Home Attualità Alle origini del successo: Apollinare Veronesi, l’industriale che guardava al futuro

Alle origini del successo: Apollinare Veronesi, l’industriale che guardava al futuro

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Due frasi e una data. Sono i simboli della storia di successo che ha per protagonista Apollinare Veronesi, motore di una straordinaria avventura imprenditoriale che si distende tra due secoli, che supera due guerre mondiali, cresciuta nella terra solida della Valpantena, coltivata nell’humus del boom economico, per poi diventare grande, abbracciando più continenti, mercati, incrociando altre storie e altri successi. Due frasi e una data che parlano più di tanti numeri, nonostante i numeri di questa impresa siano davvero eccezionali: nel 2011 circa 2,4 miliardi di fatturato per il gruppo Veronesi, più di 6.700 dipendenti, che ne fanno una delle maggiori imprese agroalimentari d’Europa, prima in Italia per la produzione di mangimi, tra le prime a livello globale nel settore della zootecnia. Primati costruiti in una manciata di decenni di duro lavoro, investimenti sapienti, ma soprattutto ingegno e innovazione che hanno radici profonde.

 

Il viaggio da Lugo a Quinto – La prima frase rispecchia le intuizioni di Apollinare Veronesi, lo stesso che amava dire di sè “Sono un mugnaio”, per ricordare sempre da dove era venuto, mentre dentro “l’industriale” sapeva già allora dove sarebbe arrivato. Si tratta di un proverbio veronese: “Pesséto e useléto màgna el campéto”, come dire che chi pensa a guadagnare con poco consuma tutto quello che possiede. Lo sapeva bene Apollinare Veronesi quando con scrupolo e ambizione progettava la grande impresa già nel ‘56 e prima ancora, ma con prudenza raccoglieva le forze e le risorse per il salto, tracciava l’orizzonte del viaggio. Viaggio che avvenne non in un giorno qualsiasi dell’anno, ma in una data simbolica anch’essa: il 1° maggio del 1958, la festa laica del lavoro, significativa per cominciare un cammino, lui e la moglie Cesira, con la quale condivideva credo e fede, prudenza e generosità. Altri due tasselli che hanno sempre accompagnato e protetto il genio imprenditoriale: perché senza il rispetto per l’uomo, che sia dipendente o consumatore (“il nostro datore di lavoro”, diceva sempre Apollinare Veronesi), non si arriva lontano. Quel giorno ci fu il distacco da Lugo, il luogo in cui il padre Marcellino aveva dato inizio a tutto, per approdare a Quinto di Valpantena, dove fu piantato un altro seme di questa storia.

 

Non c’era erba alta – Oggi, a guardarla da qui, da un contesto profondamente cambiato e che anche Apollinare Veronesi ha contribuito a modificare, viene da pensare alla seconda frase che spesso il figlio Giordano Veronesi ama ripetere durante i convegni, gli appuntamenti ufficiali e non: “I giovani d’oggi sono nati nell’erba alta”. Una considerazione dal sapore un po’ amaro, di chi insieme a Bruno ha ricevuto il testimone dell’azienda che nel 1958 fatturava 240 milioni di lire e cinquant’anni dopo venti volte di più. Non c’era l’erba alta allora, ma le idee appuntate sotto la contabilità certosina dell’azienda che Apollinare Veronesi teneva personalmente, aggiungendo spunti, riflessioni, progetti. Ecco, per capire come è stato possibile arrivare fin qui bisogna partire dall’uomo, dal mugnaio e dall’industriale, dalle macchine modificate, perfezionate, da una famiglia, allargata a quella dei dipendenti, dei lavoratori.

 

Il fiuto per il tempo in cui viveva – Ne è passato di tempo dalla polvere sollevata dal camion “SPA”, un residuato bellico della guerra italo-turca, primo mezzo di trasporto per molti anni della “bianca” e della “gialla”, delle farine Veronesi prima, dei mangimi poi, già dal 1952. Le foto dell’epoca ritraggono Apollinare sul predellino di questo modesto autocarro, lo sguardo fisso verso il fotografo, ma la mente già concentrata su come migliorare l’impresa, su quali presse acquistare, su come adattare le macchine alle nuove necessità produttive. Venne il tempo della FIAT 626 e di altri viaggi, di altri affari. Aveva fiuto per il tempo in cui viveva, Apollinare Veronesi: integrare il mangime con le vitamine della Vitasol fu un’operazione brillante di marketing, quando il marketing ancora non esisteva. Gli animali crescevano di più e meglio. In pochi anni la voce si sparse per la Valpantena e oltre. Gli ordini cominciarono a moltiplicarsi. L’azienda di Quinto, 24 operai e 4 impiegati in tutto, divenne rapidamente un punto di riferimento per il settore. Produceva 100 quintali al giorno. Preludio ad un altro grande salto, il nuovo stabilimento di San Pietro di Gù, che nel 1974 produceva già 1.500 quintali di mangimi al giorno per tutte le specie di animali.

 

I viaggi, le onorificenze, gli investimenti – In mezzo ci sono i viaggi, il primo in Olanda, poi negli Usa, in Sudamerica, e ancora gli studi delle università sul “modello-Veronesi”, le onorificenze, il Cavalierato di Gran Croce nel 1973. Erano anni difficili, quelli, per il mercato dei cereali: la crisi petrolifera, l’austerity, le barriere doganali volute da Richard Nixon. Per molti versi, anni simili a quelli che stiamo vivendo oggi. Ma non furono un ostacolo ai progetti di Apollinare Veronesi, nel ‘77 Cavaliere del Lavoro. Nello stesso anno la produzione record era di 6 milioni di quintali. L’azienda era il primo produttore italiano di mangimi. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta fu un susseguirsi di nuovi stabilimenti, capannoni più larghi per far posto alle commesse che arrivavano da tutta Italia, le acquisizioni che hanno dato alla produzione mangimistica un tessuto geografico nazionale, da Putignano a Cremona, dalla provincia di Cuneo a quella di Parma. Cresceva, nello stesso tempo, un altro settore commerciale, l’Agricola Italiana Alimentare, nata da un piccolo macello di San Giovanni Lupatoto, a 10 chilometri da Verona, divenuta oggi, anche dopo la costruzione del grande impianto di San Martino Buon Albergo, quel marchio così familiare sulla tavola di milioni di italiani, che nelle tre lettere “Aia” continua a comunicare sicurezza, gusto, attenzione alle esigenze alimentari, al passo con i tempi che cambiano. Ad Aia si affiancheranno nel tempo altri marchi, Montorsi, Fini salumi, Negroni. Ma al cuore del gruppo imprenditoriale, le cui attività erano intanto confluite nella Veronesi Finanziaria Spa, restava ancora il simbolo di quei sacchi di farina di Lugo, dei mangimi di Quinto. Solida storia di una famiglia che affonda le radici nel 1500, come ricordava l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza conferendo la laurea “honoris causa” in Scienze Agrarie ad Apollinare Veronesi nel 1990. Dottore e Cavaliere, Apollinare Veronesi continuava a ripetere di essere stato prima di tutto “mugnaio”, prima ancora dell’industriale che guardava lontano. Così ripeteva ai figli e ai suoi collaboratori: “La modestia paga”, ma anche “In tutto ciò che fai, mira al fine”. Lezione antica, che non muore mai.

Cosimo Colasanto