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Deborah Piovan: per rilanciare i prodotti made in Italy occorre “innovare le nostre tradizione”

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Necessaria una collaborazione fra mondo della ricerca e mondo della produzione

La dottoressa Deborah Piovan, imprenditrice di Confagricoltura, socio amministratore di “Società Agricola Ca’ Pisani S.S.” e portavoce del manifesto “Cibo per la mente” spiega l’importanza dell’innovazione nel settore agricolo, unica via per rilanciare i prodotti agro-alimentari italiani. 

Dottoressa Piovan, a Suo avviso quali sono le sfide che deve affrontare la produzione agricola in materia di approvvigionamento alimentare?

Guardiamo i fatti: l’Italia fino ad una decina d’anni fa era autosufficiente per il fabbisogno interno di mais. Oggi ne importiamo quasi metà. Le cause sono molteplici: da una politica agricola europea e nazionale miope che ha sacrificato le grandi colture estensive, alla mancanza di accesso ai progressi delle biotecnologie. Quanto alle proteine vegetali, importiamo circa due terzi del nostro fabbisogno. Ci vantiamo del nostro Made in Italy a ragione perché è la nostra ricchezza, ma la verità è che è prodotto con molta merce di importazione. Se vogliamo salvarne la reputazione dobbiamo avere un’agricoltura più efficiente e performante. Dobbiamo chiedere a gran voce libero accesso all’innovazione, investimenti in ricerca, trasferimento formativo verso gli operatori, alleggerimento degli oneri burocratici per tutta la filiera, dalla ricerca fino alla trasformazione. Soprattutto è urgente una migliore comunicazione con l’opinione pubblica, che viene spaventata inutilmente sulle tematiche alimentari da personaggi male informati o, peggio, guidati da interessi di parte.  Produrre di più, senza aumentare la pressione sull’ambiente, senza aumentare l’utilizzo di suolo, per arrivare a prodotti sempre migliori e a costi sempre più accessibili; innovare per rispondere alle sfide climatiche: queste sono le sfide cui il settore deve rispondere. E per farlo tutta la filiera deve poter lavorare insieme al mondo della ricerca. Queste sono le richieste e le soluzioni proposte dal Manifesto Cibo per la Mente. 

Per quanto riguarda la sicurezza alimentare, quali sono gli strumenti per garantire gli standard più elevati? Che ruolo hanno i trattati internazionali e le normative nazionali?

Il prodotto italiano risponde già ad un altissimo standard di sicurezza. I processi produttivi dell’agroalimentare europeo sono tra i più rigorosi al mondo. Abbiamo vincoli di salvaguardia ambientale e di tutela del consumatore molto severi. Ricordando i recenti fatti delle uova contaminate da fipronil dovremmo concludere che il sistema dei controlli funziona e agisce con prontezza; questo dovrebbe confortarci, non spaventarci. Però i consumatori sembrano non essere adeguatamente informati su tutto questo e la responsabilità è sicuramente anche nostra: dovremmo aprire le porte delle nostre aziende e mostrare con orgoglio come lavoriamo. Il ruolo dei trattati internazionali nell’armonizzare il commercio e le tutele è fondamentale. Basti citarne anche uno solo, il Codex Alimentarius stilato da FAO e OMS, una importante linea guida. 

L’agro-alimentare è un settore chiave dell’economia italiana: quali sono i punti di forza per amplificare la crescita? Quali le debolezze sui cui investire?

La mia impressione è che nell’immaginario collettivo basti pronunciare le parole “Made in Italy” e questo debba magicamente aprire tutte le porte. Non è così. Il valore dei nostri prodotti sta nella loro storia, nella ricchezza delle nostre tipicità e nella loro qualità, non vi è dubbio. Ma se pensiamo che questo sia sufficiente a conquistare i mercati internazionali ci sbagliamo di grosso. Serve logistica, efficienza, regolarità negli standard qualitativi e nelle forniture. Tutte cose che si ottengono lavorando insieme e tutelando gli interessi di tutta la filiera, facendo degli accordi e rispettandoli. Inoltre, pur riconoscendo che i nostri prodotti sono unici e di gran valore, ricordiamoci che senza innovazione sono anch’essi destinati al declino: i consumatori oggi chiedono non solo di sapere cosa mangiano e da dove viene, ma vogliono prodotti a ridotto impatto ambientale, a ridotte emissioni carboniche, con un packaging facilmente riciclabile. Insomma, presentarsi sui mercati nazionali e esteri pensando che non serva innovare è un errore. Pensare che l’innovazione sia nemica della tradizione è una condanna a morte per l’intero settore agricolo. Dimostriamo che sappiamo innovare le nostre tradizioni: in questo modo le rilanceremo. 

Sostenibilità e produttività: come sviluppare il corretto rapporto di questo binomio, garantendo la salvaguardia dell’ambiente? Inoltre, quali sono le sfide del domani agricolo e l’importanza di una filiera interconnessa?

Ci troviamo a dover mediare fra due esigenze apparentemente contrapposte: produrre di più per sfamare un pianeta in crescita inarrestabile senza aumentare la pressione sull’ambiente. Siamo cioè costretti a crescere senza commettere un suicidio ambientale. Non c’è che una risposta: innovazione. Solo dalla collaborazione fra mondo della ricerca e mondo della produzione possono venire le risposte. Finora abbiamo dimostrato un forte sospetto nei confronti delle innovazioni, soprattutto in certi campi; ma questo porta al paradosso che le rifiutiamo anche quando portano ad una riduzione dell’impatto ambientale. Questo è un cortocircuito che va spezzato e l’unico modo per farlo è informare. Studio, ricerca, collaborazione e innovazione sono la via verso una conciliazione di produttività e sostenibilità. Va riscoperta l’autorevolezza del mondo scientifico: una cosa sono le opinioni, altro i fatti e non possono avere lo stesso peso. Sui fatti, sulle evidenze scientifiche si devono basare le politiche di sviluppo; solo così saranno produttive di risultati. Ed è opportuno coinvolgere anche la società, il mondo dei consumatori: si devono condividere gli obiettivi e i metodi per rispondere alle sfide che abbiamo davanti. La politica non può ignorare questa esigenza: deve raccogliere insieme a noi la sfida e coordinare il processo.

Nadia Comerci