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Le colture geneticamente modificate sono economicamente convenienti

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Fra i punti di maggiore critica circa l’introduzione delle colture geneticamente modificate, vi è quello della scarsa .convenienza economica al loro utilizzo, aspetto che diventa particolarmente acuto nel caso dei paesi in via di sviluppo. Una recente ricerca di Klumper e Qaim, dell’Università di Goettingen in Germania, pubblicato sulla prestigiosa rivista open access PLOS One (volume 9 del novembre del 2014), sembra dimostrare il contrario. Gli autori hanno scandagliato la letteratura ufficiale (lavori pubblicati su riviste scientifiche) e non ufficiale (la cosiddetta gray literature, rappresentata da report e altri documenti disponibili sul web) trovando più di 24.000 riferimenti. Ad una prima analisi, essi hanno scartato oltre 22.000 documenti e i rimanenti 2.600 sono stati ulteriormente sottoposti a vaglio fino ad arrivare, alla fine, a soli 147 lavori che contengono informazioni utilizzabili con una buona attendibilità della fonte. Questo aspetto mi conferma il sospetto che coltivo da tempo: il web è un enorme immondezzaio di informazioni e devi lavorare molto per trarne quei materiali preziosi rappresentati dalle ricerche condotte correttamente. Ciò significa, in altre parole, che una opinione fondata su una ricerca superficiale sul web ha una elevatissima probabilità di basarsi su dati poco attendibili, ovvero, che la ricerca e la elaborazione di informazioni sicure è un mestiere, nel caso in esame, da scienziati o da tecnologi.


Una volta trovati i lavori, gli autori hanno inserito i dati in un modello di meta-analisi (si tratta di una modalità di analisi statistica cha consente di utilizzare dati provenienti da diverse sperimentazioni come se fossero stati tutti prodotti nello stesso laboratorio) che comprendeva diverse variabili indipendenti, fra le quali quelle rilevanti erano l’effetto della resistenza agli insetticidi o agli erbicidi, il tipo di paese della coltura (sviluppato o in via di sviluppo), la provenienza del dato (da prove condotte da stazioni sperimentali o finanziate dall’industria). Le risposte cercate erano, relativamente alle colture GM verso le convenzionali, le rese, aumentate del 22%, la quantità di pesticidi usati, ridotta del 37%, il loro costo, ridotto del 39%, il costo totale di produzione,a aumentato del 3,2% e il profitto aziendale, aumentato del 68%.
Guardando i risultati con maggiore attenzione si vede che le colture resistenti agli insetti riducono maggiormente gli impatti dei fitofarmaci (in effetti le colture resistenti agli erbicidi non prevedono una flessione nel loro uso) e che i dati ottenuti da prove industriali non si scostano significativamente da quelli ricavati da prove sperimentali di istituti di ricerca (ritenuti più affidabili, il che contraddice la cultura diffusa di una “scienza venduta all’industria”). Ma il dato più eclatante è quello relativo ai paesi in via di sviluppo nei quali l’adozione di colture GM genera un profitto del 60% maggiore di quello ottenibile nei paesi sviluppati.


Gli insegnamenti che possiamo trarre da questo lavoro sono diversi e riassumibili nel seguente modo: le informazioni “buone” sono poche rispetto a quelle reperibili sul web, per cui, prima di farsi una opinione su un argomento, occorre comunque impiegare molto tempo a studiare qualità e provenienza dei dati su cui si basano molte affermazioni; la scienza è sempre contro intuitiva e bisogna accettarne le conclusioni (che, badiamo bene, non sono mai definitive); prima di parlare di paesi in via di sviluppo, occorre sgombrare la mente da molti pregiudizi che possono inquinare la nostra percezione della realtà.


Nello specifico, le conclusioni del lavoro ci dicono che coltivare piante GM riduce gli impatti ambientali di fitofarmaci, aumenta le produzioni, riduce i costi e, contemporaneamente, migliora sensibilmente il profitto degli agricoltori, in special modo di quelli dei paesi più poveri.

 

Foto: © pershing – Fotolia

 

Giuseppe Pulina