Tra il 1996 e il 2009 l’industria biotecnologica è valsa all’agricoltura un guadagno di 65 miliardi di dollari, 11 dei quali concentrati nell’ultimo anno. Queste stime, pubblicate dall’International Journal of Biotechnology, sono state effettuate da Graham Brookes e Peter Barfoot della PG Economics Ltd. (Dorchester, Regno Unito) e si basano sull’analisi delle rese, dei principali costi di produzione, delle entrate per i coltivatori (sia dirette, sia indirette, ossia non economiche) e dell’impatto sulla produzione di base di quattro importanti coltivazioni: soia, mais, cotone e colza.
Il guadagno stimato consiste in ciò che i coltivatori ricavano dai raccolti al netto delle spese necessarie per pagare i semi e le loro caratteristiche biotecnologiche. In totale, le biotecnologie agrarie hanno aumentato del 5,8% il valore delle quattro coltivazioni prese in considerazione. Quasi la metà dei benefici proviene dalle coltivazioni nei Paesi in via di sviluppo, dove nel solo 2009 si è concentrato il 53,1% dei ricavati. Riferendosi solamente alla soia e al mais, questo corrisponde a un incremento della produzione, rispettivamente, di 83 e 130 milioni di tonnellate. I benefici maggiori derivano dalla coltivazione di piante di cotone resistenti agli insetti e dalle varietà di soia tolleranti agli erbicidi. E, per quanto riguarda i costi, il risparmio più cospicuo riguarda proprio la soia.
Biotech, nuova risorsa per gli agricoltori
“Il biotech e, nello specifico, le coltivazioni geneticamente modificate hanno avuto un significativo impatto positivo sui guadagni dei coltivatori – spiegano gli autori dello studio -, frutto di una combinazione di aumento della produttività e dell’efficienza”.
I ricercatori hanno precisato che anche in condizioni ambientali meno favorevoli rispetto a quelle considerate la stima rimarrebbe comunque alta. Infatti, anche se la presenza di erbacce infestanti e insetti fosse stata più alta o più bassa rispetto a quella ipotizzata, il guadagno sarebbe variato tra i 58 e i 73 miliardi di dollari.
Non solo economia, il vantaggio è anche ambientale
Ma i vantaggi dell’agrobiotech non si limitano all’ambito economico. Gli stessi Brookes e Barfoot hanno analizzato in uno studio precedente, pubblicato dalla rivista GM Crops, le conseguenze della presenza delle coltivazioni biotecnologiche per la natura, rilevando che l’uso delle piante biotech ha provocato una diminuzione pari al 17,1% dell’impatto ambientale di erbicidi e pesticidi. In particolare, spiegano gli autori, le coltivazioni di soia, mais, cotone e colza geneticamente modificati hanno evitato il consumo di 393 milioni di kg di pesticidi, pari a una diminuzione del loro utilizzo dell’8,7%. E sarebbero state le coltivazioni di cotone geneticamente modificato a dare il contributo maggiore in questo senso.
Lo stesso studio ha rilevato anche una diminuzione dell’emissione dei gas serra, che, nel 2009, ha corrisposto alla rimozione di 7,8 milioni di macchine dalle strade. Infatti, considerando solamente l’impatto delle coltivazioni statunitensi di soia geneticamente modificata, in quell’anno il consumo medio di carburante per la lavorazione delle coltivazioni è stato pari a 24,2 litri per ettaro coltivato, contro i 36,4 litri per ettaro per le coltivazioni tradizionali. E se, tra il 1996 e il 2009, l’aumento del consumo di carburante è stato pari al 4,8%, le superfici coltivate sono aumentate ben del 19%. In totale, nel periodo preso in esame sono stati risparmiati 834,6 milioni di litri di carburante e 2.295,15 milioni di kg di anidride carbonica con le sole coltivazioni di soia biotech statunitensi.
Secondo i dati illustrati da Brookes e Barfoot l’impatto delle altre coltivazioni transgeniche incluse nell’analisi ha seguito lo stesso andamento. In totale, le coltivazioni geneticamente modificate di soia (piantata in Stati Uniti, Argentina, Paraguay e Uruguay), di colza (Canada), mais (Brasile) e cotone (in tutto il mondo) hanno permesso di risparmiare tra il 1996 e il 2009 3.616 milioni di litri di carburante, pari a 9.947 milioni di kg di anidride carbonica che sarebbe stata di conseguenza immessa nell’ambiente.
Coltivazioni come magazzino di anidride carbonica
Un ultimo aspetto sottolineato dai ricercatori riguarda la quantità di carbonio che, immagazzinato a livello del terreno, non è entrato nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica. Considerando tutte e quattro le specie prese in esame, sono 115.178 i milioni di kg di anidride carbonica che tra il 1996 e il 2009, anziché essere immessi nell’ambiente, sono stati immagazzinati a livello del suolo grazie alla presenza delle coltivazioni geneticamente modificate.
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Silvia Soligon