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Zootecnia biologica: stato della ricerca e prospettive per l’alimentazione animale

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1. Stato della ricerca sulla zootecnia biologica
Le produzioni animali in regime biologico sono oggetto di numerosi studi e ricerche, come testimonia la consistente produzione scentifica. Da una preliminare indagine svolta per titoli utilizzando l’interfaccia Web of ScienceTM (WoS), che consente l’accesso alle principali basi di dati per le citazioni compilate dall’Institute for Scientific Information (ISI) , risulta che dal 1991 al 2015 sono censiti ben 354 lavori scientifici inerenti la zootecnia biologica e che tali pubblicazioni sono a loro volta oggetto di numerose citazioni (oltre 3.500). In particolare dal 2000 al 2006, la produzione scientifica di settore ha subito un incremento notevole, mentre in termini di citazioni cumulate, i trend di massima crescita si sono realizzato nei periodi 2000-2001 e 2004-2007.
In buona parte, i contributi inerenti la zootecnia biologica sono pubblicati sotto forma di articolo scientifico in rivista. Tra queste primeggia Journal of Dairy Science con 24 articoli pubblicati tra il 2004 ed il 2014 e inerenti aspetti di rilievo per l’allevamento biologico da latte. Degno di nota appare il fatto che il primo contributo, pubblicato sotto forma di articolo in rivista (Measures, 1991), sia relativo all’allevamento biologico per la produzione del latte.
L’interesse scientifico per l’allevamento biologico è manifestato anche da numerosi contributi a convegni o congressi ed altre forme di diffusione delle esperienze di studio e ricerca (proceedings, capitoli di libro etc.). La sintesi dei principali elementi che caratterizzano la ricerca nel settore è compendiata in 15 reviews delle quali, per due terzi, sono ospitate dalla rivista Livestock Production Science, ora Livestock Science.
Le Key Words utilizzate per consentire la rapida ricerca nelle banche dati confermano la preponderanza del settore dairy (milk + cheese) tra quelli presenti nella letteratura scientifica inerenti la zootecnia biologica. Nel complesso la specie bovina è quella che storicamente ha suscitato il maggiore interesse, mentre i settori poultry e aquaculture sembrano essere quelli meno interessati dalla ricerca di settore. Per quanto riguarda gli aspetti dell’alimentazione e della nutrizione, dalla ricerca per parole chiave è emerso che la radice “feed” compare ben 21 volte ma che solo in due casi i relativi lavori utilizzavano la parola chiave feed (non mostrato). Per il resto, le parole chiave riferibili a foraggi, pascoli ed erba sono quelle maggiormente rappresentative della categoria. Tuttavia, sia la nutrizione proteica che l’insieme “element + mineral + vitamin” rappresentano un importante blocco in termini di rappresentatività degli argomenti trattati nelle ricerche, probabilmente in rapporto agli aspetti della nutrizione proteica e minerale, che possono presentare delle criticità per l’allevamento biologico sia in termini di soddisfacimento dei fabbisogni nutrizionali degli animali in produzione che del livello di alcuni microelementi (e.g., iodio, selenio) nei prodotti derivati.
Per la categoria inerente la salute animale, la maggior parte dei lavori si concentra sul problema delle mastiti e delle cellule somatiche del latte, sugli aspetti microbiologici e, solo in minima parte, sull’uso di farmaci, anche omeopatici. Nella categoria delle Key Words con valenza socio-economica, prevalgono welfare e quality ad indicare che tali aspetti sono ritenuti d’estrema importanza per le produzioni animali in regime biologico mentre, solo in subordine, la ricerca scientifica sembra essersi concentrata sugli aspetti economici e sulla sostenibilità (ambientale ed economica).
Dall’analisi bibliografica svolta è possibile evincere come la zootecnia biologica sia oggetto di studi e ricerche fin dai primi anni novanta dello scorso secolo e che, a scala mondiale, è il settore dairy quello che ha ricevuto le maggiori attenzioni da parte dei ricercatori. Pochi, tutto sommato, sono invece gli sforzi profusi nello studio e nella caratterizzazione degli alimenti zootecnici, e dell’alimentazione più in generale, a cui invece occorre porre estema attenzione per le possibili ripercussioni in termini di sostenibilità dei sistemi di allevamento (Nardone et al., 2004).

2. Alimentazione e nutrizione in regime “bio”: una stima sulla situazione nazionale
L’alimentazione animale riveste sicuramente un ruolo fondamentale in termini di performance produttive, salute e benessere animale e quindi di redditività, sia che si tratti di allevamento in regime convenzionale che biologico (Nardone et al., 2004). Per quanto riguarda l’allevamento biologico, come illustrato nella disamina dei principali aspetti che connotano la ricerca internazionale, l’alimentazione è un importante topic che tuttavia appare non ancora sufficientemente approfondito. D’altro canto, alla luce dell’attuale quadro regolamentare comunitario (Reg. CE 834/2007 e successivi), la disponibilità degli alimenti destinati alla zootecnia biologica è oggettivamente uno degli aspetti di rilievo sia sotto il profilo scientifico che tecnico-pratico.
Infatti, le norme comunitarie in materia di alimentazione animale in regime biologico risultano particolarmente stringenti, imponendo che l’intera razione giornaliera debba essere di natura biologica, essendo ormai scaduto il termine (2005) che consentiva di utilizzare, in deroga, dal 10% al 20% (per poligastrici e monogastrici, rispettivamente) alimenti non biologici. Se in molti casi, le norme comunitarie ammettono l’impiego d’integratori (e.g., sali e ossidi di microelementi) senza specifiche restrizioni, in altri, come nel caso di alcune vitamine sia per i ruminanti (Vit. A, Vit. D) che per i monogastrici (Vit. E), esistono forti limitazioni, come quelle recentemente introdotte o modificate dal Reg. UE 2016/673 (All. II, Additivi per mangimi) all’impiego di formulati di sintesi. Necessariamente, quindi, l’allevamento biologico, per potersi sviluppare e consolidare, deve poter fare affidamento su una commisurata disponibilità di alimenti (e.g., proteaginose) e complementi (e.g., integratori minerali e vitaminici) “bio” che, tuttavia, devono seguire logiche di mercato compatibili con i bilanci aziendali.
Se l’approvvigionamento aziendale di foraggi, sia freschi che conservati, può di fatto non rappresentare un problema, specie nei sistemi d’allevamento per la produzione del latte (con le opportune scelte del tipo genetico animale e dei piani alimentari), la disponibilità di concentrati con certificazione biologica è invece un elemento di criticità per il sistema (Nicholas et al., 2004). Infatti, i concentrati “bio” sono di norma più onerosi che non i convenzionali contribuendo, nel complesso, all’incremento dei costi di produzione (Shadbot et al., 2005). Ciò, di riflesso, può avere un impatto negativo sulla redditività aziendale, specie per le aziende agro-zootecniche che non possono contare su una sostanziale auto-produzione di concentrati (Flaten e Lien, 2005). Una stima di bilancio a scala nazionale per i concentrati può essere effettuato sulla scorta di precedenti indagini svolte sul territorio nazionale (Gigli et al., 2009), aggiornando i dati ai contingenti animali dell’ultimo periodo (2011-2014).
In prima istanza, è da considerare il fatto che i dati nazionali di produzione di commodities agricole biologiche, d’interesse anche solo parziale per il comparto zootecnico, per il periodo 2012-2015 fanno registrare un generalizzato decremento, che oscilla da -8,2% per il riso a -75% per il grano duro biologico. Al contrario, la produzione agricola in biologico della soia e degli agrumi (dei quali il sottoprodotto, il pastazzo, può potenzialmente avere impiego zootecnico) sembra avere avuto un periodo favorevole come testimonierebbero i trend positivi. Comunque, nel complesso, dal 2012 al 2015 il settore zootecnico in biologico ha perso la disponibilità di oltre 200.000 tonnellate (- 66,5%) di alimenti “bio” d’origine nazionale, in prevalenza cereali.
A fronte di tale riduzione della disponibilità nazionale di alimenti zootecnici, le consistenze animali hanno invece subito in generale notevole incremento variabile tra il +46% per il pollame (broiler, + 184%) (Fig. 2A) e il +16% per il comparto suino. Solo i cunicoli hanno fatto registrare un lieve calo (-10%) mentre, entro gli avicoli, un -7% è stato registrato per le consistenze di ovaiole.
Il bilancio complessvo per l’anno 2015 evidenzia un forte squilibrio tra disponibilità di alimenti zootecnici “bio” d’origine nazionale e le consistenze per singola specie/categoria dei capi allevati. Per i dettagli metodologici ed i coefficienti impiegati per la stima dei fabbisogni si rimanda al report di Gigli et al. (2009), mentre per i tenori proteici ed energetici dei diversi alimenti zootecnici si rimanda alla pubblicazione di Martillotti et al. (1989; 1996).
Se si confrontano tali stime con quelle relative all’anno 2007 (Gigli et al., 2009) appare evidente come vi sia solo un lieve miglioramento in termini di autosufficienza per le risorse proteiche (proteoleaginose), comunque ampiamente insufficienti. L’incremento delle consistenze di quasi tutte le categorie animali dal 2007 al 2015, a fronte di una situazione sostanzialente inalterata per quanto riguarda la disponibilità di alimenti zootecnici derivati da cereali, ha portato nell’ultimo periodo ad un aggravio del deficit gità registrato nel 2007 (ca. – 230.000 t s.s.). Lo squilibrio tra domanda e disponibilità “domestica” di alimenti e mangimi biologici è corroborato da stime fatte anche nel periodo intermedio (2009/2010) (Rete Rurale Nazionale, 2012). Appare qundi evidente come il sistema nazionale d’allevamento in biologico sia sostenuto dall’importazione di ingenti quantitativi di alimenti concentrati e/o mangimi.
In restrospettiva, simili stime svolte a scala comunitaria (UE25) (Padel, 2005) hanno messo in evidenza come, complessivamente, ad inizio millennio l’UE fosse in grado di fornire solo per il sistema d’allevamento europeo dei monogastrici la quasi totalità delle risorse per coprire i fabbisogni di concentrati, anche in uno scenario al “100% bio”. Tuttavia, già in quello scenario, che non contemplava i grandi e piccoli ruminanti, gli autori denotavano la carente disponibilità di risorse alto-proteiche “bio” che, inevitabilmente, il sistema d’allevamento già allora ricavava quasi esclusivamente dalle importazioni da Paesi Terzi (Padel, 2005; Sundrum et al., 2005).

3. Qualità degli alimenti zootecnici e delle razioni “bio” ed efficienza produttiva
Il quadro emerso dalla disamina della capacità nazionale ed europea di fornire alla zootecnia biologica le risorse alimentari di cui necessita, non consente di evidenziare fattori importanti come la qualità delle risorse. D’altro canto, l’analisi della letteratura permette di affermare come approfonditi studi sulle caratteristiche nutritive degli alimenti biologici ad uso zootecnico siano sostanzialmente carenti. Alcune utili informazioni, sebbene di tipo gestionale, si possono comunque trarre da prove di alimentazione con differenti tipologie di alimento, talora in sostituzione o complementazione di quelli classici.
In uno studio danese (Mogensen e Kristensen, 2003) volto a valutare i benefici di diverse forme di supplementazione (mix di concentrati e polpe di barbabietola bietola) la dieta per vacche da latte era basata su grano come foraggio e insilato di trifoglio più orzo (granella 5,4 kg s.s./capo/die, gruppo B) che, nei gruppi trattamento, veniva totalmente sostituito (6 Scandinavian FU) con 5,1 kg di mix di concentrati (35% crusca di grano, 29% pisello proteico, 13,5% soia integrale, 7% medica disidratata, 3,5% triticale) (gruppo C) oppure parzialmente sostituito (4 SFU, pari 3,6 kg s.s.) da 5 kg s.s. di polpe di barbabietola (gruppo F). I confronti tra gruppo B e gruppi C e F, separatamente, sono stati condotti sulla base di condizioni d’isoenergeticità delle razioni. Tra i risultati principali della ricerca di Ogensen e Kristensen (2003) e che si connotano per un elevato potenziale applicativo, sono da annoverare il maggiore rendimento produttivo (25,9 vs 23,7 kg) per il gruppo C rispetto al B ed equivalenti a 25,7 e 24,1 kg ECM (P<0,05) ed una minore incidenza di casi clinici (dismetabolie, mastiti, laminiti etc.) (5 casi su 53 per il gruppo C e 9 su 53 per il gruppo B). I risultati invece del confronto tra solo orzo (B) e orzo complementato con polpe (F) non hanno consentito di intravedere benefici rilevanti sia in termini di produzione (21,5 vs. 22,9 kg ECM per i due grauppi F e B, rispettivamente, P = 0,05) che di salute delle bovine in lattazione (7 animali con problemi su 41, con 5 casi di mastite e 3 dismetabolici in 8 settimane per il gruppo F e 5 animali su 40, con 3 casi di mastite, per il gruppo B). In un ulteriore prova di parziale sostituzione dell’orzo (3,6 kg s.s.) con pari quantità di pellettato d’erba, gli stessi Autori non hanno notato differenze nella resa in latte e neanche in merito alla casistica clinica dei due gruppi di 30 animali a confronto (1 caso clinico in in 8 settimane per il gruppo trattato col pellettato d’erba contro 3 del gruppo B). Gli Autori attribuirono all’elevata digeribilità del pellettato (63% sulla sostanza organica) i discreti risultati ottenuti in tale prova.
In relazione alle fonti proteiche da concentrati, una ricerca italiana sull’allevamento bovino da latte nelle Alpi (Cozzi et al., 2010), ha preso in considerazione la possibilità di sostituire in toto la soia con il pisello proteico estruso in funzione della resa in latte secondo la fase della lattazione (0,36 kg s.s./kg di latte ad inizio lattazione e 0,12 kg s.s./kg di latte nella lattazione avanzata). Complessivamente i risultati sono stati incoraggianti dimostrando che, nel caso di un allevamento biologico con medie individuali di produzione ad inizio lattazione pari a 17,5 kg/die (8,55 kg/die nella fase avanzata della lattazione), il gruppo “soy-free” è risultato significativamente più produttivo (18,65 e 9,25 kg/die, rispettivamente per le due fasi di lattazione indagate) senza effetto dell’interazione dieta x fase di latttazione. Per i diversi parametri qualitativi del latte indagati (grasso, proteina, lattosio, urea e cellule somatiche) solo l’urea è risultata positivamente influenzata dall’opzione “soy-free”, fattore questo che però potrebbe essere controllato aggiustando la quantità di carboidrati fermentescibili nella dieta in funzione della diversa fonte proteica.
Anche nell’allevamento bufalino in biologico, l’alternativa all’impiego della soia rappresenta un’opportunità. La sostituzione di soia (2,1 kg t.q./capo/die) con il pisello proteico estruso (1,35 kg t.q./capo/die) nella formulazione di unifeed isoproteici per bufale in lattazione, ha esitato in una generalizzata mancanza d’effetto “dieta” sulla produzione di latte o sulle sue principali caratteristiche qualitative e tecnologiche (grasso, profilo aicidico, proteina, cellule somatiche, urea, resa in formaggio). Inoltre, ulteriore fatto positivo, la sostituzione proteica, non ha prodotto sostanziali differenze tra animali trattamento e controllo per quanto riguarda il metabolismo dell’azoto e la digeribilità dei nutrienti (sostanza organica, proteia grazza e fibre).

4. Nutrizione e salute animale in regime “bio”: oligoelementi
Se la strategia d’impiego dei concentrati è un elemento importante in termini di produttività dei sistemi d’allevamento in biologico, altrettanto stringente è la gestione delle risorse foraggere per i ruminanti, come starebbe a dimostrare un’interessante recerca tedesca (Sweers et al., 2012) volta a studiare gli effetti della quota, tipologia e qualità di foraggi sulle rese produttive delle bovine in lattazione. Infatti, stante le limitazioni imposte per via regolamentare all’integrazione di alcuni micronutrienti (oligoelementi, vitamine), la qualità delle risorse foraggere autoprodotte dalle aziende agro-zootecniche in biologico è un altro aspetto d’estrema importanza per il successo produttivo dell’allevamento. Da questo punto di vista, una ricerca norvegese (Govasmark et al., 2005) ha considerato la presenza di selenio (Se) nei foraggi campionati in 14 aziende di bovini e altrettante di ovini da latte. Dalla ricerca, è risultato che il 50% ed i 35% dei foraggi al primo e secondo taglio erano carenti di selenio (<0,01 mg/kg s.s.) e, di riflesso, il tenore ematico di quest’elemento nei bovini e negli ovini è risultato basso (mediamente 0,10 µg/g per le vacche e 0,14 µg/g per le pecore) ed in linea con una scarsa disponibilità dell’elemento nella dieta rispetto ai fabbisogni delle due specie lattifere.
Le carenze di micro-elementi (e.g., selenio, iodio) nei vegetali, sono soventemente da attribuire alla tipologia di suolo. Condizioni geopedologiche locali, infatti, possono avere una notevole influenza sul tenore di selenio nei foraggi e nelle granelle (Nielsen et al. 1984; Hetzel e Mano, 1989; Rayman, 2000), rendendo difficile per gli allevatori formulare diete per ruminanti in regime biologico adeguate alla copertura dei fabbisogni degli animali. Anche nel caso dello iodio, deficienze di tale elemento essenziale sono state riportate negli allevamenti biologici in Europa (Schlemmer et al. 2008).
La nutrizione micro-minerale degli animali in produzione riveste invece un ruolo cruciale nel garantire che i prodotti derivati siano, oltre che sani, “nutrizionalmente adeguati” ai fabbisogni del consumatore (Rayman, 2000). Una recente indagine condotta in Inghilterra (Bath et al., 2011) ha chiaramente evidenziato che il latte bovino biologico può presentare un contenuto in iodio inferiore al 60% rispetto al convenzionale. Vista l’importanza del latte alimentare come fonte di iodio per i consumatori, tali evidenze possono avere implicazioni per l’alimentazione umana che meriterebbero più attente valutazioni.
Gli oligo-elementi, quali iodio e selenio, devono essere presenti nelle razioni degli animali in produzione a livelli adeguati ai fabbisogni al fine di garantire, ad esempio, il buon funzionamento del sistema immunitario (Klebanoff, 1967; Mulhern et al., 1988) con indubbi vantaggi delle performance d’allevamento, salute e benessere animale. Prove condotte in vitro su cellule del sistema immunitario (PBMC) della capra da latte (Danieli et al., 2013) hanno dimostrato che sia lo iodio che il selenio (in varie forme) sono in grado di aumentare dall’80% (selenometinina, 150 µg Se/L, mitogeno Concavalina A) e fino al 100% (ioduro 4 µg I/L, mitogeno Pokeweed) la capacità proliferativa delle PBMC. Per quanto riguarda lo iodio, in una recente ricerca italiana (Ronchi et al., 2014), è stato sperimentato l’impiego di laminaria da produzione organica (Laminaria digitata in polvere – LAM20/50, Thorverk Inc.) nella dieta per capre da latte (Fig. 3). L’effetto delle strategie d’integrazione (controllo e due livelli di supplementazione: LAM1 = 0,80 g/capo/die, LAM2 = 1,60 g/capo/die) è stato valutato mediante analisi del contenuto in iodio ematico totale (incluse le forme organiche – ormoni tiroidei) in una prova della durata di 4 settimane.
I risultati hanno confermato l’utilità dell’impiego di laminaria biologica per il soddisfacimento dei fabbisogni di iodio nei piccoli ruminanti quantificabile con un soglia ematica di 80 ng/ml (Annichiarico e Taibi, 2001; Morgante e Stelletta, 2005) già a partire da un livello d’integrazione in laminaria pari a 0,8 grammi al giorno per capo. In aggiunta, questo livello di supplementazione ha fatto registrare una significativa riduzione del tenore dell’urea ematica (6,03 mM vs 6,63 mM per LAM1 e controllo rispettivamente), lasciando intravedere interessanti prospettive per la modulazione del metabolismo proteico. Un’ulteriore sperimentazione condotta su capre di razza Saanen in biologico (Danieli et al., 2015) ha evidenziato come la co-supplementazione di lievito selenizzato e laminaria organica ad alto tenore di iodio possa rappresentare un’interessante opzione gestionale per assicurare l’adeguato in-take di iodio e selenio nella capra da latte in regime biologico.

5. Alimenti zootecnici “bio” e sicurezza: micotossine
Nella concezione del consumatore medio, gli alimenti biologici dovrebbero essere a priori più salubri dei rispettivi alimenti da agricoltura convenzionale (soventemente declinata in intensiva). Tuttavia, la presenza di sostanza tossiche di natura fungina può rappresentare una criticità, soprattutto in biologico, dove i trattamenti di protezione contro talune avversità delle piante (e.g., colonizzazione fungina) non sono praticabili, con riflessi sui sistemi di produzione ed, in ultima analisi, sulla qualità e sicurezza dei prodotti biologici d’origine animale. Una recente ricerca italiana (Pattono et al., 2011) ha dimostrato che nel latte bovino biologico (63 campioni di provenienza comunitaria) era riscontrabile una concentrazione di Ocratossina A (OTA, metabolita tossico prodotto da alcuni funghi filamentosi quali aspergilli e penicilli) variabile da 0,07 a 0,11 µg/kg. Per confronto, 20 campioni di latte convenzionale sono stati analizzati con la stessa metodologia ma l’esito di tali analisi è stato sempre negativo. Sebbene attualmente non esista una regolamentazione specifica per l’OTA nel latte e le concentrazioni rinvenute possano non rappresentare un rischio rilevante per i consumatori, ulteriori ricerche si rendono necessarie. È comunque evidente che la presenza della micotossina nel latte sia esclusivamente da attribure alla sua presenza negli alimenti biologici somministrati alle bovine in lattazione. Analogamente, Martini et al. (2005) trovarono alti livelli di alfatossina M1 (metabolita animale dell’Aflatossina B1 presente prevalentemente nel mais) in alcune allevamenti di bovini da latte in biologico.
La presenza di OTA nella dieta e nei mangimi semplici rappresenta una criticità per i monogastrici, pollame in primis. Per tale motivo Schiavone et al. (2008) hanno studiato la presenza della tossina nei mangimi per ovaiole e broiler in 5 allevamenti biologici e 5 in convenzionale. La presenza del contaminante nei mangimi è risultata diffusa, comunque a bassi livelli, in tutti gli allevamenti ma, sebbene non significativamente, gli allevamenti biologici hanno fatto registrare concentrazioni in media più elevate di OTA rispetto ai convenzionali (2,01 vs 1,76 µg OTA/kg t.q.). Di riflesso anche la concentrazione di OTA nel siero ematico degli avicoli in biologico è risultata in media doppia rispetto al convenzionale, con una correlazione tra contaminazione dei mangimi e OTA ematica fortemente positiva (r = 0,89).
Dalle evidenze sperimentali disponibili, si può evincere come la ricerca di eventuali differenze per quanto riguarda la presenza di micotossine negli alimenti biologici destinati agli animali da reddito, necessiti di ulteriori approfondimenti anche al fine di indiduare evidenziare eventuali punti critici e consentirne un adeguato controllo.

6. Considerazioni di sintesi e prospettive
I risultati delle sperimentazioni condotte in questi ultimi anni indicano, con un certo grado di chiarezza, come sia possibile risolvere alcune criticità insite nei sistemi d’allevamento in biologico. È auspicabile che, al fine di consentire un equilibrato e duraturo sviluppo del settore, il mercato degli alimenti zootenici biologici raggiunga standard quali-quantitativi adeguati ai desiderata del mondo allevatoriale ed infine dei consumatori. In particolare la richiesta di alimenti zootecnici biologici (specie i concentrati ma anche i sottoprodotti dell’agro-industria) potrebbe essere un importanmte stimolo per avviare e rafforzare politiche comunitarie, nazionali e regionali volte ad incentivare la produzione, trasformazione e commercializzazione in loco di cereali e di proteoleaginose a scopo alimentare. Del resto le tendenze del mercato dei prodotti “bio” ad uso umano, sia vegetali che animali, sembra rendere sostenibili tali politiche.
Non trascurabile è anche l’aspetto del doveroso controllo degli alimenti zootecnici “bio” sotto il profilo della loro sicurezza d’uso, al fine di scongiurare gli effetti della presenza di contaminanti biogenici e non sulla salute e benessere animale e la qualità dei prodotti d’origine animale “bio”. Numerosi infine sono i settori e gli aspetti che la ricerca scientifica sarà chiamata ad affrontare ed approfondire, quali ad esempio, quelli dei fito-estratti o fitoderivati, il quale mercato sembra destinato a crescere anche sotto la spinta delle normative inerenti la produzione biologica, il benessere animale e la salubrità dei prodotti d’origine animale.

 

Foto: Pixabay

Pier Paolo Danieli, Riccardo Primi, Bruno Ronchi