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Alimenti per animali da reddito e regola delle 4 R

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Nell’ambito dell’alimentazione animale è crescente l’interesse nei confronti di alimenti che rispondano alla regola delle 4R ovvero: Ridurre, Riutilizzare, Rivalorizzare e Ricerca. Ridurre la competizione fra alimenti destinati all’uomo e quelli destinati agli animali attraverso l’utilizzo di nuove fonti energetiche e proteiche; Riutilizzare gli “sprechi” alimentari; Rivalorizzare i coprodotti agroalimentari e industriali in alimenti funzionali, Ricerca volta a determinare le caratteristiche degli alimenti pr poterli utilizzare in modo efficiente. In tal senso particolarmente interessanti risultano i sottoprodotti derivanti dalle lavorazioni finalizzate alla produzione di “biocarburanti” e prodotti destinati al consumo umano, quali distillers, panelli e farine di estrazione; oppure i sottoprodotti ottenuti da lavorazioni industriali, quali quelli derivanti dall’estrazione della gomma dalla pianta di guar. Infine, anche gli insetti, allevati su un substrato di biomasse, possono rappresentare un’ottima fonte di proteina ad alto valore biologico per gli animali.

SOTTOPRODOTTI DERIVANTI DALLA PRODUZIONE DI BIOCARBURANTI
E’ noto che la maggior parte del bioetanolo utilizzato come carburante deriva dalla fermentazione dell’amido del mais, quindi da un cereale utilizzato per l’alimentazione animale e umana. Tuttavia altre fonti, quali la canna da zucchero, altri cereali, olii di palma, girasole, colza, soia destinabili all’alimentazione umana vengono impiegate per produrre biocarburanti. Questi biocarburanti sono stati classificati come biocarburanti di prima generazione e l’utilizzo dei sottoprodotti che si ricavano dalla loro produzione, è abbastanza diffuso nell’alimentazione animale.
I biocarburanti di seconda generazione derivano invece da materie organiche non alimentari, il cui utilizzo non impatta sulla filiera agroalimentare. Si tratta di residui dell’agroindustria, dell’agricoltura, dalla frazione organica di rifiuti urbani, oppure da colture dedicate (feed no food). L’utilizzo di queste ultime per la produzione di biocarburanti, permetterebbe di ottenere, anche in questo caso, sottoprodotti da riutilizzare in alimentazione animale, rendendole quindi maggiormente remunerative (Bontempo et al., 2013).
Expeller di camelina Fra le colture più interessanti per la fornitura di materie prime affidabili e a basso costo per la produzione di biodiesel, si può annoverare la Camelina (Camelina sativa o falso lino). La farina residua dall’estrazione dell’olio ha una composizione ed una digeribilità analoga alla farina di estrazione di colza, mentre il contenuto residuo di olio (10 %) presenta un’elevata percentuale di acidi grassi ω-3, in particolare acido linolenico (38-40 % degli acidi grassi totali) da cui anche il nome di “falso lino” attribuita a questa coltura. Da sottolineare inoltre anche l‘elevato contenuto di γ-tocoferoli (vitamina E, 110 mg/100 g). Una caratteristica negativa potrebbe essere la presenta di una quantità variabile di fattori antinutrizionali, in particolare antitripsinici, il cui contenuto nei semi può variare da 1.9 a 28 mg/g, a seconda della varietà. Del resto anche i semi di soia contengono fattori antitripsinici in quantità piuttosto elevata (22.1 mg/g), tuttavia la loro presenza viene ridotta a seguito dei trattamenti termici cui sono sottoposti durante la loro lavorazione (fioccatura, estrusione, tostatura). Un ulteriore svantaggio potrebbe essere legato al contenuto di fitati che formano complessi insolubili con minerali quali ferro, zinco, calcio, fosforo e magnesio e di glucosinolati (tra 14 e 36 μmol/g) che riducono la sintesi di ormoni tiroidei, interferendo con il metabolismo dello iodio.
Ciononostante le prove fin qui condotte con l’inclusione di expeller di camelina nei mangimi per bovini da carne, da latte, per gli ovini, per i conigli e per polli hanno dato risultati positivi e fanno ritenere questo prodotto un’alternativa molto interessante sia per l’elevato contenuto proteico (35 %), sia per il contenuto di acidi grassi omega 3 con possibili ripercussioni positive sulla salute e fertilità degli animali oltre che per la qualità dei prodotti derivanti destinati all’alimentazione umana.

Alghe. Fra le possibili colture intensive da destinare alla produzione di biocarburanti, si possono annoverare anche le alghe (Spirulina). La loro elevatissima velocità di crescita permette l’accumulo in tempi rapidi della biomassa e l’assorbimento di significative quantità di CO2. L’estrazione dell’olio dalla biomassa per la produzione di biodiesel darebbe origine ad un prodotto ricco di proteine (50-60%), oltre che di sostanze con attività nutraceutica, alternativa alle farine di pesce fatta eccezione per il limitato contenuto in aminoacidi solforati.

Tabacco Recentemente è stato anche proposto di estrarre olio da destinare alla produzione di biocarburante anche dai semi di tabacco, dato che sono molto ricchi in olio. A tale riguardo, negli ultimi anni, nella provincia di Cremona, è stato brevettato un sistema di produzione di energia alternativa ed eventuale biodiesel a partire dai semi di tabacco. Dai questi semi sottoposti a pressione a freddo, si estrae un olio, che viene poi convertito in energia attraverso un appropriato generatore. Il panello, infatti, contiene una maggiore percentuale di proteine (34,5%) rispetto al seme da cui è derivato, in quanto più concentrato. Inoltre tale composto, che macroscopicamente appare farinoso e brunastro, possiede il 94% di sostanza secca, circa il 10% di lipidi grezzi, assenza di fattori anti-tripsinici ed alcaloidi e risulta facilmente miscelabile all’interno di un mangime per animali.
Il panello di tabacco, incluso nel mangime di suinetti in svezzamento nella misura del 3%, ha permesso di ottenere performance di crescita significativamente migliori rispetto ai controlli. Inoltre i soggetti trattati hanno dimostrato un più rapido superamento della fase di adattamento post-svezzamento, riuscendo prima rispetto al controllo ad assumere una quantità di alimento pari ai valori di riferimento

GUAR
La Cyamopsis tetragonoloba, comunemente conosciuta come “pianta del Guar”, è una leguminosa coltivata in più distretti dell’India e del Pakistan (Hussain et al., 2012). I frutti della pianta del Guar si presentano come bacelli portanti ciascuno dai 5 ai 9 semi, la cui lavorazione permette di ottenere la gomma, costituita da galattomannani, ed una farina ad alto contenuto proteico (50-60% a seconda delle lavorazioni). Durante il processo di estrazione della gomma i semi vengono riscaldati a temperature elevate (93-105°C), il che determina un abbattimento dei fattori antitripsinici normalmente presenti in questa leguminosa. La gomma di guar è utilizzata nell’industria alimentare, grazie alle proprietà addensanti, nella produzione della carta, nell’estrazione del petrolio. La frazione residua di gomma costituisce un limite all’utilizzo di questo alimento nell’alimentazione del broiler, infatti i galattomannani, che non vengono digeriti, aumentano la viscosità del contenuto intestinale, riducendo l’assorbimento dei nutrienti Quando la percentuale di inclusione è bassa, inferiore al 2% gli effetti sono meno marcati, ma quando l’inclusione aumenta il peggioramento delle performances è evidente. Un modo per ridurre tali effetti negativi è rappresentato dall’inclusione nei mangimi di mannanasi, enzima che degradando i galattomannani migliora la digeribilità della farina di guar (Hussain et al., 2012)
La supplementazione di farina di guar alla dieta di bovine in lattazione, non altera l’appetibilità della razione e non determina variazioni della produzione e della qualità del latte

INSETTI
Gli insetti possono rappresentare una fonte di proteina molto interessante per l’alimentazione degli animali. Gli insetti vengono prodotti utilizzando biomasse organiche, che rappresentano comunque un rifiuto, e non sono quindi in competizione alimentare con l’uomo. Attualmente la produzione di insetti è esercitata su scala ridotta da ditte che producono insetti per animali da compagnia o per giardini zoologici, ma una produzione su vasta scala non presenterebbe problemi tecnici insormontabili, al contrario, ad esempio, la produzione di soia ha un limite nella disponibilità di terra coltivabile. Gli insetti sono caratterizzati da un ottimo indice di conversione e da un contenuto proteico e lipidico decisamente elevato, paragonabile a quelli della farina di aringhe (Veldkamp et al., 2012). Gli animali per cui risulta più interessante l’utilizzo degli insetti come ingrediente dei mangimi sono i pesci, i cani e i gatti, animali che richiedono diete con elevati contenuti di proteina, preferibilmente o obbligatoriamente, apportata da farne di origine animale. Gli insetti possono però rappresentare un ingrediente anche per i mangimi per suini e specie avicole, mentre più difficile è prevedere un loro utilizzo nell’alimentazione dei ruminanti, non tanto per problemi tecnici ma per motivi legislativi, non potendosi utilizzare, ad oggi, proteine animali nell’alimentazione dei ruminanti.
Gli studi sull’utilizzo di questo ingrediente sono all’inizio e vi sono molti aspetti che vanno chiariti, quali la digeribilità ileale e totale degli aminoacidi, la composizione della frazione lipidica, la percentuale di inclusione, gli effetti sui prodotti, carne e uova, la sicurezza alimentare, presenza di patogeni, di metalli, di inquinanti in genere, gli effetti dietetici, alcuni insetti contengono chitosani, che modulano la riposta immunitaria (Bontempo et al., 2013a).

In conclusione quindi nel prossimo futuro si renderanno disponibili sempre più alimenti per gli animali che non sono in competizione con l’alimentazione dell’uomo, utilizzabili anche nell’alimentazione dei monogastrici che, come è noto, sono gli animali in maggiore competizione alimentare con l’uomo. L’utilizzo di questi alimenti renderà quindi più sostenibile l’allevamento degli animali da reddito da un punti di vista economico, sociale e ambientale.

Foto: Pixabay

Giovanni Savoini, Valentino Bontempo, Vittorio Dell’Orto – Dipartimento Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare – Università degli Studi di Milano