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Alimentazione dei pesci e acquacoltura

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L’acquacoltura fornisce a livello mondiale oltre 60 milioni di tonnellate a fronte dei circa 100 milioni di t ottenuti con la pesca professionale. Si ritiene che nei prossimi 20 anni i due settori si eguaglieranno; ciò consentirà di non aumentare i prelievi dagli stock ittici marini spesso sovra sfruttati; in tale ottica l’acquacoltura contribuirà alla salvaguardia delle popolazioni marine. Questa situazione è però controbilanciata dal fatto che molti pesci allevati sono carnivori e pertanto abbisognano di mangimi ricchi di proteine e grassi per potersi accrescere. Poichè l’uso di farine di animali terrestri è stato fortemente ridimensionato dopo la comparsa della “mucca pazza”, gran parte delle proteine e dei grassi animali sono di origine acquatica e provengono da farine e olio di pesce i cui prezzi sono fortemente lievitati negli ultimi anni. Inoltre le perdite energetiche dovute alla trasformazione del pesce azzurro in farina e olio e quindi di nuovo nei tessuti delle specie allevate, sono molto elevate e la sostenibilità di tale processo viene messa in discussione sotto il profilo ambientale.

Poiché l’alimentazione concorre con circa il 50% alla formazione dei costi delle produzioni zootecniche e consente l’estrinsecazione fenotipica dei caratteri produttivi assicurando inoltre la sanità e il benessere delle specie allevate, la ricerca scientifica nel campo della nutrizione degli animali terrestri ha fatto passi da gigante ed ha introdotto innovazioni fondamentali già a partire dagli anni ’50 e ’60. Nell’ambito dell’acquacoltura, tali progressi sono stati compiuti solo a partire dagli anni ’70 sopratutto sulla base delle conoscenze acquisite nei confronti dei salmonidi, da alcune importanti scuole europee.

Le sperimentazioni, tuttora in corso, per i motivi già ricordati, sono tra l’altro finalizzate alla sostituzione delle proteine animali con fonti vegetali (soia, pisello etc.), nei mangimi per pesci con l’obiettivo di ridurre i costi e risparmiare l’uso di farina di pesce; se in linea di principio l’idea è condivisibile, non bisogna però dimenticare che si tratta di specie carnivore che non possono essere trasformate in erbivore per soddisfare le nostre esigenze. Inoltre, dal punto di vista della qualità del prodotto, l’uso di diete ad alto contenuto vegetale è responsabile della riduzione della quota di acidi grassi polinsaturi (omega 3) nelle carni dei pesci e dell’aumento della frazione di omega 6 largamente rappresentata nei vegetali. In tal modo, si rischia di ridurre gli effetti benefici degli omega 3 che, come noto, riguardano la circolazione, la funzionalità cardiaca, l’efficienza del sistema immunitario agendo favorevolmente nella prevenzione di gravi malattie quali Alzheimer, artrite reumatoide e cancro (Lopez e Ortega, 2003; Guebre-Egziabher et al., 2008).

Nell’ultimo decennio le diverse branche dell’acquacoltura hanno conseguito prestigiosi traguardi produttivi, cui hanno in larga parte contribuito le conoscenze acquisite nel campo dell’alimentazione e della nutrizione. Tuttavia, nel caso di alcune specie ittiche allevate, non si è ancora in grado di formulare diete in grado di garantire incrementi ponderali soddisfacenti ed indici di conversione accettabili. Ciò deriva anche dal fatto che ogni anno entrano nel circuito produttivo nuovi organismi acquatici; risulta pertanto molto difficile determinare in tempi brevi i loro fabbisogni nutritivi. Di norma vengono pertanto utilizzati mangimi già destinati alle specie allevate da molto tempo. Le ragioni di questo stato di cose risiedono nelle notevoli difficoltà che si incontrano nel condurre, per ognuna delle specie prese in considerazione, le lunghe e complesse verifiche sperimentali necessarie per accertare i livelli dietetici ottimali dei vari principi nutritivi (proteine, lipidi, carboidrati, vitamine, sali minerali). In proposito, si deve tenere presente che a rendere assai diversificato il livello di utilizzazione dei vari componenti alimentari da parte degli organismi acquatici concorrono numerosi ed eterogenei fattori quali la struttura dell’apparato digerente (assenza o presenza dello stomaco, lunghezza dell’intestino, corredo enzimatico); la taglia e l’età del soggetto; la temperatura e le caratteristiche chimiche dell’acqua; la metodologia di allevamento (intensivo, semintensivo, estensivo); la tecnica di preparazione della dieta (estrusione, pellettatura, ecc.). Inoltre, nell’ambito delle specie ittiche di interesse per l’acquacoltura possiamo distinguere: carnivori, erbivori ed onnivori. Alla categoria degli erbivori e degli onnivori appartengono specie di particolare importanza per il continente asiatico con la Cina in primo fila che, da sola, produce oltre l’80% dell’acquacoltura mondiale (FAO, 2010). All’allevamento dei carnivori sono particolarmente dediti l’Europa ed il continente americano che producono salmonidi, specie eurialine e pesci gatto che si ottengono in ambienti notevolmente diversi sotto il profilo delle caratteristiche dell’acqua. Tali organismi, a differenza di quanto accade per numerose specie terrestri di interesse zootecnico, hanno esigenze proteiche particolarmente elevate. Le diete per pesci carnivori contengono di norma dal 30 al 55% di proteine, a differenza di quelle per polli e suini che ne contengono, mediamente, quantità tra il 18-23% ed il 14-16%.

La quota proteica influenza anche il fabbisogno energetico, inferiore a quello dei mammiferi e degli uccelli in quanto i pesci non devono consumare energia per mantenere costante la temperatura corporea. La presenza della vescica gassosa consente inoltre di equilibrare, dal punto di vista idrostatico, il peso corporeo con quello dell’acqua. Inoltre, essendo i pesci amoniotelici, ossia eliminando ammoniaca in luogo di urea o acido urico quale prodotto finale del metabolismo proteico, danno luogo per questa via a contenute perdite energetiche.

Dal punto di vista della nutrizione azotata, l’ottimizzazione delle diete quindi è influenzata dalla qualità delle proteine ed in particolare dalla composizione in aminoacidi, dalla relazione tra esigenze aminoacidiche ed ingestione di proteine, dall’equilibrio tra aminoacidi e dalla biodisponibilità degli aminoacidi stessi.

Nell’ambito delle specie ittiche più studiate, è stata dimostrata l’essenzialità di 10 aminoacidi: arginina, istidina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano e valina.

Da un corretto equilibrio della componente proteica della dieta dipendono: l’ottimizzazione dell’accrescimento e degli indici di conversione; la riduzione dell’impatto ambientale dovuto all’escrezione azotata; la riduzione dei costi di alimentazione e un miglioramento della qualità del prodotto. Dal punto di vista dietetico-nutrizionale, infatti, le farine di pesce sono da considerarsi ingredienti proteici virtualmente ideali, caratterizzandosi per l’elevato titolo di proteina (>65%) di alto valore biologico, grazie a livelli e profili equilibrati in aminoacidi essenziali e per l’elevata digeribilità dei nutrienti e dell’energia. Esse apportano, inoltre, elementi minerali, vitamine, acidi grassi essenziali (HUFA) e contengono sostanze stimolatrici dell’appetito (Hardy, 1989).

I lipidi costituiscono una frazione fondamentale della dieta, adempiendo essi a funzioni sia strutturali (lipidi cellulari) che energetiche (grassi di deposito). Studi recenti hanno evidenziato come diete contenenti il 10-20% di lipidi consentano una maggiore efficienza di utilizzazione della quota proteica, oltre ad apportare gli acidi grassi polinsaturi e gli altri composti (fosfolipidi, steroli, vitamine, ecc.) indispensabili per un normale accrescimento. I pesci, così come tutti gli altri vertebrati, richiedono tre acidi grassi polinsaturi a lunga catena (PUFA) per un loro accrescimento e sviluppo normali, inclusa la riproduzione: acido eicosapentaenoico (C20:5 n-3, EPA), docosaesaenoico (C22:5 n-3, DHA) e arachidonico (C20:4 n-6, AA) (Sargent et al., 1999). Le funzione biochimiche, cellulari e fisiologiche di questi tre PUFA sono, approssimativamente, le stesse nei pesci e negli altri vertebrati e si dividono in due categorie: mantenimento dell’integrità e della funzionalità delle membrane cellulari e ruolo come precursori attivi della sintesi di numerosi ormoni.

I pesci d’acqua dolce, che comprendono trote e salmoni, sono capaci di convertire l’acido α-linolenico (C18:3 n-3, α-LN) nei suoi omologhi maggiormente attivi dal punto di vista biologico e cioè EPA e DHA. Sono inoltre capaci di convertire l’acido linoleico (C18:2 n-6, LA) nel suo omologo maggiormente attivo dal punto di vista biologico e cioè l’AA, sebbene gli n-6 PUFA siano richiesti dal pesce a livelli più bassi (circa un ordine di grandezza in meno rispetto alle specie marine e ai salmonidi) degli n-3 PUFA. D’altro canto, i pesci di mare studiati fino ad oggi non sono in grado di operare queste trasformazioni e, pertanto, EPA e DHA risultano acidi grassi essenziali per le specie ittiche marine. Ad ogni modo, sebbene il principale acido grasso essenziale della dieta di pesci di acqua dolce sia α-LN, le trote ed i salmoni fanno registrare livelli produttivi maggiori quando alimentati con EPA e DHA piuttosto che con α-LN. Così l’olio di pesce, che è l’unica fonte commercialmente disponibile di EPA e DHA, è obbligatorio per l’allevamento di specie ittiche marine ed altamente desiderabile per l’allevamento di trota e specialmente salmone.

Le specie ittiche d’acqua calda utilizzano relativamente bene i carboidrati; gli amidi crudi, per altro, deprimono elettivamente l’attività amilasica intestinale, in misura proporzionale al loro grado di polimerizzazione. E’ provato che la cottura ne accresce la digeribilità in ragione anche del 50%. I Salmonidi utilizzano i carboidrati in una proporzione pari al 5-10% rispetto agli uccelli e ai mammiferi. In generale, i pesci carnivori accettano livelli di carboidrati nei mangimi compresi tra il 10 e il 20%.

Nell’organismo dei pesci non ha luogo una patrimonizzazione di vitamine, di cui è pertanto necessaria una somministrazione costante con gli alimenti. Da sottolineare la non essenzialità della vitamina B12 e dell’inositolo per il pesce gatto. Della vitamina K, pur non essendone noto il fabbisogno da parte di tale specie, se ne conosce l’indispensabilità ai fini della sintesi delle proteine plasmatiche (protrombina, tromboplastina) essenziali per la coagulazione del sangue.

Le esigenze in macro- e microelementi minerali sono state studiate in molte specie ittiche. A differenza dagli animali terrestri, i pesci possono prelevare parte dei minerali essenziali (calcio, ferro, magnesio, potassio, sodio, zinco, rame e selenio) anche direttamente dal mezzo acqueo attraverso le branchie. L’alimento resta invece la principale fonte di approvvigionamento dei fosfati e solfati, scarsamente presenti nelle acque. Le funzioni svolte dai minerali sono molteplici: sviluppo e mantenimento della struttura scheletrica, mantenimento dell’equilibrio acido-base nei fluidi corporei; partecipazione alla composizione di ormoni ed enzimi. I fabbisogni sono noti solo per alcune specie ittiche e riguardano calcio, fosforo, ferro, rame, manganese, zinco, selenio e iodio. In proposito, Tacon e De Silva (1983) hanno riportato che il livello di disponibilità di fosforo necessario per garantire la crescita nell’anguilla corrisponde allo 0,6-0,7% della dieta. Nel pesce gatto americano tale livello è risultato essere dello 0,8% (Andrews et al., 1977).

Nella formulazione di diete per specie ittiche non si può ovviamente prescindere dagli aspetti di ordine economico, tenuto conto che l’alimentazione contribuisce in misura del 50% al costo di produzione, di cui rappresenta la componente più importante. Ferma restando la basilare esigenza di soddisfare i fabbisogni nutritivi delle diverse specie, cospicui risparmi possono essere realizzati sostituendo parte delle farine proteiche di origine animale (pesce) con prodotti vegetali (soia, glutine di mais, ecc.). Come già richiamato, anche una corretta integrazione lipidica contribuisce a migliorare l’utilizzazione della frazione proteica, con conseguente riduzione dei costi. Per quanto concerne infine la conversione alimentare, appare opportuno ricordare che tra le specie ittiche di acqua calda sono da annoverare alcuni fra i più efficienti utilizzatori di cibo: i pesci gatto, ad esempio, riescono a produrre 1 kg di carne con soli 1,2 kg di mangime; le tilapie ne richiedono mediamente 1,6 kg mentre si sale a circa 2 kg per l’anguilla e la carpa comune. Tra i pesci di acqua fredda, la trota con conversioni prossime a 1, si colloca in prima posizione per efficienza di trasformazione. Orata e branzino, tra i pesci marini, riescono a produrre 1 kg di carne con circa 1,4 kg di mangime.

Per quanto riguarda le quantità di mangimi impiegati, il settore dell’acquacoltura ha utilizzato oltre 29 milioni di t, destinati sia a pesci che crostacei marini e dulciacquicoli (Fig. 1), corrispondenti a circa il 4% della produzione mondiale di alimenti che ammonta ad oltre 708 milioni di t (anno 2009) (Tacon, 2010). I principali Paesi produttori di alimenti per il comparto acquacoltura sono riportati in Tab. 1.

Le prospettive di sviluppo delle conoscenze in materia di nutrizione e alimentazione dei pesci, e degli organismi acquatici allevati in generale, sono strettamente legate al trend di crescita dell’acquacoltura, che risulta largamente positivo poiché l’incremento annuo a livello mondiale è del 6,6% (FAO, 2010).

Nel continente europeo i due settori trainanti, quello della salmonicoltura e quello delle specie marine, si differenziano notevolmente in termini di quantità di prodotto, riferito al 2008, con il salmone atlantico ormai prossimo a 1.000.000 di t annue, la trota iridea che ha già superato le 320.000 t. Branzino e orata registrano valori complessivamente valori di 380.000 t (FEAP, 2011).

Poiché si tratta di specie carnivore fervono le ricerche finalizzate alla riduzione dei costi di alimentazione che, soprattutto per il salmone, sono orientate verso un aumento della quota lipidica ormai su valori compresi tra il 30 e il 40%. Parallelamente a ciò, si stanno saggiando materie prime, soprattutto vegetali, in grado di sostituire, seppure parzialmente, la farina e l’olio di pesce senza che ciò incida eccessivamente sulla composizione del prodotto. La trota ed i pesci di mare seguono, seppure in modo meno marcato, la via già tracciata dal salmone.

Nell’immediato futuro saranno i consumatori, ormai perfettamente in grado di valutare le caratteristiche qualitative dei prodotti, a fornire un giudizio definitivo sulla nuova via intrapresa nell’alimentazione dei pesci.

 

Tab. 1 – Principali Paesi produttori di mangimi destinati all’acquacoltura (Tacon, 2010; EAS, 2010; ISTAT, 2010)

Paese

Anno

Produzione (t)

Cina

2008

13.000.000 – 15.000.000

Vietnam

2008-2009

1.625.000 – 2.800.000

Europa

2009

2.100.000

Tailandia

2008-2009

1.210.327 – 1.445.829

Norvegia

2009-2010

1.136.800 – 1.382.000

Indonesia

2008-2009

1.030.000 – 1.184.500

Cile

2008

883.305 – 1.050.000

USA

2008

700.000 – 750.000

Giappone

2008

500.000

Filippine

2007

400.000 – 450.000

Taiwan

2007

345.054

Italia

2009

101.341

 

Maggio – Giugno 2011.

 

Foto: Pixabay

 

Paolo Melotti, Alessandra Roncarati – Associazione Scientifica di Produzione Animale (ASPA), Scuola di Scienze Mediche Veterinarie, Università di Camerino