbaker, J.L., 1980; Hutton, E.M., et al., 1959), riunite in tre tipi: il tipo comune, con varietà piccole ed arbustive che crescono fino a 5 m di altezza; il tipo gigante, includente varietà alte sino a 20 m, con foglie, baccelli e semi di maggior dimensione, tronco più grande ma meno ramificato; il tipo “Perù” con varietà di dimensione media che crescono in altezza fino a 10 m, ramificano estesamente, sin dal basso del tronco, e producono abbondante foraggio quando si potano con frequenza (National Academy of Sciences, 1984).

Sebbene la leucena possa vivere in aree con piovosità media annua inferiore a 300mm o superiore a 4000mm (Dijkman, M.J., 1950), cresce proficuamente dove le precipitazioni annuali sono comprese tra i 600 ed i 2000 mm, con una stagione secca compresa tra i 2 ed i 6 mesi (Brewbaker, J.L. et al., 1972; Mac Dicken, K.G., 1988; National Academy of Sciences, 1980, 1984; Webb D.B. et al., 1984). La crescita ottimale avviene in aree che ricevono una precipitazione media annua di 1500 mm, con una stagione secca di 4 mesi (Van de Beldt, R.J., et al, 1985). Il miglior accrescimento si verifica in aree con una temperatura annuale media compresa tra 25 e 30°C (Van de Beldt, R.J., 1985). A dispetto del fatto che la leucena può sopravvivere a gelate leggere e di breve durata, la crescita risulta fortemente compromessa a basse temperature (Van de Beldt, R.J., 1985). La leucena tollera una gran varietà di condizioni di suolo, dai suoli sassosi e scheletrici a quelli argillosi densi (National Academy of Sciences, 1980). Il miglior accrescimento si realizza in suoli ben drenati, da moderatamente alcalini (pH 7.5) a leggermente acidi (pH 6.0), con una salinità moderata, fino a 20 mmhos per cm (Tomar, O.S., et al., 1985). E’ una specie con un alta domanda di luce: cresce meglio in pieno sole o sotto un ombra molto lieve. In condizioni di molta ombra, come nel sottobosco di fitti boschi la crescita è limitata, ma può riprendere rapidamente quando si crea nuova luce (National Academy of Sciences, 1984). I boschi di piante giovani rispondono bene al diserbo.

Le piantagioni si possono ottenere per semina diretta o ricorrendo alle piante coltivate in contenitori, alle piantine con le radici nude, alle talee (da 2 a 5 cm di diametro) ed alle ceppaie (Joshi, H.B., 1983; Van de Beldt, R.J., et al.,1985).

La Leucena è estremamente versatile prestandosi ad una numerosa varietà di usi. Il legno, con alburno di color amaranto pallido e duramen rosso chiaro, ha un peso specifico compreso tra 0,50 e 0,59 per cm2 ed un valore calorico di 19,4 kJ/gr; queste caratteristiche lo rendono molto adatto per la produzione di carbone (MacDicken, K.G., 1988; Tang, J.L., 1986); viene utilizzato per costruzioni leggere e casse, per varie tipologie di recinzioni per mobili e tavole (Tang, J.L., 1986) perché si lavora a macchina con facilità, assorbe bene conservanti solubili in acqua, si secca senza raggrinzirsi o curvarsi (Van den Beldt, R.J., et al., 1985); come fonte di fibra corta è adatto per la produzione di carta. In molte parti dei tropici la leucena si usa come albero da ombra in piantagioni di cacao, caffè, tè, vaniglia, cocco, tek (Dassanayake, M.D., 1980; Joshi, H.B., 1983; National Academy of Sciences, 1984; Newton, K., et al., 1983; Van den Beldt, R.J.,et al., 1985). Si semina anche per migliorare i suoli: il suo fogliame si usa come pacciamatura organica e la sua capacità di fissare azoto ne aumenta la disponibilità negli strati superficiali del suolo (Dijkman, MJ, 1950; Lugo, A.E., et al., 1990; Torres, F., 1983; Wang, D., et al., 1991); l’apparato radicale profondo ed aggressivo aumenta l’infiltrazione idrica e diminuisce il ruscellamento superficiale nei suoli pesanti ed in quelli che presentano strati impermeabili nel sottosuolo (National Academy of Sciences, 1980); la capacità di prosperare in scarpate in pendenza, in suoli marginali ed in zone con stagione secca prolungata, la rendono idonea alla riforestazione di aree nude, declivi e pascoli (Allen, O.N., et al.,1981; Dassanayake, M.D., 1980; National Academy of Sciences, 1980).

Pur essendo un vegetale non adatto al consumo umano per la sua tossicità, in alcune aree rurali dell’America Centrale e del Sudest asiatico, si utilizzano sia i legumi teneri sia le foglie come vegetale cotto; inoltre i semi, contenenti circa l’8.8% di olio, costituito da acido palmitico, stearico, behenico, lignocerico, oleico e linoleico (Allen, O.N., et al., 1981), vengono usati come surrogato del caffè (Dijkman, MJ, 1950; Little E.L., et al. 1964), come vermifugo e come ornamento. In Messico, dai baccelli, dalle foglie e dalla corteccia si estraggono i colori rosso, marrone e nero. La corteccia e le radici si usano come medicamenti casalinghi e le radici hanno proprietà emmenagogiche ed abortive (Standley, P.C., 1922). La leucena si considera come una buona pianta per le api mellifere.

La Leucaena leucocephala (Lam.) de Wit sembra essere una specie degna di interesse in campo zootecnico (De Angelis A., 2012) specie nelle regioni tropicali e subtropicali, come pure in quelle interne e/o marginali del Mediterraneo, dove uno dei problemi più importanti relativi alle produzioni animali è rappresentato dai non adeguati apporti nutrizionali. La bassa produttività degli animali, spesso connessa alla ridotta crescita annuale, è, infatti, non di rado, attribuibile al basso contenuto in azoto ed all’alto contenuto in fibra delle specie vegetali locali e dei residui colturali che costituiscono la base alimentare della razioni comunemente adottate dagli allevamenti. Il ricorso alla supplementazione dei foraggi tipici con foraggere arboree ed arbustive, pur contenendo, spesso, fattori antinutrizionali e tossine che ne limitano l’uso, potrebbe essere un modo proficuo per alleviare le deficienze nutrizionali delle diete di base.

La produzione di foraggio della Leucaena può essere molto elevata (50/t/ha/anno) quando la coltura viene gestita bene (potatura, ecc.) (Brewbaker J.L. et al., 1985). Le foglie ed i legumi verdi possono essere utilizzati al pascolo o come foraggio da distribuire in mangiatoia, somministrato allo stato fresco o in pelletts. Le foglie rimangono verdi a lungo, consentendo, così, la disponibilità di un buon foraggio anche durante la stagione secca, quando il pascolo o altre foraggere si sono imbrunite e mostrano una riduzione del loro contenuto in nutrienti (National Academy of Science, 1977). Per la sua elevata appetibilità, una digeribilità compresa tra il 50% ed il 70% (Ter Meulen U. et al., 1979), ed il suo buon valore nutrizionale (22-28% di proteina), il foraggio di Leucaena può essere un valido alimento sia per i ruminanti (bovini, ovini e caprini) che per i non ruminanti (suini, conigli, polli, pesci). L’elevato contenuto in proteina ed in β-carotene, che rendono la leucena paragonabile al foraggio di erba medica, si accompagna ad una composizione aminoacidica simile a quella della farina di soia e della farina di pesce (Ter Meulen, 1979), abbastanza ricca degli aminoacidi essenziali isoleucina, leucina, fenilalanina ed istidina. Il foraggio di leucena può essere un’ottima fonte di calcio, fosforo ed altri minerali, a seconda della disponibilità minerale del suolo (Akbar M.A. e Gupta P.C., 1985; D’Mello J.P.F e Fraser K.W., 1981; Deshmukh A.P. et al., 1987; James C.S., 1978; Compere R., 1959; D’Mello J.P.F e Taplin D.E., 1978), ma è carente in sodio (Akbar M.A. e Gupta P.C., 1985; D’Mello J.P.F e Fraser K.W., 1981; Compere R., 1959; D’Mello J.P.F e Taplin D.E., 1978). Non sono disponibili molti dati sui carboidrati presenti nelle foglie; Kale A.U. (1987) riporta la seguente composizione percentuale: 18,6% di carboidrati totali; 1 % di amido; 2,8 % di oligosaccaridi totali; 4,2 % di zuccheri riduttori; 1,2 % di saccarosio; 0,6 % di raffinosio. La presenza di tannini, sia nel foraggio che nella farina di foglie, e di altri composti fenolici, può rappresentare un limite nell’uso della leucena come foraggera; a tal proposito, Mtui D.J. et al. (2009) mettono in evidenza il fatto che il contenuto totale in tannini estraibili dipenda dalla stagione e dalla varietà, e rilevano un aumento della digeribilità della sostanza organica e dell’energia metabolizzabile mediante l’aggiunta del glicol di polietilene, un agente legante, che riduce l’attività antinutrizionale dei tannini.


Oltre ai tannini ed ai composti fenolici, il fattore antinutrizionale più studiato e maggiormente tossico (Hammond A.C., 1995) è un composto azotato non proteico, l’aminoacido mimosina, che può essere presente nelle foglie dal 19 al 47% a seconda della varietà. La biosintesi (Hylin J.W., 1964; Ikegani F. et al., 1990), la degradazione (Lowry J.B. et al., 1983; Murakoshi I. et al., 1970; Tangendjaja B. et al., 1986) e gli effetti biochimici (Ter Meulen U. et al., 1979; Hylin J.W., 1969; Fowden L. et al., 1967) della mimosina, il β-N-(3-idrossi-piridione), sono stati ampiamente esaminati ma, tuttavia, molti aspetti non sono ancora noti. Il meccanismo che induce tossicosi è complicato e sono state avanzate diverse teorie per spiegarlo. Mac Dicken K.G. (1988) rileva perdita di peso e malessere nei monogastrici come suini, cavalli, conigli e polli a causa della mimosina presente quando foraggio di leucena viene incluso nella dieta in quantità pari al 5- 10% del tal quale. La mimosina sembra esercitare la sua azione tossica bloccando le vie metaboliche degli aminoacidi aromatici (Lin J.K. et al., 1965), come il triptofano (Ter Meulen U. et al., 1981). Poiché il ritardo della crescita dovuto al consumo di leucena è associato a livelli sierici più bassi di tiroxina (Jones R.J. e Winter W.H., 1979; El-Harith E.A. et al., 1981), si ipotizza che la mimosina, avendo una somiglianza strutturale con la L-tirosina, agisca probabilmente come un analogo della tiroxina o un antagonista, inibendo la biosintesi delle proteine corporee, con conseguenti sintomi tossici e ritardo della crescita (Lin K.C. et al., 1964; Ter Meulen U. et al., 1981; Serrano E.P. et al., 1983). Secondo alcuni studiosi (Tsai W.C. e Ling K.H., 1972; Tsai W.C. e Ling K.H.; 1973; Hashiguchi H. e Takashi H., 1977) le capacità chelanti della mimosina potrebbero interferire con l’azione dei metallo-enzimi, in particolare di quelli contenenti cationi ferro, causando l’inibizione di alcune reazioni biologiche. Altri autori (Lin Y.Y. e Ling K.H., 1962) rilevano un antagonismo della mimosina nei confronti della vitamina B6 ed una conseguente inibizione di un certo numero di enzimi che richiedono il piridossalfosfato (Fowden L. et al., 1967; Grove J.A. et al., 1978; Lin J.K. e Tung T.C., 1966), come la cistiationina sintetasi ed il cistationato. L’inibizione della mimosina nei confronti del sistema metionina-cisteina (Hylin J.W., 1969) potrebbe giustificare la perdita di pelo legata al consumo di leucena, dato che il pelo contiene quantità insolitamente grandi di cisteina. La mimosina sembra interferire con il metabolismo della glicina (El-Harith E.A. et al., 1981); probabilmente gli acidi biliari si coniugano con la mimosina, piuttosto che con la glicina, formando acidi atipici (mimocolico e mimochenodeossicolico) ed influenzando l’assorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili (El-Harith E.A. et al., 1983). Tang S.Y. e Ling K.H. (1975) rilevano effetti negativi della mimosina sulla biosintesi del collagene dovuti alla inibizione della sintesi della idrossiprolina; la riduzione del contenuto di collagene in vari organi potrebbe indurre sintomi quali emorragie capillari, proteinuria e ulcere uterine negli animali (De Wreede S.e Wayman O., 1970; Tang S.Y. e Ling K.H., 1975).

Gli studi riguardanti la ricerca di possibili soluzioni atte a consentire l’uso della leucena ed a superarne i limiti dovuti alla presenza della mimosina sono numerosi ed hanno proposto varie ipotesi. Il trattamento termico delle foglie di leucena mediante l’esposizione alla luce solare o alle alte temperature (Akbar M.A. e Gupta P.C., 1984; Hegarty M.P. et al., 1964; Benge M.D. e Curran H., 1981) può ridurre notevolmente il contenuto in mimosina. I trattamenti umidi, come la cottura (Benge M.D. e Curran H., 1981), l’immersione in acqua calda (Wee K.L. e Wang S., 1987) ed il trattamento in autoclave (Kale A.U., 1987; Sethi P., 1989) si ritiene agiscano, in tal senso, più efficacemente rispetto ai trattamenti con il calore secco (Ter Meulen U. et al., 1979; Mali J.M. et al., 1990). La rimozione e/o l’estrazione della mimosina può essere efficacemente realizzata (95%) con l’uso di acetato di sodio 0,05 N (Tawada S. et al., 1986) o di urea e bicarbonato di sodio (Hossain M.A. et al., 1991) in grado di rimuovere alte percentuali di mimosina, rispettivamente l’80% e l’88%. L’insilamento sembra un metodo efficace per ridurre il contenuto di mimosina nella leucena (Hogo F. et al., 1988) . Una soluzione possibile potrebbe essere, anche, la creazione di nuovi ibridi di leucena a basso contenuto di mimosina (Tagendjaja B. et al., 1984).

Nei ruminanti, la masticazione con la saliva alcalina e l’incubazione nel rumine, inducono la degradazione della mimosina con la produzione del 3-idrossi-4(1H)-piridone (3,4-diidrossipiridina; 3,4-DHP), un potente gozzigeno (Hammond A.C., 1995; Jones R.J., 1984); la causa sembra dovuta ad una ipoproduzione di tiroxina da parte della tiroide, che si manifesta con la formazione del gozzo. Hammond A.C. (1995) sottolinea come già negli anni ’80 ricercatori australiani dimostrarono che i limiti geografici della tossicosi da leucena erano dovuti all’assenza di batteri ruminali capaci di degradare il 3,4-DHP, potente gozzigeno, ed introdussero con successo batteri ruminali degradatori da capre delle Hawaii a capre e bovini australiani. Del resto, recentemente, Klieve et al. (2002), nel rilevare l’ampia utilizzazione, nei paesi tropicali, della Leucaena leucocephala come specie foraggera per l’alimentazione dei bovini, rimarcando la tossicità della mimosina e del 3,4-DHP, il cui accumulo è responsabile di perdita di pelo, crescita corporea ridotta e disfunzione tiroidea (gozzo), ribadiscono l’azione degradante, nei confronti di questi prodotti, del batterio ruminale Synergistes jonesii, e suggeriscono l’inoculazione del batterio nel rumine di bovini, quale presidio dalla tossicità della mimosina e del DHP.Sulla base di ciò, sono stati sviluppati metodi semplici di selezione “in vitro” per ricercare, da campioni ruminali e fecali, microrganismi capaci di degradare il 3,4-DHP. Inoculazioni ruminali con fluido ruminale di animali adattati, colture arricchite con batteri ruminali degradatori e colture pure di Synergistes jonesii sono stati tutti usati con successo per creare popolazioni ruminali capaci di degradare il 3,4-DHP e prevenire le tossicosi da leucena. Una volta presenti anche in pochi animali, i batteri che degradano il 3,4-DHP si distribuiscono in tutto l’allevamento e persistono fino a quando la leucena fa parte della dieta. Dopo che la leucena viene eliminata dalla dieta, i dgeradatori del 3,4-DHP persistono in numero ridotto per diversi mesi. Studi condotti da Possenti R.A. et al. (2008) evidenziano una riduzione dell’emissione di metano ed un conseguente miglioramento dell’efficienza energetica, somministrando a bovini adulti leucena, associata a fermenti, in ragione del 50% della sostanza secca della dieta.

Dalla quanto esposto emerge come la Leucaena leucocephala (Lam.) de Wit possa essere proficuamente utilizzata in campo zootecnico, sia quale supplemento utile a colmare le carenze di altre risorse alimentari, soprattutto dal punto di vista proteico ed aminoacidico, sia per essere una fonte nutrizionale economicamente sostenibile. Molta della ricerca, peraltro, è incentrata sulla possibilità di superare i limiti di questa specie foraggera, rappresentati dalla presenza dei tannini ed altri composti polifenolici e della mimosina, in grado di produrre tossicosi associata a molteplici quadri sintomatologici. In particolare, i trattamenti termici, l’insilamento, il ricorso all’inoculazione di microrganismi degradatori (Synergistes jonesii) nei ruminanti, una idonea supplementazione minerale delle diete per i non ruminanti, sono, fino ad oggi, i metodi più studiati e ritenuti più validi. La possibilità, quindi, di inserire la leucena tra le risorse alimentari d’uso comune per il razionamento, non può prescindere dalla verifica della capacità di adattamento degli animali e dalla loro resistenza alla tossicità delle foraggera.

Foto: © schiros – Fotolia Anna De Angelis