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Tempo di bilanci e attese: le misure per il rilancio non sono più rimandabili

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Il 2014 è ormai chiuso e si conclude di fatto il sesto anno di una crisi economica e finanziaria che non ha precedenti nella storia internazionale, ma soprattutto del nostro Paese. Purtroppo, anche se qualche comparto produttivo riesce a non mostrare il segno negativo, il dato della produzione a livello generale mostra i segni di una recessione ancora in atto e gli stessi analisti pubblici o privati che siano sono costretti a rivedere le previsioni di ripresa, spostando ogni volta in avanti l’anno in cui, anche per il nostro Paese, si spera possa profilarsi una via di uscita.

Nonostante i tempi lunghi della crisi e gli annunci di una ripresa imminente da parte dei Governi che si sono succeduti – ben 4 in sei anni – , la situazione pare stagnare soprattutto a causa della mancanza delle necessarie misure per favorire una reale inversione di tendenza: diminuisce la produzione, permane la crisi di liquidità, accentuata dalla stretta al credito, cresce la disoccupazione, aumenta la pressione fiscale, resta elevato il peso della burocrazia. E ciò avviene nonostante abbiamo lo spread ai livelli minimi e il costo del denaro sia al punto più basso mai registrato e, da ultimo, anche il prezzo del petrolio sia crollato in pochi mesi di circa il 50%.

In questo contesto generale, anche il settore agroalimentare, considerato da sempre anticiclico, ha risentito in modo pesante delle difficoltà di spesa delle famiglie e della conseguente forte riduzione dei consumi che hanno colpito, per la prima volta da tantissimi anni, i prodotti alimentari. Un settore in cui è sempre più inquietante il disagio delle imprese e in cui cresce la preoccupazione degli operatori nei confronti di una politica quasi disinteressata alle questioni agricole e alimentari e, sempre più spesso, troppo umorale e contraddittoria tra i propositi annunciati e le poche misure che vengono realmente adottate nell’intento – mancato – di favorire il settore.

Misure che sarebbero, invece, vitali, necessarie per fare ripartire l’agroalimentare italiano che rappresenta quasi un quinto del Pil nazionale, che è una bandiera del nostro Paese nel mondo, ma che è costretto a fare i conti con una riduzione della produzione in questi ultimi sei anni pari a circa il 3,5%. Colpa del crollo dei consumi alimentari interni, del – 15%, tamponato, in parte, soltanto grazie alla capacità degli imprenditori italiani, che hanno dovuto cercare faticosamente e – anche qui – senza il dovuto supporto delle istituzioni pubbliche, sbocchi all’estero. Ed ancora non sono del tutto quantificati gli effetti dell’embargo internazionale contro la Russia, che ha determinato per le aziende del nostro Paese un danno aggiuntivo con il crollo delle esportazioni, privandoci di un mercato determinate per il made in Italy alimentare.

È evidente che manca su tutto una visione strategica nazionale per garantire un futuro all’agroalimentare italiano. Manca un piano organico che sappia affrontare in modo pragmatico una situazione che non possiamo sperare di risolvere continuando a sventolare la bandiera del made in Italy, da sola del tutto insufficiente a caricarsi il peso della ripresa e tanto meno della crescita.

Occorrono azioni concrete e lontane da ideologie politiche o corporativistiche, finalizzate a razionalizzare gli obiettivi ed abbandonando il criterio, fino ad ora abusato, di un colpo al cerchio e uno alla botte. Gli esempi non mancano: proprio in questi giorni l’Italia si è fatta promotrice di una azione per fermare i tagli che la Commissione intende fare ai fondi PAC per il settore agricolo nel 2015, ma che allo stesso tempo ha adottato un deludente decreto di applicazione nazionale della PAC 2015-2020. Si tratta, infatti, di una decisione che sancisce una dispersione delle risorse a disposizione del Paese – fallendo nell’obiettivo di utilizzarle per aumentare la produzione – e finendo per premiare coloro che non producono a scapito delle aziende più efficienti e produttive. Ciò pone in sostanza le basi per una ulteriore contrazione della produzione agricola e zootecnica nazionale fondamentale al nostro fabbisogno interno.

Si parla della fame nel mondo e di come alimentare il pianeta – tema centrale anche della prossima EXPO – salvo poi farci promotori di sistemi di produzione che non assicurano maggiori disponibilità di cibo e in contrasto con la sostenibilità ambientale e con la razionalizzazione delle ridotte superfici agricole di cui disponiamo. E, come se non bastasse, si criminalizzano le importazioni dall’estero di materie prime agricole, fondamentali, invece, per la sopravvivenza della nostra industria alimentare.

Assistiamo immobili alla crescita del nostro fabbisogno alimentare dall’estero, causato dall’inefficienza produttiva della nostra agricoltura e dalla incapacità di trarre reddito da questa attività per gli operatori del settore, alimentando quel clima oscurantista dominato dalla strenua opposizione del nostro Paese all’innovazione e alla ricerca in agricoltura e alla promozione di sistemi produttivi rispondenti alle nuove esigenze del mercato.

Come se non bastasse, in questi giorni, in cui va in pubblicazione la nostra rivista, si è diffusa la notizia dell’accordo di principio raggiunto a livello comunitario per una normativa che lascerà a ogni singolo Stato la decisione se autorizzare, o meno, la coltivazione di varietà GM, che vede una parte importante di chi ha la responsabilità delle scelte del nostro Paese gioire perché così sarà possibile vietare definitivamente la coltivazione di OGM in Italia. E tutto questo dimenticando, in modo colpevole, che tale divieto determinerà una ulteriore riduzione delle produzioni interne e un ulteriore aumento delle importazioni proprio di quelle materie prime OGM che continueremo a usare nelle nostre produzioni alimentari ma che saranno coltivate da altri e fuori dal nostro Paese.

Per un imprenditore non vi è la possibilità di guardare al futuro con pessimismo, non è un atteggiamento contemplato nel suo DNA, ma non si può continuare a lasciare le imprese da sole, imponendo loro di portare sulle spalle un peso che sfida gli stessi limiti imposti dalle leggi della fisica.

 

Foto: Pixabay

Giulio Gavino Usai – Assalzoo