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Prolungare la lattazione della bovina: gestione tecnica e alimentazione

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L’utilità, vera o presunta, di allungare la lattazione della bovina da latte è motiva da alcune ragioni oggettive:

–                 il parto è una fase critica che comporta maggiori costi: impegno manodopera, spese veterinarie e medicinali, aumento “incidenti” talora mortali, ecc.;

–                 la bovina nel puerperio è più facilmente soggetta a problemi di salute quindi a riduzione del benessere;

–                 un intervallo parto-inseminazione più lungo, se entro certi limiti, permette un ripristino della funzionalità riproduttiva ottimale, senza compromettere la economicità gestionale;

–                 la qualità del latte è “migliore e più “costante” dopo i primi 3 mesi di lattazione;

–                 la bovina ad alto potenziale genetico, se non ingravidata precocemente, tende  a prolungare sensibilmente la lattazione con elevata persistenza, per cui la lunghezza ideale volta a massimizzare il guadagno per l’allevatore va estesa ben oltre i 365 giorni canonici di interparto.

Al contrario, non si può dimenticare che ridurre le gravidanze per ciascuna bovina significa diminuire il numero di vitelli in assoluto e soprattutto di femmine dalle bovine migliori.

Pertanto è necessario fare un bilancio fra fatti positivi e negativi. Così, esprimendo in termini economici il valore di una nuova gravidanza, De Vries (2006) ha evidenziato che se inizia precocemente non è mai conveniente (con eccezione per gli animali con bassa produzione). Con produzioni elevate, 120% della media di razza, il massimo valore di una gravidanza si ha se si superano i 200 giorni dal parto nelle pluripare e i 300 giorni nelle primipare. È pertanto importante accertare in che misura sia possibile garantire, per gli animali da destinare ad essere “perenni” (quindi da non inseminare prima dei 150 giorni), due obiettivi essenziali: un picco molto elevato al 2° mese e soprattutto una grande persistenza in seguito. Come ciò sia possibile è solo in parte noto; si sa ad esempio che la componente genetica è importante, ma lo è soprattutto per conseguire un elevato picco produttivo post-partum (Capuco e coll., 2003). La componente genetica è invece meno importante quando si parla di persistenza, essendo numerosi i fattori che – in un periodo molto più lungo e soprattutto meno influenzato dalle doti endogene – possono condizionare la risposta produttiva (Knight, 2001): malattie infettive, stress ambientali (es. caldo), condizioni di allevamento fra cui le modalità di mungitura, una tecnica alimentare più o meno corretta ecc..

Dunque, non vi sono dubbi sull’importanza di avere soggetti geneticamente dotati per la capacità di raggiungere elevati livelli produttivi, superando efficacemente i rischi di malattie metaboliche ed infettive, per poi mantenere a lungo tali livelli. La nostra attenzione si soffermerà tuttavia su come gestire ed alimentare tali bovine – nelle diverse fasi produttive – in modo da consentire loro la massima espressione del potenziale genetico: cioè produrre molto latte ed a lungo, rendendo convenienti intervalli fra i parti di 15-18 mesi ed oltre.

Per quanto attiene al 1° obiettivo, cioè raggiungere un picco elevato, occorre tenere presente che nel post-partum il bilancio energetico non è correlato con la produzione, ma bensì con l’ingestione. Pertanto è necessario ottimizzare le condizioni di salute della puerpera poiché ciò consente di elevare più velocemente l’ingestione di sostanza secca e di migliorare l’efficienza con cui sono utilizzati i nutrienti disponibili, col risultato finale di rendere meno critico il bilancio energetico, nonostante la produzione elevata. In sintesi, le regole da seguire riguardano la prevenzione delle malattie metaboliche ed infettive più frequenti nel puerperio. Ad esempio, è necessario portare gli animali a fine lattazione in adeguate condizioni nutrizionali (BCS fra 2.8 e 3.2); programmare una  durata dell’asciutta di non oltre 55 giorni (intervallo fra fine mungitura e parto); prevenire le malattie infettive più a rischio in transizione (profilassi mastite, vaccinazione virus, clostridi, coli, ecc.); contenere i problemi podali (toelettatura dei piedi nella fase iniziali dell’asciutta); evitare distocie e stress al parto (vitelli piccoli, attenzione ai parti, spostamenti nei gruppi); prevenire le malattie metaboliche come il collasso puerperale (adeguate integrazioni minerali), la ritenzione di placenta (in particolare Selenio e vitamine E, evitare stress) od anche disturbi digestivi (moderato contenuto energetico delle razioni e pari a circa 0.7 UFL/kg di s.s.; close-up breve e leggero; nelle prime 2-3 settimane di lattazione utilizzare razione del 2° gruppo delle bovine in lattazione). Infine, dopo il parto, grande attenzione ad eventuali casi clinici nelle freschissime (controllo degli animali ed interventi tempestivi e appropriati) e verificare l’opportunità di interventi integrativi nelle freschissime (lieviti, propionato, glicole, ecc.).

In ogni caso, nel periparto, l’infiammazione è il vero nemico: quindi va prevenuta e/o minimizzata.  Potrebbe essere utile anche il ricorso a mezzi con azione antiinfiammatoria (nutrienti, ma soprattutto composti nutraceutici: ω3, antiossidanti, polifenoli ecc.).

Se questo consente – nella stragrande maggioranza delle bovine – di giungere al picco con i “massimi” livelli oltre che in buona salute e con un deficit energetico basso-moderato, il prosieguo della lattazione sarà verosimilmente promettente con alta persistenza sino al concepimento (che si potrà così ritardare quanto più possibile). La “scommessa” tuttavia, sarà realmente vinta a due condizioni – entrambe finalizzate ad evitare malattie infettive, disturbi digestivi, stress più o meno importanti ed una non perfetta mungitura per mantenere più a lungo un elevato numero di cellule (Figura 1):

–                 corretta gestione degli edifici e impianti per avere mungitura ottimale, condizioni micro-climatiche accettabili, condizioni igienico-sanitarie ineccepibili, soprattutto con riferimento a  mammella e piedi-arti;

–                 corretta alimentazione rivolta a garantire la necessaria copertura dei fabbisogni energetico-proteici (ma anche minerali e vitamine) assicurando la miglior funzionalità digestiva e così puntando maggiormente sulla elevata ingestione di s.s., e non sulla concentrazione energetica degli alimenti.

Per concludere, se il potenziale genetico è elevato e vi sono le condizioni organizzative e di “knowhow” atte ad ottimizzare la salute nel puerperio ed a minimizzare i vari fattori di stress nel prosieguo della lattazione, può essere conveniente ritardare la fase riproduttiva ed allungare la lattazione con la certezza di avere più latte e meno impegno-problemi nel seguire i parti.

*Istituto di Zootecnica, Facoltà di Agraria, UCSC Piaenza

Foto: Pixabay

Bertoni Giuseppe*, Calamari Luigi*