Dopo essere diminuita per cinque anni consecutivi, nel primo semestre 2017 la spesa degli italiani per l’acquisto dei beni alimentari è cresciuta del 2,5%, grazie all’aumento del 3,2% degli acquisti dei prodotti confezionati e dell’1,1% di quelli freschi. È quanto emerge dal rapporto: “Consumi alimentari – I consumi domestici delle famiglie italiane” pubblicato da Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), secondo cui il rialzo dei consumi testimonierebbe l’uscita dalla crisi che ha portato gli italiani, nel corso degli ultimi anni, a riorganizzare il proprio carrello della spesa.
L’Istituto evidenzia che rispetto al primo semestre 2016, i consumi domestici sono aumentati quasi per tutte le categorie merceologiche. Nello specifico, le vendite dei prodotti ittici freschi sono cresciute del 7,4%, mentre quelle del pesce congelato sono aumentate del 4,2%. Ha registrato un incremento anche la spesa per i salumi (+3,2%) e quella per le carni suine fresche (+1,2%). L’Ismea precisa che in questo caso la tendenza è dovuta più che altro all’aumento dei prezzi medi al consumo. Le carni bovine presentano un miglioramento del valore unitario del 2% che a fronte di volumi acquistati quasi stabili si trasforma in una crescita della spesa dell’1,1%. La spesa per le carni avicole è aumentata dello 0,6%, per cui secondo l’Ismea il rialzo sarebbe da attribuire esclusivamente all’aumento del prezzo in ascesa.
I consumi delle bevande sono cresciuti del 4,5% (quelli delle birre più dell’8%), quelli della spesa per la frutta fresca del 5,8% e quelli degli ortaggi freschi del 5,5%. Resta, invece, stabile la spesa per gli olii e i grassi vegetali e quella per i derivati dei cereali. Quest’ultima registra tendenze negative per la pasta di semola (-2,6 in valore e -1,6% i prezzi medi), la farina, le semole e i prodotti per la prima colazione, bilanciate dalla crescita degli acquisti di pasta fresca all’uovo basi per pizze e riso.
In controtendenza gli acquisti del latte e dei suoi derivati, che presentano una flessione malgrado il generale aumento dei prezzi medi di vendita. Il comparto è però sostenuto da una buona spinta dell’export, che compensa il calo dei consumi nazionali. Nello specifico, la spesa per il latte fresco – sempre più spesso sostituito da prodotti alternativi – è diminuita del 4%, quella per lo yogurt tradizionale del 3%, mentre quella per i formaggi molli, duri e semiduri ha registrato flessioni comprese tra l’1% e il 2%.
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