Da pochi mesi è diventato presidente dell’Aicig, l’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche (Aicig). Nicola Cesare Baldrighi illustra gli obiettivi del suo mandato, l’attività dei consorzi di tutela in un mercato agroalimentare sottoposto alle spinte concorrenziali provenienti dall’Ue e dai Paesi extra-europei.
Presidente Baldrighi, l’Aicig ha rinnovato da poco le cariche, eleggendo appunto un nuovo presidente. Quali sono le linee guida che caratterizzeranno il suo mandato?
I Consorzi di tutela devono fare sempre più sistema tra loro e per centrare questo obiettivo sono necessarie azioni formative unitarie, che abbiamo già avviato, mettendo a disposizione know how ed esperienze delle realtà che, ad esempio, hanno una consolidata presenza sui mercati esteri. I temi più urgenti da affrontare sono le politiche di tutela e di difesa legale del prodotto, essenziali per non vanificare le attività promozionali. Altro obiettivo sarà il rafforzamento delle collaborazioni a livello internazionale, strada che credo possa consentire alle eccellenze italiane di entrare su nuovi mercati riducendo il rischio di conflitti. Se sapremo lavorare insieme, consentiremo inoltre all’Aicig di essere interlocutore forte sia in Europa sia nei confronti del Governo italiano.
Il tratto fondamentale delle produzioni a marchi d’origine protetta e controllata è il rapporto essenziale con il territorio e il sapere antico dei processi: quali sono le vie per conservare questo patrimonio ed evitare che venga disperso?
Non abbassare la guardia sul versante della qualità, cercando invece di utilizzare tutte le opportunità di razionalizzare la produzione e di ottenere risorse a livello europeo e nazionale da investire su questo versante. Inoltre, occorre valorizzare al meglio il rapporto tra le eccellenze alimentari e le bellezze naturali e artistiche del nostro territorio. Non è un caso che l’Italia abbia il maggior numero di prodotti a indicazione geografica tipica e numerosi siti Unesco. Tutti insieme sono un unico patrimonio dell’umanità che si chiama Italia ed è invidiato nel mondo. Conoscere cibi e monumenti sono due espressioni della stessa cultura.
L’eccellenza è l’altra parola chiave che caratterizza l’agroalimentare italiano e i marchi Dop e Igp sono il biglietto da visita più luccicante: come si difende questa unicità qualitativa sul mercato contro i molteplici tentativi di imitazione?
Con la pazienza di perseguire accordi con i Paesi interessati ad un riconoscimento reciproco delle proprie eccellenze. Ecco perché resto fiducioso su possibili benefici dall’intesa Ceta con il Canada e guardo con altrettanta attenzione allo sviluppo di un analogo trattato con il Giappone. Questi accordi sono un inizio, molta strada dovrà essere fatta e dovremo vigilare su ogni passaggio. Ma rappresentano un “no” ai protezionismi, aprono garanzie alle tutele e offrono opportunità importanti, pur se a beneficiarne all’inizio sarà chi ha già una maggiore forza sull’export. Ma finalmente si riconosce l’importanza del Made in Italy alimentare, che non viene sacrificato ad altre produzioni.
Elemento fondamentale nel processo di riconoscimento/attribuzione dei marchi di provenienza geografica è quello normativo. C’è un piano di confronto con l’Unione europea e uno, ulteriore, con le grandi economie mondiali, con le quali si definiscono accordi bilaterali (come il Ceta tra Ue e Canada). Che ruolo svolge l’Aicig? Qual è l’obiettivo principale su questo fronte che si spera di raggiungere?
Come ho già anticipato, negli accordi extra Ue occorre essere attenti, ma non chiusi. All’Europa invece chiediamo chiarezza e fermezza nel definire in modo compiuto la tracciabilità dei prodotti, dal luogo di produzione della materia prima sino alla distribuzione. L’Italia ha imboccato questa strada con decisione. Ma le nostre produzioni vanno sui mercati di tutta Europa, dove la difesa delle DOP è affidata a lunghi contenziosi legali, perché mancano regole chiare su denominazioni e percorso dei prodotti, nonostante alcune sentenze della Corte di Giustizia europea.
50 miliardi di export: è questo l’obiettivo dell’agroalimentare italiano sul breve periodo. Quali sono il ruolo e il contributo dei marchi a indicazione protetta?
È essenziale, direi strategico. Da Expo in avanti abbiamo dimostrato che il Made in Italy attrae, piace, ma deve essere garantito come tale al consumatore. Davanti a Paesi dalle immense capacità produttive in termini di quantità, l’Italia può invece vincere la partita della qualità, come ha già ampiamente dimostrato con i prodotti di punta, ma deve mettere in campo le eccellenze garantite dai marchi a indicazione protetta ed è necessario – ripeto – dare ai consumatori la certezza che il prodotto che compra è veramente italiano e garantito.
A oggi ci sono 291 prodotti Dop, Igp e Stg, insieme a 523 vini Docg, Doc, Igt: prevede un’espansione a livello numerico delle produzioni dalla provenienza regolamentata? Ci sono settori produttivi o ambiti geografici su cui puntare in quest’ottica di ampliamento?
Entrare in questa élite è l’obiettivo di molte produzioni e la necessità di qualificare il Made in Italy indubbiamente spinge all’ampliamento di questo numero. Non voglio però entrare nel dettaglio, pur se posso vedere più possibilità per prodotti che accanto alla qualità della materia prima, mettano in campo anche la maestria dell’uomo e tradizioni antiche. Non dobbiamo però dimenticare che il problema centrale poi è la promozione di questi prodotti sui mercati, compresi quelli internazionali. In tal caso, o si creano sinergie o per le produzioni più piccole trovare spazio appare difficile.
Un’ultima domanda sulla zootecnia. Le produzioni alimentari legate al mondo dell’allevamento hanno storicamente segnato la fama del Made in Italy. Se dovesse descrivere con tre aggettivi, le specificità dei prodotti zootecnici italiani, quali sceglierebbe? E perché?
Sicure, perché sono le più controllate al mondo. Uniche, perché comunque resistono a tutte le imitazioni. Profondamente italiane, perché ogni prodotto porta con sé secoli di lavoro e di tradizioni di tante comunità del nostro Paese.
Vito Miraglia