Home Attualità Pac: quale definizione per l’agricoltore attivo?

Pac: quale definizione per l’agricoltore attivo?

224
0

Continua l’analisi di alcuni temi chiave della Pac da parte del direttore dell’Area Economica e Centro Studi di Confagricoltura Vincenzo Lenucci. Dopo l’introduzione alle novità (pagamenti diretti e greening), si entra nel cuore della riforma e della gestione a livello nazionale e regionale della politica agricola.

 

“Attivi” o “non attivi”? Questo è il problema

 

Il confronto tra Ministero e Regioni, di cui abbiamo parlato nello scorso numero di Mangimi&Alimenti, sta mettendo a fuoco alcuni aspetti strategici della PAC (che è una politica e quindi, non potrebbe essere altrimenti, determina scelte che necessitano di vision).
Uno di questi riguarda la definizione di “agricoltore attivo” l’unica figura che dal 2015 avrà diritto a percepire i pagamenti diretti della PAC e ad accedere ad alcune misure di sviluppo rurale come gli incentivi per le assicurazioni agevolate e le indennità compensative per le aree svantaggiate.
L’Europa considera “non attivi” gli agricoltori che non garantiscono una sufficiente manutenzione dei fondi agricoli e che gestiscono contemporaneamente aeroporti, ferrovie, acquedotti, immobili e attività sportive e ricreative. L’Italia ha esteso questa “lista nera” anche ai soggetti beneficiari che gestiscono banche, assicurazioni, finanziarie, intermediari commerciali e pubblica amministrazione; e poi ha invece definito come “agricoltori attivi” gli iscritti all’Inps come imprenditori agricoli professionali (IAP), coltivatori diretti, coloni e mezzadri nonché tutti i titolari di partita IVA che presentano una dichiarazione annuale IVA (non necessaria nelle zone montane e svantaggiate).
In ogni caso sono agricoltori attivi tutti coloro che percepiscono meno di 1250 euro di pagamenti diretti (5mila nelle aree montane e svantaggiate).
Il confronto sul tema è stato acceso anche perché si tratta di un’opzione essenziale che determina la possibilità di accedere o meno agli incentivi comunitari. Si sono confrontate due visioni: quella più estensiva di chi ritiene opportuno una definizione che non limiti eccessivamente l’accesso ai benefici della PAC; e quella più restrittiva, che vede di buon occhio invece una selettività forte a favore di chi è impegnato davvero ed in via prevalente a gestire coltivazioni ed allevamenti. Il criterio che ha prevalso è se vogliamo un compromesso tra queste visioni. Con una netta esclusione per alcuni determinati soggetti come i gestori di servizi bancari, finanziari ed assicurativi (ma perché questi e non altri?) ed invece una visione più estensiva nell’includere praticamente tutti i titolari di partita IVA.

Quali comparti premiare?

Un’altra scelta che ha visto confrontarsi le amministrazioni è stata quella di quante risorse destinare ai pagamenti “accoppiati” a particolari produzioni in difficoltà e rilevanti dal punto di vista socio-economico-ambientale. Si è scelto di destinare l’11 per cento del plafond a questo scopo (il massimo era 13 per cento più 2 per cento dedicato all’incentivazione di proteine vegetali) e di premiare una decina di comparti tra zootecnia (bovini da carne e da latte, ovicaprini e bufali) e coltivazioni (pomodoro da industria, grano duro, proteaginose, barbabietola da zucchero e olivicoltura).
Anche qui si sono confrontati due approcci: utilizzare meno risorse possibili per pagamenti accoppiati concentrandole su poche, anche pochissime, priorità; ovvero utilizzare al massimo il margine di scelta che la normativa comunitaria affida agli Stati membri.
Anche in questo caso è scaturito un compromesso che forse non accontenta tutti in maniera soddisfacente. Purtroppo, in talune fasi del negoziato è emerso chiaramente come le scelte per premiare questo o quel comparto fossero dettate più che altro da valutazioni sui flussi finanziari tra le varie realtà territoriali. Con una logica quindi meramente contabile e non di considerazione dei sistemi produttivi.
In conclusione, la riforma è fatta ma non sono fatte ancora tutte le regole applicative, che sono tante e anche delicate perché potranno portare ad una politica agricola comune diversa in funzione delle scelte che si operano. L’auspicio è che si proceda in questo processo di recepimento con equilibrio e, soprattutto, tenendo conto delle esigenze delle imprese agricole e dell’agribusiness nazionale che è a monte e a valle di esse. Ne va del successo della riforma ma anche, se vogliamo, del sistema agricolo nazionale che è poi determinante per l’economia del Paese.

 

Foto: © pershing – Fotolia.com

Vincenzo Lenucci – Direttore dell’Area Economica e Centro Studi di Confagricoltura