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Morgante: “Con la sentenza europea sono sconfitti scienziati, agricoltori e consumatori”

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Il professore Michele Morgante è ordinario di Genetica all’Università di Udine. Mangimi&Alimenti l’ha intervistato per parlare delle conseguenze dell’ultima decisione della Corte di giustizia europea sulle nuove tecniche di modificazione genetica.

Quali sono le linee generali e le modalità di ricerca più promettenti sulle questioni agroalimentari in ambito internazionale?

Sicuramente il tema di ricerca più attuale è quello di riuscire a conciliare nel sistema agroalimentare produttività, che deve aumentare per soddisfare una popolazione mondiale che cresce sia dal punto di vista numerico che da quello delle esigenze alimentari, e sostenibilità, intesa sia dal punto di vista ambientale che economico che sociale. Non dobbiamo dimenticare che il sistema agroalimentare contribuisce in maniera decisiva al deterioramento ambientale del nostro pianeta attraverso emissione di ossido di carbonio, consumo di acqua ed energia ed utilizzo di terra, e che è la produzione primaria a pesare moltissimo in questo impatto rispetto ai processi di trasformazione e distribuzione che vengono a valle di essa. Non dobbiamo anche dimenticare che in aree economicamente importanti come l’Unione europea il sistema agricolo in larga parte si sostiene economicamente solo grazie ad un sistema di sussidi che finisce per punire ingiustamente in termini di competitività i Paesi più poveri del pianeta.

Conciliare produttività e sostenibilità non è certamente facile e per riuscire a raggiungere questo obiettivo ambizioso dobbiamo sfruttare tutte le opportunità che ci sono messe a disposizione dallo sviluppo scientifico e tecnologico. In questo può avere un ruolo molto importante il miglioramento genetico che oggi può utilizzare strumenti molto potenti come l’analisi dei genomi e le tecniche di genome editing per riuscire a migliorare le colture dal punto di vista delle rese, delle resistenze agli stress biotici ed abiotici e della qualità. Semplicemente andando a migliorare l’efficienza di uso dell’azoto, il principale fertilizzante usato in agricoltura e responsabile di una quota assai significativa dei consumi energetici e delle emissioni nocive legate all’agricoltura, potremmo diminuire in maniera molto significativa l’impatto ambientale delle produzioni agricole.

Qual è la situazione in Europa, anche alla luce dell’ultima sentenza della Corte di giustizia europea?

La situazione europea è sicuramente molto preoccupante in quanto sembra che si guardi con molta nostalgia ad un passato visto come periodo felice e privo di problemi invece di guardare con speranza in avanti verso un futuro in cui scienza e tecnologia potrebbero dare un contributo fondamentale per migliorare la situazione della nostra agricoltura. La sentenza della Corte di giustizia rappresenta un altro esempio di chiusura pregiudiziale verso ciò che è innovativo per favorire tecnologie del passato che hanno già dimostrato i loro limiti.

In prospettiva, permanendo questa distanza regolamentare tra Europa e resto del mondo, quali sono i pericoli cui va incontro l’agroalimentare europeo?

I pericoli sono molti e si potrebbe dire che la sentenza non lascia dietro di sé nessun vincitore ma piuttosto molti vinti. È perdente la comunità scientifica che, ancora una volta, non è riuscita a far sentire la propria voce autorevole perché potessero prevalere logica, raziocinio e metodo scientifico su ideologia, preconcetti e interessi di parte. Perdono gli agricoltori europei e le aziende sementiere grandi ma soprattutto piccole, che vorrebbero poter utilizzare tali metodiche innovative per arrivare più velocemente ed efficacemente a ottenere varietà migliorate che possano aiutare a conciliare produttività e sostenibilità. Sono sconfitti anche tutti i consumatori europei che si vedono negata la possibilità di poter avere, grazie alle nuove tecnologie di miglioramento genetico, sulle loro tavole a prezzi ragionevoli e competitivi prodotti agricoli più rispettosi dell’ambiente, meno dipendenti dall’uso della chimica e qualitativamente ancora migliori degli attuali e di avere attorno a loro un ambiente più pulito. E perdenti sono anche le stesse organizzazioni non governative ed ambientaliste che hanno spinto per una sentenza di questo tipo, visto che queste tecnologie, di cui vogliono limitare le applicazioni, potrebbero essere il loro più grande alleato per raggiungere l’obiettivo di un’agricoltura veramente biologica senza snaturare le varietà tradizionali a cui sono tanto legate e visto che avrebbero potuto finalmente uscire dagli schemi ideologici rigidi in cui si sono infilate con la politica ormai più che ventennale di veto totale agli Ogm.

Che riflessi ha questa situazione di contrapposizione Europa/resto del mondo rispetto alla ricerca e alla capacità di innovazione dell’agroalimentare italiano?

Ci rende ancora più dipendenti dall’estero per le innovazioni visto che l’effetto della sentenza sarà quello di deprimere gli investimenti in ricerca in questo settore innovativo, se le innovazioni non possono arrivare al mercato. Trincerarsi dietro la posizione secondo cui la ricerca può continuare ad andare avanti anche se poi le applicazioni si devono fermare è da ipocriti: tutti ci rendiamo conto che se non vi sono prospettive di applicazione anche la ricerca che sta a monte si fermerà.

Se in Italia ci fosse libertà di ricerca quali sarebbero i settori produttivi (cereali, legumi, ortofrutta…) dai quali emergerebbero i risultati che possano favorire maggiormente la crescita dell’agroalimentare italiano?

Il settore che ne potrebbe beneficiare più rapidamente è quello della vitivinicoltura dove c’è un enorme problema di sostenibilità ambientale legato alla suscettibilità delle varietà oggi coltivate a patogeni fungini. Con le nuove tecnologie di miglioramento genetico si potrebbero rendere resistenti a tali patogeni le varietà esistenti ed autoctone su cui si basa il successo del settore vino italiano migliorando in un colpo solo conto economico delle aziende, qualità dell’ambiente ed immagine del settore vino. Altri settori che ne potrebbero beneficiare sono soprattutto quelli in cui le specie vegetali utilizzate hanno ciclo lungo e sono di difficile incrocio oppure non possono essere incrociate per non perdere l’identità varietale. È questo il caso delle specie frutticole ma anche di molte specie orticole. Ovviamente anche le specie di pieno campo come cereali e leguminose potrebbero beneficiarne notevolmente.

Vito Miraglia