Il sistema agroalimentare italiano costituisce una componente economica fondamentale del nostro Paese in cui interagiscono varie componenti, di cui l’agricoltura rappresenta l’anello fondamentale dal quale dipendono, a monte e a valle, una serie di altri settori economici – produttori di mezzi tecnici, conto terzisti, produttori di mangimi, industria alimentare, distribuzione, ristorazione – che valgono, nel loro complesso, la ragguardevole cifra di quasi 250 miliardi di euro, vale a dire il 16% del PIL nazionale.
L’agricoltura, inoltre, e in genere l’agro-alimentare, non si esauriscono nel valore economico per il nostro Paese, ma costituiscono nel loro insieme una risorsa di primaria importanza sotto il profilo della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari e dell’occupazione, senza certo dimenticare gli importanti risvolti di carattere sociale, ambientale, culturale: non ultimo il made in Italy alimentare vera e propria immagine dell’Italia nel Mondo.
Ciò nonostante l’agricoltura è stata di fatto relegata sempre più in angolo, snobbata da una cultura urbana sempre più distante dal mondo rurale e quasi dimenticata dalle istituzioni e dalla politica, sempre più indifferenti ai problemi con i quali è chiamata a confrontarsi la nostra agricoltura e l’intero sistema agro-alimentare.
Un atteggiamento incomprensibile che preoccupa per il futuro dell’Italia, determinando incertezza tra gli operatori del settore, stretti tra l’indifferenza dello Stato e un mercato dominato dalla globalizzazione e da una concorrenza sempre più accanita.
Preoccupazioni legittimate anche dal fatto che l’Italia già oggi non è un produttore di surplus, ma un Paese fortemente importatore (anche) di prodotti agricoli, necessari a garantire gli approvvigionamenti alimentari. Solo per fare alcuni esempi: importiamo dall’estero quasi il 50% dei cereali, il 90% delle proteine vegetali, oltre il 40% della carne bovina, più del 30% di quella suina e del latte. È evidente, come dimostrano questi dati, che l’attenzione e l’impegno riservati dalla politica a questo settore dovrebbero essere ben altri. Un settore, non va mai dimenticato, capace di produrre non solo ricchezza, ma anche di fare fronte a una priorità vitale che è la sicurezza di cibo per tutti.
Tutti sappiamo che l’Italia non potrà mai essere autosufficiente per il suo fabbisogno agroalimentare, sarebbe illusorio pensare il contrario, si può però fare molto, almeno per ridurre o evitare di accrescere – come, invece, si sta facendo ora – il nostro gap produttivo rispetto al fabbisogno.
Eppure, il problema sembra non interessare più di tanto: continuiamo a ignorare che nel Mondo cresce la popolazione e la domanda di prodotti agricoli (con la conseguenza di un necessario aumento di produzione); ignoriamo che ci sono Paesi che hanno reintrodotto tasse sulle esportazioni per aumentare le loro disponibilità di prodotti agricoli e favorire i consumi interni; trascuriamo di considerare che ci sono Paesi che stanno acquistando terreni nel Mondo (solo la Cina ha acquistato già tre volte la SAU italiana) per assicurasi maggiori superfici con cui produrre in futuro alimenti; sottovalutiamo che l’Europa di cui facciamo parte, sta assumendo, in controtendenza con il resto del Mondo, una politica “autolesionista” che trascura il ruolo strategico della produzione agricola, proponendo una PAC (Politica Agricola Comune) che disincentiva di fatto la produzione imponendo vincoli insostenibili per gli agricoltori e relegando la PAC a mero strumento contabile di ripartizione delle risorse finanziarie.
Un disinteresse pericoloso, che rischia di costarci molto caro e che dovrebbe consigliare una rapida inversione di rotta, restituendo importanza e ruolo all’attività agricola, ridando fiducia e motivazioni ai nostri agricoltori, ai quali fornire modelli competitivi in grado di assicurare maggiore efficienza e più economia a questa attività strategica per il futuro del nostro Paese.
È vitale dare nuove energie alla nostra agricoltura attraverso un forte impulso alla ricerca, favorendo il cambiamento e l’innovazione.
Ne trarrebbe giovamento l’intero agro-alimentare costretto oggi a contare solo sulle proprie forze, insufficienti per operare su un mercato non più solo nazionale o europeo, ma mondiale. Ne è un esempio il made in Italy alimentare che vive il paradosso di avere un “troppo successo” a livello mondiale, tanto che i nostri prodotti sono i più imitati proprio a causa della nostra incapacità di assecondare la domanda.
Serve perciò un sistema che aiuti l’agroalimentare italiano a stare sul mercato; occorre fare in modo che le nostre aziende non siano tentate a delocalizzare le loro produzioni fuori dai nostri confini, ma siano incentivate a mantenere in Italia i siti produttivi.
È auspicabile anche rivedere certi atteggiamenti anti industriali che si percepiscono a vari livelli nel nostro Paese, superando l’illusione che l’agro-alimentare italiano si potrà reggere in futuro sulle produzioni di nicchia o sul “chilometro zero”.
Sarà però necessario l’impegno di tutti: da parte della filiera, che deve fare ogni sforzo per favorire quell’auspicabile integrazione in grado di garantire maggiore efficienza tra tutti gli anelli che la compongono e una giusta ripartizione della catena del valore al suo interno, ma ancor più da parte della politica e delle istituzioni, che sono chiamati a “riscoprire” l’importanza decisiva di uno dei settori produttivi prioritari del nostro Paese.