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La lunghezza della lattazione: gli aspetti economici

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La valutazione della lunghezza ottimale di lattazione in base agli aspetti economici è ancora controversa; la difficoltà di calcolare la lunghezza ottimale e i termini della convenienza è amplificata dal fatto che tutte le stalle, tendono a programmare la gestione riproduttiva dell’allevamento con l’obiettivo di ottenere lattazioni corte e interparti quanto più possibile brevi sulla base di quanto ritenuto fino ad oggi più vantaggioso (Speicher e Meadows, 1967; Holmann et al., 1984; Stranberg e Oltenacu, 1989; Groenendal e Galligan 2004; De Vries, 2004; Sørensen e  Østergaard, 2003). Le lattazioni più lunghe delle lattazioni standard, cioè maggiori di 305 giorni in mungitura (GIM) che si verificano a causa dei problemi riproduttivi, le possiamo infatti definire come lattazioni lunghe subìte dall’allevatore, poiché non hanno raggiunto gli obiettivi di gestione, e non costituiscono un valore di riferimento per calcolarne la convenienza economica. Tuttavia, vantaggi e svantaggi sono attribuiti a cicli di lattazione corti, nei quali si osservano più picchi di lattazione, ma anche più periodi di asciutta rispetto ad una vacca con lattazioni più lunghe. Sicuramente, con lattazioni corte in allevamento vengono prodotti elevati volumi di latte e un maggior numero di vitelli . Il rapporto è di 3:2 se consideriamo un periodo di tre anni con interparti di 12 mesi e 18 mesi rispettivamente (Knight, 2005).  


Quale è il periodo ottimale di servizio.
Dal punto di vista economico, fecondare le vacche troppo presto vicino al parto o troppo tardi, potrebbe essere poco vantaggioso (De Vries, 2006). Gli aspetti economici sono legati al latte prodotto (quantità e qualità), al valore dei vitelli venduti, al costo di alimentazione, al costo di allevamento della rimonta (o al relativo prezzo di mercato) e ai rischi sanitari associati al parto.

I ricavi dal latte prodotto aumentano con la quantità e la qualità dello stesso. In termini quantitativi il latte prodotto è maggiore con lattazioni corte; tuttavia nello stesso intervallo di tempo, animali  persistenti con lattazioni lunghe, hanno produzioni medie di latte conferito (litri per giorno di presenza in stalla, includendo l’asciutta) simili a quelle degli animali con lattazioni corte (Auldist et al., 2007; Arbel et al., 2001). Gli animali persistenti, geneticamente o per il buon management della fase media e finale di lattazione, sono quelli che, ingravidati troppo, presto devono essere messi in asciutta con elevate produzioni di latte, quando ancora converrebbe tenerli in mungitura; questi animali se avessero avuto una lattazione più lunga avrebbero potuto aggiungere guadagni marginali al profitto della stalla in un periodo della lattazione non pericoloso per aspetti sanitari e metabolici. In genere con le primipare la convenienza ad aumentare la lunghezza di lattazione è maggiore rispetto alle pluripare per la loro elevata persistenza (Inchairsi et al., 2011; De Vries, 2006; Arbel et al., 2001).

Tutto dipende dalla qualità del latte. Animali con lattazioni lunghe sono inoltre persistenti “di per se” perché  ritardano quello che viene chiamato “effetto gestazione” per cui man mano che la gestazione avanza parte dei nutrienti vengono destinati al feto e alle riserve corporee piuttosto che alla produzione di latte; a 300 giorni di lattazione vacche di Frisona Italiana che hanno terminato la lattazione a 505 giorni avevano una produzione di latte maggiore di +1,5 kg per le primipare e +4,4 kg per le pluripare rispetto alle vacche che hanno terminato la lattazione a 305 (Atzori et al., 2010).
La qualità  del latte (espressa come solidi prodotti) avvantaggia la produzione di vacche che hanno lattazioni lunghe soprattutto nei casi in cui il prezzo del latte la premia incisivamente. Infatti la produzione annualizzata di solidi del latte, o di latte normalizzato, rimane pressoché costante per interparti dai 13 ai 19 mesi (Inchairsi et al., 2011) e tale rimane  anche la percentuale di energia spesa per il mantenimento rispetto al totale dei fabbisogni per kg di solidi prodotti. In questi casi i ricavi per capo sono più alti nella prima fase di lattazione, ma il valore del latte prodotto in lattazione avanzata è molto elevato, proporzionalmente al contenuto di grasso e di proteine. Pertanto, animali che riescono, superata la fase iniziale, a produrre latte di qualità, compensano bene i costi di alimentazione sostenuti se il valore della qualità viene riconosciuta nella griglia di pagamento e se nelle stalle possono essere separati in un gruppo indipendente, da alimentare con razioni bilanciate ma più economiche (più foraggi, meno nuclei e integratori). Secondo quanto da noi osservato con griglie di qualità che premiano molto il contenuto di grasso e proteine del latte, il guadagno per litro (IOFC in €/litro, espresso come ricavo al netto dei costi alimentari) tende a crescere con l’avanzare della lattazione, mentre il guadagno per capo (IOFC; €/d per capo) è quasi costante durante i primi 400 giorni di lattazione, molto variabile nella prima fase, meno variabile nella fase finale. I dati individuali degli animali presenti in stalla indicano un potenziale guadagno elevato ad inizio lattazione ma spesso poco raggiungibile per l’elevato rischio economico dovuto ai numerosi problemi gestionali che si traducono in costi sanitari e perdite produttive.  

La rimonta, un problema e un costo. La lunghezza di lattazione influenza notevolmente anche i costi di rimonta obbligatoria. Nell’ipotesi che il parto sia il fattore che più limita la longevità degli animali,  le vacche che completano 3 lattazioni lunghe rimangono in stalla per un periodo più lungo rispetto agli animali che completano 3 lattazioni corte e  pertanto le prime necessitano di minore rimonta per essere sostituite a fine carriera (22% vs 35% rispettivamente per 3 lattazioni da 505 giorni rispetto a 3 lattazioni da 305 giorni). Nel primo mese di lattazione viene riformata una percentuale di animali (13%) più che doppia rispetto al terzo mese di (6%): al parto (o al periodo di transizione) è infatti associato anche il costo sostenuto per fronteggiare i problemi metabolici e sanitari che causano maggiore riforma involontaria di animali (Campiotti, 2007). La quantità di rimonta necessaria a sostituire questi animali è direttamente proporzionale alla lunghezza di lattazione poiché associata al numero di parti. Una riduzione della rimonta porterebbe però a ridurre il progresso genetico dell’allevamento (De Vries, 2004).
La convenienza economica di avere lattazioni più lunghe di 305 giorni dipende anche dal costo della rimonta. Tanto più aumenta il costo (o il valore) della rimonta tanto maggiore è la convenienza ad allungare la lattazione, risparmiare animali da rimonta e aumentare la vendita delle manze. Al contrario all’aumentare del valore del vitello potrebbe essere conveniente aumentare il numero dei parti e accorciare la lattazione (De Vries et al., 2006).  

La convenienza economica ad allungare la lattazione dipende dal sistema di allevamento. Nei sistemi estensivi con marcata stagionalità la convenienza economica è  stata ottenuta con interparti molto lunghi di 18 0 24 mesi che si abbinano all’andamento delle stagioni (Auldist et al., 2007; Grainger et al., 2009; Butler et al., 2006). Addirittura, con sistemi semi-intensivi sono state ottenute buone performance economiche da animali molto persistenti che riescono a stare in lattazione per più di due anni e definiti “perenni” (Rotz et al., 2005). Gli esempi riportati in letteratura in cui è stata calcolata la convenienza economica della lunghezza di lattazione sono ancora scarsi e non consentono di trarre delle evidenze generali e delle regole assolute. L’unico esperimento condotto per confrontare vacche di alto livello produttivo  inseminate precocemente (93-71 GIM per primipare e pluripare rispettivamente) e vacche inseminate tardivamente (154-124 GIM per primipare e pluripare rispettivamente) è stato pubblicato da Arbel et al. (2001). In questo lavoro sono stati considerati i costi alimentari, i costi della manodopera, altri costi variabili e i ricavi da latte (circa 11.000 kg di latte/anno per capo) e carne. Il guadagno per giorno di interparto, è stato più alto di 0,19 $/capo e 0,12 $/capo per le vacche primipare e pluripare inseminate più tardi, rispettivamente; quando sono state incluse anche le spese e ricavi dei primi 150 giorni della lattazione successiva la differenza di reddito netto è aumentata a 0,21 $/capo e 0,16 $/capo, rispettivamente. Altri autori hanno osservato benefici della lattazione più lunga della standard nella lattazione successiva soprattutto legati alla condizione corporea; tuttavia, le evidenze non sono ancora chiare (Funk et al., 1987). Lo studio più recente (Inchairsi et al., 2011) ha riportato, su dati simulati a partire dalle condizioni generali di allevamento olandesi, che le lattazioni più corte sono le più convenienti, ma che le perdite sono molto ridotte e variano da 0 a 19 €/capo per anno passando da 42 a 77 giorni di periodo di attesa volontario  a cui corrispondono proporzionali lunghezze di lattazione. Gli stessi autori commentano di non aver tenuto conto dei costi sanitari.   

Un nostro modello bioeconomico per stimare la lunghezza più  conveniente di lattazione. Su 60.000 lattazioni di Frisona Italiana divise per classi di lunghezza da 305 a 505 GIM abbiamo stimato la lunghezza ottimale di lattazione in termini economici; utilizzando un modello bio-economico abbiamo considerato i flussi di cassa relativi a costi e ricavi (costi di rimonta, alimentazione, riproduzione, mungitura e  costi sanitari; ricavi del latte, del valore del vitello e della riforma; interessi) di 3 cicli di lattazione per 6 classi di lunghezza di lattazione da 305 a 505 GIM (Atzori et al., 2010). La lunghezza ottimale di lattazione è stata stimata in due scenari; essa è risultata pari a 345 giorni di mungitura nella condizione di minima efficienza riproduttiva, cioè nell’ipotesi che le vacche vengano fecondate dopo il periodo di attesa volontario ogni 21 giorni e le vacche nelle classi di lunghezza maggiore siano quelle che tardano a rimanere gravide (lattazioni lunghe subìte e alti costi riproduttivi); essa è risultata invece di 465 giorni di mungitura nel caso di efficienza riproduttiva massima, cioè nell’ipotesi che tutte le vacche sono rimaste gravide al primo intervento fecondativo (solo il costo di 1 inseminazione) e le classi di lunghezza scelte dall’allevatore (lattazioni lunghe volontarie e solo il costo di una inseminazione). I due scenari hanno definito i limiti teorici di convenienza della lunghezza di lattazione, ne senso che essi rappresentano i limiti delle combinazioni di convenienza delle stalle reali in base alla loro efficienza riproduttiva.
In termini di convenienza economica la lunghezza di lattazione non è un valore fisso, ma dipende dalle caratteristiche delle singole aziende e dalle caratteristiche delle singole vacche. Ottenere dalle vacche una lattazione più corta sarebbe maggiormente conveniente con il latte pagato in base al volume e non in base alla qualità, con bassi costi di allevamento della rimonta, con pochi problemi sanitari, con animali allevati in gruppo unico ed elevati costi di alimentazione e dove non ci sono problemi di quota.
La lunghezza di lattazione potrebbe essere convenientemente allungata rispetto di 305 giorni per stalle che hanno indici riproduttivi buoni, possibilità di separare gli animali in gruppi e spendere meno per le razioni delle vacche in lattazione avanzata, elevati costi di rimonta , prezzo del latte che premia molto la qualità e forti limiti di quota.
In termini pratici, dentro le nostre stalle, sicuramente le vacche più persistenti, quelle che hanno il picco tardi, quelle che hanno ovulazioni tardive o altri problemi riproduttivi e quelle che sono recidive a problemi metabolici nel periparto sono le candidate al gruppo degli animali da gestire con lattazioni lunghe (Inchairsi et al., 2011).  

Quali prospettive?
In base a queste considerazioni si può prevedere che non appena si avranno a disposizione i mezzi per valutare gli animali rispetto al loro potenziale individuale (informazioni genetiche e valorizzazione dei dati individuali delle vacche raccolti in stalla dai programmi di gestione) sarà possibile procedere alla riorganizzazione dei gruppi di stalla anche in base alle esigenze riproduttive e non solo nutrizionali. Infatti, la strategia riproduttiva migliore è quella che permette di ricavare il massimo rendimento economico netto da ogni animale, piuttosto che quella che mira a massimizzare il singolo indice riproduttivo medio dell’allevamento e la produzione di litri di latte.
Per il momento sembra opportuno assecondare parzialmente il normale allungamento della lattazione verso i 350 giorni medi attualmente osservati, magari spostando il periodo di attesa volontaria di qualche settimana. Rimane indubbio che il percorso da seguire è quello del miglioramento della efficienza riproduttiva perché solo le aziende capaci di ottenere buoni risultati riproduttivi possono optare per un nuovo obiettivo gestionale.  

Relazione presentata al convegno ASPA-ASSALZOO “Lattazioni lunghe, una realtà  da valorizzare”, Cremona 22 ottobre 2011. 

Foto: Pixabay

Alberto Stanislao Atzori, Federico Rotondo, Antonello Cannas, Giuseppe Pulina