Sono tre gli elementi principali emersi dallo studio sul mais transgenico promosso dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dall’Università di Pisa, recentemente pubblicato su Scientific Reports della rivista Nature: la coltivazione di questo mais ha rese superiori, riduce la presenza di insetti dannosi e contiene percentuali inferiori di sostanze tossiche (soprattutto micotossine) che contaminano l’infera filiera feed-food.
Ci si potrebbe addentrare più a fondo nei dati presi in considerazione: analisi di 21 anni di coltivazioni e di 64 studi a livello mondiale, dal 1996 al 2016. Si potrebbe rimarcareil confronto con le varietà parentali non transgeniche, dove si evidenzia la minore concentrazione di micotossine (-28,8%) e fumosine (oltre il 30% in meno) nella granella del mais GM. Si potrebbe anche porre in risalto gli importanti risvoltibiogechimicio dell’emissioni di CO2 dal suolo. Ma su tutto questo preferiamo – come è giusto – che sia la scienza atirare le conclusioni, offrendo tutti gli elementi necessari a trarre le relative deduzioni.
A noi interessa molto di più fare una riflessione e focalizzare la questione sotto l’aspetto produttivo e industriale. Come recentemente ricordato da una sentenza della Corte di Giustizia Europea, soltanto di fronte a una “evidenza significativa” per la salute umana, animale e umana gli Stati membri possono adottare misure per proibire la coltivazione e l’uso dei prodotti Ogm. Lo studio ora dimostra, senza ombra di ragionevole dubbio, che il mais Ogm non soltanto non fa male ma addirittura ne vengono certificati una serie di vantaggi per l’intera filiera agroalimentare che non possono più essere disconosciuti e che, sarebbe assurdo, continuare a ignorare.
Mais, produzione italiana – C’è un problema agricolo. In Italia si produce sempre meno mais tanto che negli ultimi 10 anni nel nostro Paese si è perduta l’autosufficienza e la produzione di granella si è drasticamente ridotta a soli 5 milioni di tonnellate contro un fabbisogno interno di quasi 11 milioni di tonnellate. Una situazione dovuta alla scarsa competitività del mais nazionale rispetto a quello proveniente dall’estero, in buona parte dipendente dall’impossibilità per i nostri agricoltori di ricorrere a sistemi innovati e più efficienti di produzione. Ciò che sorprende è che la continua e repentina riduzione della produzione di mais in Italia è passata quasi del tutto sotto silenzio, nonostante si stia parlando della materia prima più importante ed indispensabile per la nostra zootecnia, strategica per la filiera agroalimentare dei prodotti di origine animale, che comprende addirittura anche le principali DOP, che per la sua sopravvivenza siamo ora costretti ad incrementare gli acquisti dall’estero per garantite l’approvvigionamento di mangimi ai nostri allevamenti.
Mangimistica e zootecnia – La carenza sempre più accentuata di materie prime di produzione nazionale per l’alimentazione animale, ormai scesa ben al di sotto della soglia del 50%, espone sempre di più l’industria mangimistica e a cascata tutta la filiera delle produzioni animali, agli umori dei mercati internazionali, costringendola a ricorrere sempre di più alle importazioni sia da Pesi comunitari che da Paesi terzi, per fare fronte alla domanda interna. Tutto ciò viene a costituire un punto di debolezza che rischia di ripercuotersi negativamente sull’intera filiera (quella zootecnica) riconosciuta come di assoluta eccellenza a livello mondiale.
Agroalimentare e politica – Dopo anni di anonimato, finalmente il settore dell’agroalimentare sembra avere ritrovato una centralità nel dibattito politico. Ciò è dovuto in larga parte alla forza di una filiera che ha saputo resistere e uscire meglio dalla crisi e che, grazie al notevole gradimento sui mercati internazionali, funge da vero e proprio traino per l’economia del nostro Paese. Ma in questo ruolo gli operatori della filiera non possono essere lasciati soli e per sostenere questa crescita serve anche la politica. Servono scelte chiare, capaci di supportare gli imprenditori e di accompagnarli alla conquista di nuovi mercati. Serve il riconoscimento importantissimo della ricerca e dei risultati che la scienza può mettere a disposizione del mondo produttivo per aumentare la competitività, la sicurezza e sostenibilità delle nostre produzioni.
Serve prendere coscienza tutti insieme che per il bene della filiera agroalimentare italiana si devono abbandonare dannosi pregiudizi e retro pensieri che mortificano la libertà di impresa e che costringono i nostri produttori a rimanere sui mercati correndo sempre in salita. L’agroalimentare italiano e la nostra agricoltura ha necessità di mantenere la propria tipicità e le proprie tradizioni, ma è impossibile immaginare di poterlo fare senza il contributo fondamentale dell’innovazione offerto dalla scienza.
Una priorità che speriamo la nuova classe politica che uscirà dalle urne dopo il prossimo 4 marzo saprà tenere in evidenza sulla propria agenda.
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Giulio Gavino Usai