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L’Autorità Antitrust ha chiuso l’indagine conoscitiva sul settore lattiero caseario

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L’Autorità Antitrust, con decisione del 2 marzo 2016, ha deliberato la chiusura dell’indagine conoscitiva sul settore lattiero caseario, avviata il 5 maggio 2015 con l’obiettivo di valutare talune problematiche relative al funzionamento della filiera del latte, sollevate dalle principali associazioni sindacali agricole.

L’analisi si è resa necessaria a seguito delle importanti modifiche normative intervenute nel settore e, in particolare, dell’eliminazione del regime delle c.d. quote latte, a partire dal 1° aprile 2015, e la conseguente emanazione del c.d. Pacchetto latte, recepito in Italia con l’adozione del D.M. n. 15164 del 12 ottobre 2012 da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che congiuntamente con la situazione di crisi strutturale del settore, hanno determinato una notevole instabilità sul mercato in esame.

L’Autorità ha analizzato il settore, tenendo conto sia della normativa che vieta intese anticoncorrenziali e abusi di posizione dominante, che dell’articolo 62 del D.L. n. 1/2012, recante la “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agro-alimentari”, come recentemente modificato dal D.L. n. 51/2015.

Sulla base dell’Indagine conoscitiva, i principali elementi caratterizzanti il settore sono risultati i seguenti: il divario strutturale e di costo del latte alla stalla tra l’Italia e i principali paesi europei; un certo squilibrio del potere contrattuale tra parte agricola e industriale, in favore della seconda quando la prima contratta individualmente, che tuttavia non risulta o comunque risulta meno marcato per gli allevatori soci di cooperative di trasformazione e nei casi di acquirenti industriali specializzati nella produzione di latte fresco alimentare o di formaggi tipici; la volatilità dei prezzi del latte crudo e lo scarso valore rappresentativo dei parametri medi di costo e di profittabilità.

Sotto il profilo normativo, l’Autorità ha evidenziato che le norme introdotte dal legislatore italiano contengono una tutela degli allevatori ben più ampia di quella prevista a livello comunitario.

Tutto ciò premesso, l’AGCM ha ritenuto che non esistano particolari criticità né sotto il profilo concorrenziale, con riferimento ai meccanismi di determinazione del prezzo sia del latte crudo acquistato dal comparto industriale che dei prodotti trasformati, né con riguardo all’applicazione dell’art. 62.

Con riguardo ai meccanismi di determinazione del prezzo, l’Autorità ha ritenuto che nessuna componente della filiera, sulla base delle dinamiche competitive e dei vincoli concorrenziali presenti nei mercati di riferimento, appare in grado di generare e trasmettere stabilmente extra-profitti a scapito degli operatori che operano nei mercati a monte dell’approvvigionamento.

Al contrario, nei mercati relativi ai prodotti derivati del latte, collocati immediatamente a valle della produzione agricola, le dinamiche concorrenziali si presentano come particolarmente vivaci. L’AGCM ha poi evidenziato che in questi mercati una significativa pressione sui prezzi viene esercitata sia dal forte countervailing power della Grande Distribuzione Organizzata che dalla considerevole presenza di marchi esteri e marchi nazionali che usano materia prima estera.

L’Autorità, quindi, ha ritenuto che la lamentata uniformità dei prezzi di acquisto del latte crudo è riconducibile alle modalità attraverso le quali per molti anni il prezzo del latte crudo è stato divulgato con caratteristiche di pubblicità e concertazione tra le diverse componenti della filiera tali da rendere inevitabile una parametrazione tendenzialmente omogenea delle quotazioni.

Con riguardo alle presunte violazioni dell’art. 62, l’AGCM ha escluso la loro sussistenza in quanto affinché il prezzo di acquisto del latte applicato dall’industria possa essere considerato come un’imposizione illecita esso deve: risultare ingiustificatamente gravoso, essere imposto nell’ambito di un rapporto contrattuale caratterizzato da un grave squilibrio di potere negoziale e risultare palesemente inidoneo a generare redditività per i propri fornitori.

In sintesi, quindi, l’Autorità, pur riservandosi di intervenire in futuro su eventuali accordi che dovessero travalicare i margini entro i quali il coordinamento tra produttori può considerarsi lecito anche in deroga alla normativa sulla concorrenza o per applicare la disciplina ex art. 62, ha escluso criticità allo stato attuale.

All’esito dell’Indagine, l’AGCM ha suggerito alcune misure per consentire il processo di riorganizzazione del settore che consegue all’applicazione della nuova normativa e offerto alcuni spunti di riflessione per una politica di settore, ritenendo a tale scopo fondamentali la creazione e il riconoscimento delle organizzazioni di produttori (OP), per garantire un’effettiva concertazione dell’offerta di latte, e delle organizzazioni interprofessionali riconosciute (OI), a condizione che queste ultime siano sufficientemente rappresentative di tutte le categorie interessate.

L’Autorità ha inoltre chiaramente ribadito il divieto di qualsiasi accordo, stipulato anche sotto forma di accordo interprofessionale sotto l’egida dei pubblici poteri, che abbia ad oggetto la fissazione del prezzo di vendita del latte.

In termini più generali, l’AGCM ha suggerito ai policy maker di settore di individuare nuove e diverse forme di intervento, immaginando iniziative che consentano di incrementare stabilmente la competitività dell’intera filiera produttiva nazionale e il valore complessivo da essa generato.

 

Foto: © Art_Allianz – Fotolia

Luciano Di Via