L’uomo ha da sempre sfruttato la biodiversità naturale, tuttavia nel corso dell’ultimo secolo essa è stata integrata da una biodiversità generata dall’azione umana, che ha artificialmente operato per modificare il patrimonio genetico delle piante e, successivamente, per selezionare le varianti genetiche superiori. Nei casi più comuni la produzione di diversità genetica avviene tramite incroci artificiali tra individui della stessa specie, tuttavia la diversità genetica che si ottiene in questo modo può non contenere particolari caratteri di interesse (ad esempio la resistenza ad alcune malattie).
L’uomo ha quindi fatto ricorso a svariate tecniche che hanno portato alla generazione di nuove specie, come ad esempio il triticale (un incrocio tra segale e frumento realizzato per la prima volta alla fine del XIX secolo); all’introduzione di pezzi di cromosomi da una specie all’altra (alcune varietà di frumento portano un pezzo del cromosoma 1R di segale, i pomodori coltivati contengono molti geni di resistenza derivanti da specie selvatiche); allo sviluppo di nuove forme mutanti tramite mutagenesi chimica o radioattiva (negli anni 60-70 sono state realizzate varietà di frumento, come il Creso, o di alberi da frutto quali i portainnesti spur di ciliegio (a portamento compatto); e, più recentemente, al trasferimento diretto di singoli caratteri tra organismi anche molto distanti tra loro attraverso l’uso della trasformazione genetica (gli Ogm).
Biodiversità e strumenti di selezione
Attualmente la ricerca genomica permette di comprendere le basi genetiche della biodiversità sia naturale sia artificiale e ha fornito nuovi strumenti per una più rapida ed efficiente selezione dei caratteri di interesse. Queste tecniche, note come MAS (acronimo di “selezione assistita con marcatori molecolari”) consentono di usare frammenti di Dna per selezionare in modo molto efficiente piante che portano specifici caratteri (spesso resistenze a malattie) nell’ambito della biodiversità generata, di solito, tramite incrocio. Già usate da una decina di anni, permettono di trasferire in modo efficiente molti caratteri di interesse nelle piante coltivate e oggi diverse varietà diffuse in Italia già derivano dall’applicazione di questa tecnologia.
Spesso oggi si contrappone la tecnologia MAS agli Ogm. La tecnologia MAS è uno strumento di selezione nell’ambito di una biodiversità naturale o generata dall’uomo, mentre l’uso di ogm consente di generare nuova biodiversità inserendo nuovi caratteri nelle specie coltivate (il “golden rice” (risi contenenti vitamina B), è possibile tramite l’uso di Ogm, ma non tramite l’uso della mas perché in tutta la biodiversità di riso esistente non ci sono forme capaci di produrre vitamina B. Anche l’inserimento del carattere di resistenza completa ad alcuni insetti fitofagi (il famoso Bt) è, in molti casi, difficilmente ottenibile mediante MAS.
In estrema sintesi: il moderno miglioramento genetico è basato sulla biodiversità, sfrutta la selezione molecolare in combinazione con la selezione tradizionale, ma per alcuni caratteri può solo ricorrere agli Ogm.
Innovazione tecnologica e agro ecosistema
Vorrei illustrare quanto è accaduto nell’agricoltura italiana e mondiale, citando il caso del frumento, pianta emblematica della civiltà dell’uomo. Dalla sua nascita, 10.000 anni fa, fino a ottanta, novant’anni fa, la produttività del grano, non aveva subito sostanziali incrementi, poi dagli anni ’40 la produttività è aumentata in modo impressionante, al punto da raggiungere e stabilizzarsi sopra gli 80 quintali a ettaro. Questo avviene grazie alla genetica che seleziona varietà più produttive, alla chimica che consente l’uso di fertilizzanti, antiparassitari e anticrittogamici e grazie alla meccanica che rende disponibili macchine adeguate e favorisce le lavorazioni in agricoltura riducendo drasticamente la fatica degli agricoltori. Dagli anni ’40 in poi si sviluppano e si adottano le tecnologie della genetica, della chimica e della meccanica, e tutte e tre insieme determinano per i produttori agricoli l’incremento di produttività da 10 a 80 quintali per ettaro. A ciò si aggiunge il risparmio di terreno agricolo e la sua disponibilità per altri usi.
Attraverso lo sviluppo e l’adozione di ben tre rivoluzioni tecnologiche (genetica, chimica e meccanica) e quindi avvalendosi di gran quantità di fertilizzanti e pesticidi, di macchinari, di genotipi molto raffinati, e di altre tecniche avanzate sono stati realizzati modelli di agricoltura intensiva ed estremamente produttiva, a basso impiego di lavoro manuale, ad elevati investimenti di capitali e mezzi tecnici, capace di produrre derrate a bassi costi. Il prezzo ambientale è stato quello di un approccio artificiale e una eccessiva semplificazione degli agroecosistemi, spesso monocolture, con un ulteriore allontanamento dai meccanismi di retroazione, controllo e ammortamento caratteristici degli ecosistemi. In una società che troppo spesso non sa distinguere tra esigenze primarie e non, vorrei tuttavia sottolineare in questo caso, il nesso strettissimo tra finalità, scienza e valori: con 80 quintali di grano al giorno si soddisfano le esigenze in pane e pasta di una città di trentamila abitanti.
Dobbiamo chiederci cosa è successo e cosa succede tuttora in quell’ettaro, che è diventato la norma in tutte le agricolture avanzate. Per risolvere il problema dell’allettamento del grano la genetica puntò ad abbassare la taglia. I grani bassi resistono bene all’allettamento, sono in genere più sensibili alle malattie, specie quelle fungine e, non potendo competere con le erbe infestanti, necessitano di trattamenti diserbanti. Queste varietà di grano altamente produttive, possono essere paragonate alle macchine di Formula 1. Infatti per poter produrre quegli 80 quintali, devono essere coltivati in condizioni agronomiche particolari, mentre i grani di una volta sarebbero come le jeep, possono essere coltivati in condizioni meno sofisticate con produzioni di gran lunga inferiori.
L’uomo ha così adattato alle esigenze delle nuove piante, i terreni, le macchine per le lavorazioni e i prodotti chimici. Il beneficio produttivo è stato tale per cui un agronomo era considerato bravo se era capace di far fruttare al meglio tali tecnologie. Era la fase della massima intensificazione tecnologica, technology intensive, in cui la produttività aveva un ruolo centrale, quasi totalizzante. E la biodiversità fu utilizzata, in gran parte sfruttata, sacrificata alla intensificazione tecnologica. Fu anche la fase in cui soprattutto tra gli scienziati e i genetisti agrari, maturava la consapevolezza e l’impegno per la biodiversità, intesa come diversità degli ecosistemi, delle specie, diversità genetica: la ricchezza più grande che abbiamo, un enorme magazzino di geni capaci di sviluppare funzioni diverse adatte ad una molteplicità di ambienti e situazioni, fondamentale per la nostra sopravvivenza. In quella fase di massima intensificazione tecnologica si esprimono genetica, chimica e meccanica, si realizza una enorme innovazione tecnologica, troppo intensamente e rapidamente, con una eccessiva semplificazione. Deve essere chiaro a tutti e soprattutto a noi, laureati in Scienze agrarie e Scienze forestali, dottori agronomi e dottori forestali, che gli Ogm, così come normalmente sono intesi, non erano ancora stati ottenuti e quindi non erano ancora stati utilizzati.
L’agricoltura come sistema
Più recentemente si è scoperta una nuova centralità nell’agricoltura intesa come sistema: produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, interconnessione con l’ambiente. Questa nuova centralità e la sua sostenibilità non possono prescindere da un approccio knowledge intensive cioè dall’applicazione sapiente e integrata delle conoscenze afferenti la produttività, l’agro-ecosistema e le sue deboli capacità auto-regolative. Credo che ancora si dovrà considerare la realtà assai complessa di un ettaro di grano, che dovrà comunque continuare ad esprimere una elevata produttività, anche se a minori costi ambientali ed energetici.
L’agroalimentare, in cui le interazioni tra cibo, ambiente e progresso scientifico assumono un particolare rilievo e su cui elevata è l’attenzione del cittadino, diventa addirittura una espressione tipica delle problematiche dello sviluppo della società moderna, che tende sempre più verso una maggiore complessità, e degli aspetti della scienza e della tecnologia che sempre più si integrano con i fattori culturali, sociali, ecologici ed economici.
La tecnologia mostra i suoi limiti: appare chiaro che più scienza e tecnologia introduciamo nei processi produttivi, tanto più qualcosa sfugge al nostro controllo. La scienza e la tecnologia appaiono in grado di contribuire a risolvere problemi relativi a cibo/ambiente/energia, ma appare sempre più chiaro che deve esserci una conoscenza integrata, addirittura un linguaggio sapienziale tipico dell’uomo.
D’altra parte, sottolineando il nesso strettissimo tra finalità, scienza e valori, non si può chiedere all’agricoltura di soddisfare le esigenze primarie, di sfamare le popolazioni, di soddisfare le sempre crescenti e diversificate aspettative del moderno consumatore, di adottare le più avanzate tecnologie, di garantire la sostenibilità ambientale e di essere nel contempo competitiva sul mercato globale. Il cibo torna ad avere la massima considerazione. Saranno necessarie nuove politiche sulla sostenibilità, la sicurezza degli approvvigionamenti, la competitività e le istituzioni.
Pubblicato: Gennaio-Febbraio 2011
Foto: Pixabay
Luigi Rossi