Professor Macrì, la filiera delle carni rosse da anni vive sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Da cosa si motiva, secondo lei, tanta attenzione?
I primi problemi sono sorti a seguito della comparsa della BSE (mucca pazza). Anche se i gravi rischi sanitari sono stati ottimamente risolti eliminando tutti gli animali potenzialmente ammalati, è rimasta la grande preoccupazione dei cittadini. Su questa preoccupazione i movimenti animalisti hanno fatto il resto, costruendo una campagna di “criminalizzazione” degli allevamenti che con il passare del tempo non si è placata.
La carne italiana offre elevate garanzie di qualità e sicurezza ai consumatori italiani oppure ci sono zone grigie sulle quali bisognerebbe intervenire?
Penso che sia un errore insistere sul fatto che la carne italiana offre elevate garanzie lasciando intendere che quella di importazione sia peggiore. Bisognerebbe invece dire con molta chiarezza che gli animali, indipendentemente dal luogo di origine, sono allevati nel rispetto di regole molto severe che garantiscono ottimi livelli di qualità e sicurezza della carne. Andrebbe anche spiegato che esistono rigorosi sistemi di autocontrollo aziendale e di controllo pubblico che evitano pericoli per i consumatori. Infine si dovrebbe raccomandare l’acquisto esclusivamente attraverso i canali “legali” di distribuzione.
Mode alimentari come vegetarianesimo e miti salutistici (“la carne rossa fa male”) sono un pericolo costante per un settore produttivo di grande rilevanza nella tradizione alimentare italiana: cosa bisogna fare per garantire una corretta informazione?
E’ fuori discussione che le informazioni ai cittadini arrivano in modo distorto e fortemente influenzate da ideologie “animaliste” (forse meglio chiamarle “zoofile”). Queste convinzioni hanno creato esigenze alimentari diverse da quelle tradizionali che sono state abilmente sfruttate o forse addirittura “pilotate” da importanti organizzazioni produttive alimentari. Non è forse un caso se in commercio è possibile trovare dei surrogati degli alimenti di origine animale a base di soia. Andrebbe spiegato ai cittadini con chiarezza che una cosa è la carne e un’altra sono i fagioli omogenizzati e ricchi di additivi chimici spacciate addirittura per bistecche. La “filiera zootecnica” sembra incapace di comunicare correttamente con i cittadini. Le tante iniziative comunicative intraprese sono frammentarie e, alle volte, anche conflittuali tra loro. Bisogna rendersi conto che l’informazione è dominata da internet e dalla televisione; i cittadini hanno scarsa fiducia nelle istituzioni e tanto meno nelle organizzazioni produttive. Per garantire una corretta informazione bisogna elaborare delle strategie individuando chi può “metterci la faccia” in modo credibile e non essere poi “sbeffeggiato” nei dibattiti pubblici. Infine un accenno alle manifestazioni delle diverse organizzazioni di categoria; si tratta di iniziative che hanno costi importanti, ma che non hanno ricadute mediatiche significative. Potrebbero invece essere di particolare interesse se venissero coinvolti soggetti in grado di trasferire ai cittadini gli esiti dei dibatti interni alle organizzazioni stesse.
Si parla molto di Made in Italy alimentare: che ruolo possono svolgere i prodotti zootecnici direttamente collegati all’allevamento (le carni, ma pure i salumi e i formaggi) nella promozione internazionale dell’export agroalimentare tricolore?
Nella nostra bilancia commerciale i prodotti alimentari sono una delle principali voci per l’esportazione. Occorre però fare chiarezza su cosa si esporta. I prodotti zootecnici (a eccezione di quelli DOP) sono il frutto esclusivo dell’abilità delle nostre aziende alimentari che sono state in grado di “industrializzare” gli alimenti della nostra tradizione. In pratica in molti casi importiamo le materie prime che poi riesportiamo. D’altra parte le nostre produzioni zootecniche non sono sufficienti per fare fronte alle esigenze alimentari nazionali ed è impensabile competere nei mercati internazionali con la quantità. E’ invece possibile competere nei mercati di nicchia di alta qualità; sarebbe però necessario garantire alimenti di origine zootecnica “interamente” nazionali incrementando le nostre produzioni zootecniche o quanto meno valorizzare quelle esistenti con una seria politica. Purtroppo qualcosa di positivo si sta vedendo soltanto nella produzione del latte bovino. Altri settori (ad esempio le produzioni ovine delle regioni a maggiore vocazione come la Sardegna) sono in grave difficoltà. Un rilancio della zootecnia sembra essere fondamentale per evitare che il Made in Italy nello specifico settore si trasformi in un “bluff”.
Vito Miraglia