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Ricerca e biotecnologie: Eppur si muove

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Ovunque, nel mondo, la ricerca e l’innovazione genetica in agricoltura sono viste non solo come strumenti indispensabili per lo sviluppo e la crescita, ma rappresentano anche una soluzione alle sfide globali del pianeta.

Per anni l’Italia è stata un centro di eccellenza per la ricerca nel settore primario, portando il nostro Paese tra i più attivi in questo campo a livello europeo e mondiale. Nonostante questo passato glorioso in quest’ultimo quarto di secolo, questo primato è andato inspiegabilmente perduto. L’attività di ricerca è stata sempre più ostacolata, confinandola nei soli laboratori, impedendo così di poter disporre di innovazioni vitali per la nostra agricoltura, come è avvenuto ed avviene tutt’ora per le coltivazioni transgeniche, dipinte come un male per i consumatori e un grave rischio per la tipicità di molte nostre produzioni, nonostante le biotecnologie abbiano permesso un oggettivo miglioramento delle rese di produzione, della qualità dei prodotti e dell’impatto ambientale (attraverso la riduzione dell’uso di terra, acqua e agenti chimici).

Un vero e proprio paradosso nazionale: l’avanzamento scientifico è stato visto come minaccia alla natura e non, come in tutta la storia dell’umanità, come la prosecuzione di un progresso teso ad armonizzare la vita degli esseri umani con l’ambiente circostante; pur essendo il quarto Paese per pubblicazioni scientifiche siamo l’unico Paese al mondo che condanna a 4 anni di carcere chi sperimenta biotecnologie in campo; 190.000 laureati ogni anno sono costretti a emigrare privando il nostro Paese delle future generazioni di scienziati; non riusciamo a trasferire alle aziende italiane le scoperte scientifiche che vengono così acquistate da imprese estere; violiamo sistematicamente la normativa europea che impone a ogni Stato di individuare i siti in cui effettuare le sperimentazioni in campo.
Per fortuna in questi ultimi tempi l’ostracismo assoluto nei confronti della ricerca biotecnologica in agricoltura sembra iniziare a dare segni di usura. Ancora poca cosa, sia chiaro, ma si spera siano almeno i segnali di una nuova modalità di relazione con il ruolo essenziale che la ricerca svolge, e svolgerà sempre più, per garantire cibo in quantità sufficiente agli abitanti del pianeta e, allo stesso tempo, salvaguardare il complessivo equilibrio naturale.

Piccoli segnali, si è detto. È recente l’annuncio dei Ministro per le politiche agricole, Maurizio Martina, dello stanziamento di 21 milioni di euro in favore della ricerca sulle nuove tecniche di miglioramento genetico. Cisgenetica e genome editing sembrano essere accolti con una diversa percezione rispetto ai tanto vituperati OGM. Intendiamoci, lo stanziamento è davvero poca cosa occorrerebbe aggiungere almeno uno zero, ma speriamo sia almeno un inizio e soprattutto speriamo che non resti una iniziativa monca, in cui l’attività di ricerca continui ad essere confinata nel solo in laboratorio e diventi sostanzialmente inutile se privata della sperimentazioni in campo. Ma occorre anche certezza giuridica eliminando le ambiguità legislative a livello sia comunitario che nazionale e una politica trasparente e coerente con le evidenze scientifiche.

Proprio dalle pagine di questa rivista, da anni Assalzoo, ha ripetutamente evidenziato la necessità che ogni decisione su tematiche di carattere specificamente tecnico dovrebbe essere fondate sempre su basi scientifiche, nella convinzione di quanto sia importante e fondamentale confrontarsi con le opportunità che la conoscenza offre. Si è trattato di una voce quasi sempre isolata, fatte salve poche eccezioni.

Tra queste, una delle più illustri è sicuramente la Senatrice a vita Elena Cattaneo, che ancor prima di essere un autorevole esponente del nostro Parlamento, è una scienziata di riconosciuta fama, cui va riconosciuto il merito di avere combattuto con grande determinazione ogni strumentalizzazione e visione oscurantista sulle biotecnologie, anteponendo le ragioni della scienza ad ogni considerazione di carattere emotivo, personale o politico.

Oggi, grazie anche al lavoro di scienziati come la Senatrice Cattaneo, sembra aprirsi uno spiraglio, per il futuro dell’agricoltura italiana, che deve recuperare il notevole terreno perduto in modo così scellerato.


Pensiamo solo al mais e alla soia, che rappresentano materie prime indispensabili per alimentare gli animali allevati nel nostro Paese, di cui oggi – anche a causa della mancanza di innovazione – siamo costretti ad importarne oltre 8 milioni di tonnellate all’anno, vale a dire più 22 mila tonnellate ogni giorno, per la continua riduzione della produzione nazionale. Ma esempi non mancano anche in altri settori, come quello dell’ortofrutta, dove la mancanza di innovazione, rischia di produrre danni ben maggiori di quelli che derivano dai cambiamenti climatici o dalle fitopatie.

Quella della ricerca è una sfida da vincere per il bene del nostro Paese, perché solo attraverso l’innovazione possiamo garantire un futuro sostenibile alla nostra agricoltura, sviluppando quelle produzioni agroalimentari tipiche, simbolo della cultura e della tradizione alimentare italiana.

 

Foto: Pixabay

Giulio Gavino Usai