Se gli Stati membri si avvalessero della deroga “opt-out”, prevista dalla modifica del reg. 1829/2003, l’economia del settore mangimistico e zootecnico europeo ne risentirebbe pesantemente. È quanto emerge dall’indagine «Economic Impact Assessment of the European GM “opt-out” proposal» condotta dalla Coceral (l’associazione europea dei produttori di cereali, riso, semi oleosi, olio d’oliva e oli), dalla Fediol (la federazione europea dei produttori di alimenti proteici e di oli vegetali, dei titolari dei frantoi, dei raffinatori e degli imbottigliatori) e dalla Fefac (la federazione dei produttori europei di mangimi). Lo studio ha valutato l’impatto economico che il divieto di utilizzare prodotti Ogm potrebbe determinare, nel settore dei mangimi e dell’allevamento, in quattro paesi europei: Francia, Germania, Ungheria e Polonia.
Settore mangimistico – L’analisi ha rilevato innanzitutto che, a causa di ragioni nutrizionali e agricole, non è possibile sostituire tutta la soia impiegata nella produzione dei mangimi con altre fonti proteiche alternative. La maggior parte della soia utilizzata nell’alimentazione animale è geneticamente modificata. Pertanto, sostituirla con soia non-Gm comporterebbe un aumento dei costi compreso tra 44 e 176 euro per tonnellata di prodotto, che equivale a una quota compresa tra il 15% e il 50% del valore del mangime.
Comparto zootecnico – Il rapporto evidenzia che sostituire la soia Ogm con quella non geneticamente modificata comporterebbe, per il settore zootecnico, un aumento dei costi pari a circa il 10%. Vale a dire che la clausola “opt-out” nelle quattro nazioni prese in considerazione potrebbe costare al comparto dell’allevamento 1,2 miliardi di euro. Se la deroga venisse applicata da tutti gli Stati membri, i costi raggiungerebbero i 2,8 miliardi di euro.
Conseguenze – L’analisi dimostra che il divieto di impiego degli Ogm nei quattro paesi finirebbe col danneggiare irrimediabilmente la posizione concorrenziale del loro settore zootecnico, sia sul mercato interno che dal punto di vista delle esportazioni. La domanda limitata di prodotti non-Gm a livello globale li renderebbe, infatti, poco competitivi. Questa situazione porterebbe, infine, alla chiusura delle aziende zootecniche. Nel lungo termine, poi, la perdita di competitività avrebbe ripercussioni negative sull’intera filiera produttiva europea, mettendo a rischio i posti di lavoro nelle zone rurali.
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Nadia Comerci