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Biocontrollo e micorrize: sanità, sostenibilità e qualità per il mais italiano. Il progetto LOMICO

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La contaminazione da micotossine, in particolare aflatossine, rappresenta uno dei principali problemi della maiscoltura della Pianura Padana e costituisce una delle cause della riduzione delle superfici investite a questa coltura negli ultimi anni. Inoltre essa sta mettendo in grande difficoltà il settore lattiero-caseario che dipende prevalentemente dalla produzione di mais. Le azioni che il maiscoltore può e deve intraprendere nell’ottica della riduzione dei rischi di contaminazione, sono essenzialmente di natura preventiva, non esistendo metodi efficaci di lotta diretta. Tali azioni, dettagliatamente descritte nelle Linee Guida messe a punto dal MiPAAFT e dalle Regioni (Reyneri et al., 2015), si basano su interventi di tipo agronomico, quali la scelta varietale e l’adozione delle cosiddette buone pratiche agricole (BPA), tutte volte ad evitare il più possibile stress alla coltura; tra esse assume particolare rilevanza la gestione irrigua, che deve porre massima attenzione ad aumentare l’efficienza d’uso dell’acqua attraverso interventi volti sia a migliorare i sistemi irrigui, che il volume e la capacità di esplorare il terreno da parte dell’apparato radicale.

In tale ottica si colloca il progetto LOMICO, che si prefigge i seguenti obiettivi:
· ridurre i costi di produzione del mais (minore consumo di acqua e di fertilizzanti)
· ridurre l’impatto ambientale della produzione di mais
· incrementare la resistenza della pianta a stress biotici (funghi micotossigeni e insetti) e abiotici (stress idrico)
· ottenere mais con elevate caratteristiche igienico-sanitarie (riduzione micotossine).

A tale scopo, si è previsto di applicare i principi dell’agricoltura simbiotica e del biocontrollo alla coltura del mais, quali soluzioni innovative a basso impatto ambientale:
– L’agricoltura simbiotica, finora maggiormente applicata alle specie orticole e foraggere, consiste nell’utilizzo di consorzi microbici micorrizati, costituiti da funghi micorrizici arbuscolari (FMA) e batteri della rizosfera, che promuovono la crescita delle piante, aumentando lo sviluppo e l’efficienza dell’apparato radicale favorendo in tal modo l’assorbimento dell’acqua e dei nutrienti presenti nel suolo e/o aggiunti con le concimazioni, e quindi incrementando l’efficienza d’uso dei fertilizzanti applicati (“yield more with less”). Un apparato radicale più espanso e caratterizzato da una più elevata funzionalità, consente alla pianta di tollerare maggiormente lo stress idrico e salino, con risvolti positivi anche sulla predisposizione alla contaminazione da aflatossine.
Lavori recenti (Chiariotti et al., 2015) hanno dimostrato inoltre che il mais micorrizato viene ingerito in maggiori quantità dagli animali in produzione rispetto al mais normale. Per testare gli effetti del mais micorrizato sull’alimentazione zootecnica, i colleghi del CREA, Centro di ricerca Zootecnia e Acquacoltura di Roma, stanno conducendo prove di alimentazione su vacche in lattazione per verificare qualità e quantità del latte prodotto.

– Il biocontrollo prevede l’utilizzo di ceppi atossigeni di Aspergillus flavus, selezionati negli ambienti italiani, che basano la loro efficacia sulla superiore competitività nei confronti dei normali ceppi tossigeni, andando ad occupare la stessa nicchia ecologica e determinandone una notevole riduzione della capacità di sviluppo e di infezione, con conseguente diminuzione dell’accumulo di aflatossine.

Queste due tecnologie, oggetto di verifica e collaudo nell’ambito del progetto LOMICO, potranno fornire un valido aiuto al settore, con benefici sia per i produttori di mais che per i mangimisti e gli allevatori; gli uni infatti potrebbero vedere non deprezzato, a causa della contaminazione, il loro prodotto; gli altri potrebbero approvvigionarsi di mangimi più facilmente e a prezzi più contenuti, incontrando minori difficoltà nell’offrire un prodotto con le massime garanzie di salubrità e igiene al consumatore finale. Infine, si prospettano anche vantaggi dal punto di vista ambientale, per la migliore efficienza generale del sistema produttivo cereale-latte e per la riduzione degli effetti negativi derivanti dalla carenza d’acqua di irrigazione, riducendo la pressione sul consumo di questa risorsa.

Le attività del progetto sono iniziate lo scorso anno e sono tuttora in corso presso due aziende agricole della provincia di Cremona. Per la valutazione delle due tecniche sono state allestite prove su parcelloni, utilizzando un ibrido di mais di classe Fao 600 e predisponendo un disegno fattoriale, in modo da rilevare sia l’effetto principale dei due fattori, sia la loro eventuale interazione. La conduzione agronomica è stata quella usuale per le aziende del Cremonese, con controllo infestanti sia in pre che post emergenza e trattamento contro la piralide; la particolarità adottata è consistita nell’induzione di un certo livello di stress idrico, saltando un turno irriguo dopo la fioritura, questo per forzare il sistema in modo da creare condizioni più favorevoli allo sviluppo di Aspergillus flavus e quindi permettere di evidenziare maggiormente gli eventuali effetti derivanti dalle differenze d’azione dei fattori in studio rispetto al controllo.

Foto: Pixabay

Gianfranco Mazzinelli, Sabrina Locatelli, Carlotta Balconi