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Siciliani (Uniceb): “Le chiavi per il rilancio della carne: qualità, prezzo e informazione”

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La fotografia del comparto carne con Carlo Siciliani, rieletto di recente alla presidenza di Uniceb (Unione importatori esportatori industriali, commissionari grossisti ingrassatori macellatori spedizionieri carni bestiame e prodotti derivati).

Presidente, quali saranno le linee di azione del suo nuovo mandato alla guida di Uniceb e con che grado di continuità rispetto agli anni precedenti? Quali sono gli obiettivi di filiera?

Sin dal mio primo mandato nel 2014, la road-map che ci eravamo prefissati con la mia squadra di governo comprendeva la formazione e l’informazione, temi che sono più che mai attuali in uno scenario in cui occorre gestire una corretta informazione al consumatore sul ruolo delle carni che devono essere presenti nell’ambito di una sana alimentazione, per arginare le campagne denigratorie in essere oramai da troppo tempo e con fini spesso strumentali. Per favorire una corretta informazione occorre investire nella ricerca e quindi, proseguendo idealmente il nostro percorso, abbiamo pensato di onorare nel 2019 i primi 50 anni di attività di Uniceb, lanciando e sostenendo un progetto di ricerca sull’utilizzo delle proteine animali nell’alimentazione dei pazienti oncologici.
Altro focus riguarda l’internazionalizzazione. È diventata oramai essenziale l’apertura di nuovi mercati verso i quali rivolgere l’attenzione. Parlo della Cina per le carni suine e successivamente per le carni bovine, dei Paesi del Sud Est Asiatico (Singapore, Corea), dei Paesi africani. Gli accordi di libero scambio, poi, sono uno strumento al quale guardare con più fiducia per le opportunità di difesa delle nostre produzioni e soprattutto di business interessanti.

Nel suo intervento alla 49ma assemblea dell’associazione, lo scorso novembre, ha sottolineato la necessità di approvare una legge che distingua chiaramente i prodotti privi di proteine animali ma etichettati con diciture ingannevoli per il consumatore. Perché si tratta di un provvedimento urgente?

Sui banchi del supermercato oramai ne abbiamo esempi sotto gli occhi tutti i giorni: la Bresaola vegetale, l’Hamburger vegano, il Wurstel di tofu, il Roast beef veg e potrei andare avanti così per molto. La questione è preoccupante non solo per il comparto zootecnico nazionale e della UE, ma anche per l’integrità della catena alimentare: l’uso improprio di denominazioni di vendita di prodotti vegani e/o vegetariani con chiari riferimenti a prodotti a base di carne. Con questa tendenza si abusa non solo delle denominazioni di vendita ma anche delle rappresentazioni grafiche di prodotti del settore carneo che potrebbero indurre in errore il consumatore in merito alla reale composizione del prodotto che stanno acquistando. Per questo motivo abbiamo bisogno di una legge che, analogamente a quanto già avviene per i prodotti lattiero-caseari, ponga fine a questa pratica ingannevole purtroppo utilizzata su larga scala sia a livello nazionale che comunitario.

Alla luce dell’ultima rilevazione di Ismea, relativa al primo semestre 2018, la spesa per consumi alimentari delle carni è risultata in crescita, in particolare quella avicola e quella bovina. Quali sono gli strumenti utili per incrementare i consumi di carne nei prossimi anni?

Purtroppo i dati Ismea complessivi del 2018 indicano che quella crescita del primo semestre si è arrestata rilevando addirittura una leggera flessione negli acquisti di carne bovina in quantità anche se risulta un 1,6% di incremento in valore. Ciò significa che il consumatore preferisce puntare su carne di qualità. È in questa direzione che la filiera deve puntare per migliorare i consumi: migliorare la già alta qualità dei nostri prodotti cercando di limitare l’inevitabile aumento del prezzo per non incidere sulle tasche degli italiani. Questo, insieme ad una informazione equilibrata sulle proprietà nutritive della carne, rafforzerà la fiducia del consumatore sui prodotti della filiera.

Tra 2017 e 2018, ha rilevato Ismea, le importazioni di capi da allevamento e quelle di carne fresca e refrigerata sono scese rispettivamente del 7,3% e del 2% (mancano i dati dell’ultimo trimestre 2018). In che modo la filiera può ulteriormente ridurre questa necessità di importare carne e bestiame? Cosa fare per valorizzare il patrimonio zootecnico italiano?

Abbiamo avviato un progetto ambizioso da 33 milioni di euro, “Alleviamo Italiano”, che valorizza la linea vacca-vitello per la produzione di carne proveniente da animali nati, allevati e macellati in Italia; un vero modello nazionale integrato di carne di alta qualità che si sviluppa, con diverse specificità, sia al Nord che al Sud nel settore delle carni bovine ma anche di quelle suine. L’obiettivo dichiarato è di ridurre i costi di produzione e di transazione, definire relazioni contrattuali efficaci, eque e trasparenti in modo da garantire redditi adeguati a tutti gli operatori della filiera, non perdendo di vista, dall’altra parte, la sostenibilità ambientale e il benessere animale. Questa ricetta si tradurrà in qualità del prodotto finale e minore necessità di acquisto di broutard dall’estero.

Nel quadro generale che è stato delineato, che ruolo svolge l’accordo interprofessionale che avete promosso? Quali sono gli obiettivi di questo “nuovo” approccio di sistema?

Negli anni passati molti sono stati i politici ed i funzionari pubblici che criticavano il mondo della zootecnia per la sua frammentazione e divisione al proprio interno; l’Uniceb ha raccolto questa sfida e da anni cerca sinergie utili e la condivisione di strategie per lo sviluppo ed il bene della nostra filiera. La migliore testimonianza della volontà di dialogare e di essere propositivi, sempre nel rispetto ognuno del proprio ruolo, per un comparto così strategico del panorama agroalimentare italiano è stata la presenza di tanti colleghi delle organizzazioni di settore alla nostra ultima Assemblea Generale a Roma. L’ultimo obiettivo comune raggiunto in ordine di tempo: la costituzione dell’OICB – Organizzazione Interprofessionale della carne bovina, realizzata nonostante le derive di chi viaggia ormai al di sopra degli interessi di settore. L’Organizzazione Interprofessionale è l’unico strumento valido e strutturato dal punto di vista normativo che possa permettere di delineare una strategia nazionale condivisa e favorire la creazione di valore e la sua equa distribuzione lungo tutta la filiera. Arrivare a questo traguardo è stato impegnativo a causa di derive che arrivano ad affermare che le Organizzazioni Interprofessionali sono sterili. Credo che l’OI sia invece la risposta giusta per favorire la fertilità del comparto delle carni bovine così come avviene nei Paesi dove queste strutture sono una realtà consolidata, come Francia e Spagna. La nostra realtà vuole essere una struttura agile, che funzioni davvero, inclusiva di tutte le parti di rappresentanza economica della filiera, con pari dignità. I tempi sono maturi per abbandonare gli interessi personali e pensare tutti come un unico organismo e far sì che questa OI sia la voce di tutte le pluralità rappresentative del nostro settore e non solo di pochi grandi attori. Solo una OI che non abbia esclusioni e sia in grado di lavorare, potrà intercettare le risorse necessarie per poter affrontare campagne di promozione, studi di ricerca e di settore per il miglioramento dei processi produttivi. Tra i propri scopi ci sarà sicuramente la tutela e la difesa dell’immagine del settore dalle notizie false o tendenziose che spesso vengono diffuse e, al contempo, la promozione di una assunzione consapevole delle proteine animali e la valorizzazione della zootecnia per la tutela dei territori rurali dalla desertificazione e dall’abbandono.

Vito Miraglia