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La zootecnia non compete con l’uomo per le risorse alimentari: un’analisi della FAO

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Uno di temi ricorrenti nel dibattito pubblico è quello che accusa i sistemi di produzioni animali di concorrere con l’uomo per gli stessi alimenti, cereali e soia in particolare, sottraendo all’alimentazione umana ingenti derrate che potrebbero risolvere il problema della sottoalimentazione nel mondo. A confutare questo per molti (in gran parte vegani e vegetariani) assodato paradigma, viene incontro un lavoro recentemente pubblicato a cura di ricercatori della FAO e dell’Università di Wageningen (Mottet et al. Global Food Security, 2017, 14: 1-8) i quali, sulla base della valutazione globale dei consumi di ruminanti e monogastrici allevati a fini produttivi, traggono conclusioni diametralmente opposte alla narrazione corrente sulla controversia feed versus food: gli animali zootecnici, pur consumando una quota rilevante di alimenti destinati all’uomo, consumano per la stragrande parte foraggi, sottoprodotti e coprodotti non utilizzabili nella catena alimentare umana e contribuiscono, nelle aree più povere del mondo, in maniera positiva alla disponibilità di proteine di alto valore biologico.

Analizziamo più in dettaglio il lavoro. Gli autori affermano che i prodotti di origine animale sono rilevanti non solo in quanto concorrono con il 18% delle calorie e il 25% delle proteine alla sicurezza alimentare globale, ma anche per l’alta qualità della proteine e per gli apporti in micronutrienti (vitamina A, vitamina B12, riboflavina, ferro, zinco) essenziali alla nutrizione umana. Inoltre, gli animali zootecnici contribuiscono alla produttività agricola di vaste aree del Pianeta attraverso i concimi e il lavoro. Per stimare la reale concorrenza feed vs food, essi hanno utilizzato un modello globale (GLEAM, Global Environmental Assessment Model) che rappresenta in termini matematici spaziali i processi biofisici e le attività che si svolgono lungo le filiere zootecniche secondo il principio della Life Cicle Assessment. I risultati mostrano che gli animali zootecnici consumano annualmente 6 miliardi di tonnellate di sostanza secca di alimenti, di cui il 46% rappresentato da foraggi, l’8% da insilati e barbabietole da foraggio, il 19% da residui colturali, dal 13% da coprodotti dell’industria alimentare e dal 14% da granelle e altri alimenti utili per l’uomo. In sostanza, soltanto 14 kg su 100 consumati da tutti gli animali allevati sulla Terra può essere (ipoteticamente) destinabile al consumo umano! Se si guarda poi alla proteina edibile per l’uomo contenuta negli alimenti per animali, il rapporto per i ruminanti è di 0,6 kg per ciascun kg di proteina di origine animale, mentre per i monogastrici il rapporto aumenta a 2,6. L’altro aspetto analizzato dai ricercatori riguarda i sistemi di produzione messi più sotto accusa, gli allevamenti industriali bovini: questi in realtà rappresentano solo il 7% della carne bovina globale, mentre il restante è ottenuto con sistemi a moderato consumo di alimenti utili anche per l’uomo. Gli autori calcolano che dall’allevamento dei ruminanti (compreso quello dei feedlot) e dei monogastrici da cortile (molto diffusi nei paesi asiatici e in via di sviluppo) si possano ottenere 41 milioni di tonnellate di proteine animali, con una maggiore produzione di 4 milioni di tonnellate rispetto a quelle ingerite dagli animali zootecnici, ma utilizzabili anche dall’uomo; se si includono, invece, i sistemi intensivi dei paesi sviluppati, il rapporto è a sfavore delle proteine animali del 30%, dato che è bilanciato però abbondantemente dall’assoluta migliore qualità delle seconde rispetto alle prime. Per quanto riguarda, infine, l’uso delle terre, gli allevamenti occupano 2,5 miliardi di ha, dei quali 1,5 miliardi di pascoli non utilizzabili per le colture (il 57% del totale). Il lavoro targato FAO mostra che l’allevamento animale, lungi dall’essere insostenibile, rappresenta una fonte insostituibile di proteine nobili e di microelementi ottenuti per la stragrande parte da alimenti non utilizzabili direttamente dall’uomo e che questo è più rilevante nei paesi in via di sviluppo nei quali i sistemi di allevamento estensivo, valutati sotto il profilo dell’input/output proteico, garantiscono un approvvigionamento indispensabile per la sicurezza alimentare e la salute delle popolazioni residenti. 

 

Foto: Pixabay

Giuseppe Pulina – Professore di Zootecnia speciale presso l’Università di Sassari e Coordinatore del Comitato di indirizzo scientifico Assalzoo