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Ambrosi (Assolatte): “Sicurezza, gusto e qualità i tre pilastri del successo del made in Italy lattiero caseario”

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Lo stato di salute del comparto e le sue prospettive future sono le questioni al centro dell’intervista a Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, l’Associazione italiana lattiero casearia.

Il settore lattiero caseario è uno degli ambiti zootecnici con i maggiori tassi di crescita. Qual è la mappa produttiva italiana, a livello di distribuzione geografica e industriale?

Il latte è un filo bianco che lega tutte le regioni del nostro Paese. Al Nord si concentra la maggior parte del latte bovino e degli stabilimenti di trasformazione. Più dell’85% del latte bovino prodotto in Italia arriva infatti dal quadrilatero Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. In queste regioni gli allevamenti sono sempre più specializzati e più competitivi. Al Centro e al Sud, così come nelle Isole, troviamo invece i greggi ovini e caprini più importanti e numerosi (la sola Sardegna produce il 60% del latte ovino italiano), con tradizioni regionali importanti. E poi il latte di bufala, la cui produzione è patrimonio quasi esclusivo di Campania e Basso Lazio, con i caseifici specializzati nella produzione della mozzarella. Un filo bianco, che unisce tutte le regioni italiane, che ha raggiunto il fatturato record di 16 miliardi di euro. Nessun altro settore agroindustriale italiano vale di più.

Latte e formaggi sono prodotti distintivi del made in Italy. Quali sono i tre elementi chiave di tale successo?

I nostri formaggi sono tra i più conosciuti e apprezzati al mondo. Viaggio molto per lavoro e, partecipando a eventi e presentazioni dei nostri prodotti, ho capito quanto successo incontrino all’assaggio. È sufficiente farli provare perché i consumatori capiscano le differenze tra il vero made in Italy e quello che lo imita. Sono sempre più convinto, quindi, che il successo si basi su tre pilastri: sicurezza, gusto e qualità. Pilastri che affondano le proprie basi su fondamenta solide, che si chiamano tradizione e capacità imprenditoriale. Credo che sia questa speciale capacità, tutta italiana, che ci permette di competere con chi dispone di tecnologie più moderne e può contare su costi di produzione inferiori.

Gli effetti dell’onda lunga della crisi finanziaria non sono stati ancora del tutto smaltiti dal sistema economico italiano. L’agroalimentare è stato uno dei settori che ha reagito meglio ed è ripartito con maggiore spinta di prima. Quali sono le priorità politico-economiche per il settore: normative, infrastrutturali, gestionali?

La crisi economica degli anni scorsi ha lasciato profonde cicatrici nel tessuto produttivo del Paese. Se è vero che il nostro settore ha forse sofferto meno di altri la difficile situazione interna, anche noi abbiamo affrontato momenti complicatissimi. Come dimenticare gli effetti dell’embargo voluto dalla Russia sui prodotti lattiero caseari europei. Nel giro di poche settimane sono crollate le quotazioni e le vendite internazionali di tutti i prodotti e abbiamo dovuto gestire una crisi violentissima. E chi non ricorda quello che è successo lo scorso inverno, con i blocchi delle strade e degli stabilimenti dei pastori sardi per la crisi del settore ovino? Sia nel primo che nel secondo caso, siamo stati lasciati soli, in balìa delle proteste, addirittura accusati di speculare alle spalle dei nostri fornitori. Siamo un settore importante e centrale nel panorama alimentare nazionale e bisognerebbe fare molto di più per valorizzarlo e per salvaguardare la nostra capacità di creare ricchezza sul territorio. Cosa fare? Da tempo chiediamo una semplificazione normativa, l’adeguamento delle regole del gioco a quelle dei nostri competitor, un taglio della burocrazia. Molte le promesse, pochi i fatti!

Commercio globale, rischi di contraffazione e qualità del prodotto: sono queste le sfide di domani per il settore lattiero caseario italiano?

La globalizzazione è ormai un fatto compiuto e chi pensa che si possa tornare indietro finge di non sapere che l’apertura dei mercati ci ha favorito e che il futuro di molti settori si gioca proprio sull’export. Le nostre imprese lo hanno capito da tempo e nel giro di pochi anni il fatturato del nostro settore all’estero è cresciuto in modo davvero importante. All’inizio del nuovo millennio festeggiavamo il superamento di 200.000 tonnellate di formaggi esportati, un miliardo di euro. Oggi abbiamo superato le 415.00 tonnellate e abbiamo superato i 3 miliardi di euro di vendite all’estero, con un saldo della bilancia commerciale che era drammaticamente negativo ed oggi – nei formaggi – ha superato un miliardo di euro di utile. Per questo crediamo che gli accordi di libero scambio che l’Europa sta siglando con altri blocchi economici mondiali siano fondamentali. Per troppi anni abbiamo lavorato in un far west dove ognuno applicava le proprie regole. L’accordo con il Canada, quello con il Giappone, e poi la Cina e tutte le altre intese hanno un punto di forza eccezionale: trovare la quadra tra esigenze differenti, realtà diverse, tradizioni talvolta opposte. Se a questo aggiungiamo che gli accordi prevedono sempre l’abbattimento dei dazi, si comprende perché crediamo che si debba andare avanti per la strada tracciata in questi ultimi anni. Sappiamo bene che spesso non sono accordi perfetti, ma sono il determinante incipit di un libro tutto da scrivere.

Europa, normative e prodotto italiano: cosa chiede il lattiero caseario tricolore a Bruxelles?

Speriamo che la nuova Commissione e il nuovo Parlamento vogliano riprendere il complicato cammino di armonizzazione delle normative, pretendendo l’abrogazione di quanto limita la libertà dei cittadini e delle imprese europee, contrastando le iniziative nazionalistiche che creano rendite di posizione e cercano di favorire questo o quel Paese. Pensi al delicato tema dell’etichettatura di origine o a quella nutrizionale. Mancano regole comuni e la lentezza con cui si è lavorato a Bruxelles ha dato la stura alla proliferazione di tante norme nazionali, che si applicano solo nei Paesi di emanazione. Ma come si fa a parlare di mercato unico se le regole cambiano da Paese a Paese?

Al di là dei nomi che tutti conoscono, e sono prodotti con ormai consolidata fama internazionale, ci sono secondo lei, guardando al 2030, delle eccellenze italiane che potranno conquistare i mercati? 

Tante volte abbiamo detto che l’Italia è uno dei Paesi con il maggior numero di formaggi e di specialità lattiero casearie. Inutile nascondere però che la stragrande maggioranza della produzione casearia riguarda una decina di prodotti, che assorbono la quasi totalità del latte lavorato e che – grazie agli investimenti che abbiamo fatto negli anni – sono già conosciuti in molti Paesi. Questo non vuol dire però che non ci sia spazio per altri formaggi: penso alle burrate e alla stracciatella, che fino a pochissimi anni fa erano destinati al solo mercato nazionale quando non addirittura regionale, e oggi vengono richiesti da molte catene internazionali. Oppure alla ricotta e alla crescenza, anch’ essi prodotti che ritengo eccezionali e non escludo un loro possibile sviluppo sui mercati internazionali.

Salvatore Patriarca