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Canali: “Più dialogo e meno conflitto tra gli attori del settore suinicolo”

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Sebbene alcune delle eccellenze della suinicoltura italiana rientrino fra i prodotti di punta del Made in Italy, la sua presenza sui mercati esteri non è ancora forte come potrebbe essere. Il settore è in ripresa ma i margini di crescita sono notevoli. Il punto della situazione con Gabriele Canali, professore di Economia e politica agroalimentare della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza, e Direttore del Centro Ricerche Economiche sulle Filiere Suinicole (Crefis).

Professore, facendo una fotografia oggi, quali sono le condizioni in cui versa la suinicoltura italiana?
Il settore suinicolo si trova in buone condizioni. Negli ultimi due anni e mezzo circa, la redditività ha raggiunto livelli soddisfacenti, un dato che non si registrava da molto tempo nel comparto. I motivi per cui il settore è in buone condizioni sono diversi. In primo luogo i prezzi delle materie prime si sono stabilizzati dopo le bolle degli anni tra il 2007 e il 2012 e lo hanno fatto a quote non troppo elevate. Poi abbiamo registrato un livello dei prezzi del suino pesante italiano che si è distaccato dalla media europea. Dopo l’ultima crisi, cioè dopo i primi mesi del 2016, sul mercato nazionale i prezzi sono saliti di più di quelli dei suini europei. Per quanto riguarda le produzioni DOP, inoltre, negli ultimi anni il prosciutto, in particolare quello di Parma, ha recuperato a sua volta redditività nella fase di stagionatura, anche se negli ultimi mesi abbiamo registrato un nuovo peggioramento. Questo andamento potrà avere qualche ricaduta nei prossimi mesi, ma si tratta, per ora, più di un elemento di attenzione che di preoccupazione.

Quali sono i punti di forza su cui il settore può contare soprattutto in ottica produttiva ed economica?
La suinicoltura può certamente contare sulla capacità del Paese di valorizzare, attraverso il comparto della salumeria italiana, il nostro suino pesante con le produzioni DOP che stanno guadagnando quote rilevanti sui mercati esteri. Il processo è lento perché nel comparto sono attive principalmente aziende di dimensioni medio-piccole rispetto ai concorrenti esteri; basti pensare alle dimensioni delle grandi catene di distribuzione mondiali. Tuttavia, a fronte di un mercato nazionale più stabile in quanto a consumi e quantitativi, le esportazioni stanno aumentando. Pertanto, se da un lato non possiamo attenderci ulteriori sviluppi nel mercato interno, dove il valore dei salumi nostrani è noto da tempo, dall’altro possiamo invece aspettarci di guadagnare maggiori quote di mercato all’estero. Ma le imprese devono lavorare molto in questa direzione.

Le DOP del comparto sono un patrimonio: come valorizzarle?
I prodotti a Denominazione di Origine Protetta sono sicuramente un patrimonio decisivo per tutta la filiera. Purtroppo c’è un grave problema relativo alla governance della filiera stessa e che riguarda anche queste produzioni di eccellenza. La gestione di questi prodotti è solo in minima parte il frutto di una definizione strategica a livello di filiera e tra i suoi attori c’è più conflitto che dialogo. Allo stato attuale i prosciuttifici si confrontano principalmente con i macelli, questi discutono apertamente con gli allevatori e i trasportatori, gli allevatori risentono delle innovazioni e delle sperimentazioni come quelle del settore genetico e mangimistico ma manca una visione complessiva, un dialogo tra tutti gli attori della filiera ancora non c’è. Gli allevatori e i prosciuttifici, ad esempio, sono sempre molto distanti e non vi sono molte occasioni di confronto su temi strategici; le richieste e le specificità dell’industria salumiera, inoltre, non sempre raggiungono il mondo della ricerca genetica sui suini, e c’è il rischio che l’allevatore non riceva, quindi, i segnali e le richieste corretti circa le esigenze reali dei prosciuttifici. Ognuno guarda all’anello vicino ma non alla filiera nel suo insieme; le singole fasi della filiera dovrebbero dialogare molto di più tra loro e invece spesso c’è conflittualità. Sul fronte della governance di sistema c’è dunque ancora molta strada da fare ed è necessario uscire da una visione ancora troppo ristretta e limitata. Ad esempio, se si volesse mettere mano alla revisione dei disciplinari, bisognerebbe guardare a tutta la filiera, e anche a tutte le filiere che si intrecciano, dal momento che le produzioni di tutti i prosciutti DOP, e non solo, sono in qualche modo, più o meno intenso, correlate tra loro.

Quali sono gli ostacoli alla crescita del comparto suinicolo?
Questo è il primo ostacolo: la mancanza di una capacità di visione strategica. È la mancanza di una moderna organizzazione inter-professionale a rappresentare un grande limite per lo sviluppo dell’intera filiera. Cominciamo poi ad avere un problema di tracciabilità più evoluta, se non di disponibilità, circa le materie prime agricole che per l’alimentazione degli animali destinati al circuito delle produzioni DOP devono provenire dai comprensori dove nascono e crescono gli animali, nella misura minima del 50%. Ancora, un altro problema è l’evoluzione delle normative sul benessere animale, ad esempio sugli antibiotici o sul taglio della coda. Relativamente a questo aspetto gli allevatori richiedono degli adattamenti e degli aggiustamenti dal momento che da queste normative derivano oneri e complessità. Se per alcuni queste normative possono anche rappresentare un’opportunità di differenziazione, (suini “antibiotic free” o “con la coda”), per la maggior parte degli allevatori queste norme potranno creare importanti criticità.

Se dovessimo proiettarci al 2020, quali prospettive di crescita e di produzione avrebbe l’economia del suino in Italia?
La cosa migliore da fare per la filiera è proseguire la sua attività ma in modo più incisivo, efficace e coordinato, anche nel marcare la nostra presenza all’estero soprattutto con le nostre produzioni di qualità. I mercati stranieri rappresentano davvero uno spazio di crescita dal momento che il mercato interno è sostanzialmente saturo. La sfida sui mercati è sempre quella di mantenere un buon equilibrio tra domanda e offerta di suini pesanti, sempre con l’attenzione e la capacità, nel contempo, di occupare nuove quote di mercato che divengano disponibili; solo in questo modo tutte le fasi della filiera, dall’allevamento alla macellazione, potranno continuare un percorso soddisfacente. È importante, poi, cercare di sviluppare gli scambi soprattutto verso alcuni “nuovi” mercati esteri, come quello cinese, che vedono la nostra presenza ancora limitata. Potrebbero servire, inoltre, strumenti finalizzati soprattutto ad aiutare le piccole e medie imprese italiane del settore delle carni lavorate, a lavorare meglio e a operare con strutture più solide, sostenibili e competitive. Solo se riusciamo a crescere proporzionalmente alla crescita dei mercati esteri, le prospettive di redditività per soddisfare tutta la filiera saranno appaganti.

Vito Miraglia