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Bruno Mezzetti: “Ricerca scientifica necessaria per sviluppare nuovi sistemi agricoli sostenibili, competitivi e capaci di rispondere alle future emergenze”

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Il dottor Bruno Mezzetti, professore ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona, sottolinea che la ricerca in agricoltura riveste un ruolo essenziale per risolvere le principali problematiche che interessano le diverse filiere di produzione e per garantire la sostenibilità e la sicurezza alimentare. 

Più cibo per più esseri umani: l’apporto della scienza è decisivo per vincere questa sfida?

Il mondo sta cambiando rapidamente e drammaticamente, portando una serie di sfide all’agricoltura europea, compresi i cambiamenti climatici, l’impatto sull’ambiente, le pressioni sulle risorse naturali, l’aumento della concorrenza e dei cambiamenti demografici. La carenza alimentare è una realtà in molti paesi. Questo problema diventerà sempre più importante considerando il continuo aumento della popolazione globale che per il 2050 è previsto che raggiungerà 9,8 miliardi di persone. Per soddisfare la domanda, la produzione alimentare dovrà aumentare del 70 per cento, usando meno terra, acqua, pesticidi e fertilizzanti. Pertanto, la ricerca in agricoltura è chiamata ad affrontare questioni che sono sia multi- sia interdisciplinari: la convergenza delle conoscenze di diverse discipline è importante per una migliore comprensione di questi problemi complessi e interconnessi.

Qualità del cibo e sicurezza alimentare: qual è il ruolo dell’innovazione scientifica?

A livello internazionale esiste un consenso generale sul ruolo della ricerca in agricoltura per risolvere le principali problematiche che interessano le diverse filiere di produzione e garantire sostenibilità e sicurezza alimentare. La ricerca in agricoltura è elemento chiave del “sistema della conoscenza delle produzioni agricole”, insieme all’istruzione, alla formazione e all’assistenza tecnica finalizzata al trasferimento dell’innovazione.

Ogni nuova tecnologia o prodotto può avere un ruolo importante nel risolvere problematiche specifiche in agricoltura. Nessuna può essere esclusa a priori. L’introduzione di ogni nuova tecnologia, prodotto o sistema agricolo deve avvenire secondo un approccio di ‘filiera della conoscenza’, dalla tecnologia, all’applicazione e alla comunicazione all’opinione pubblica. Quest’approccio deve essere adottato per tutti i sistemi agricoli, anche quelli finora promossi senza una valutazione dei reali rischi e benefici (es. agricoltura biologica). Su questo principio si deve riprendere l’integrazione tra ricerca pubblica e sviluppo d’impresa a cui deve essere offerta una prospettiva reale di utilizzo, con protezione legale e valorizzazione commerciale dei prodotti ottenuti anche tramite l’applicazione di tutte le possibili tecniche biotecnologiche (vecchie e nuove). 

L’agro-alimentare è un settore fondamentale dell’economia italiana: quali sarebbero gli effetti diretti e indiretti di una completa riattivazione della ricerca scientifica di base?

La Commissione Europea ha definito la strategia Europa 2020 con l’obiettivo di creare un’economia dell’Unione Europea intelligente, sostenibile e inclusiva. In questo quadro politico, è stato definito il nuovo programma Horizon 2020 per il finanziamento di progetti di innovazione in materia di ricerca e sviluppo in continuità, dal 2013, con il settimo programma quadro. Il nuovo programma deve contribuire a colmare il divario tra la ricerca e il mercato aiutando le imprese innovative a sviluppare le loro conoscenze scientifiche e tecnologiche in prodotti e servizi concreti con un reale potenziale commerciale. ll legame tra il mondo produttivo e la ricerca è stato rafforzato dalla decisione della Commissione di integrare questo programma con le priorità del piano Europeo della Politica Agricola Comunitaria. La Commissione ha finalmente riconosciuto in modo definitivo l’importanza della ricerca per affrontare le sfide dell’agricoltura Europea e il ruolo centrale della conoscenza per lo sviluppo del sistema agricolo. Per attuare tale strategia bisogna affrontare le difficoltà che si incontrano a tutti i livelli istituzionali, per giungere ad un maggiore coordinamento tra le istituzioni nazionali (Ministeri e Regioni) e le dinamiche intrinseche delle istituzioni europee che creano e gestiscono i programmi di ricerca, spesso con priorità e meccanismi molto differenti. In tutto questo l’Italia è sicuramente carente. I sistemi agroalimentari Italiani hanno bisogno di mettere insieme conoscenze da molte fonti diverse (agricoltori, ricercatori, imprese e consumatori) per competere con prodotti e servizi di qualità in un mondo globalizzato. 

Fare di più consumando meno risorse: la sfida della sostenibilità ambientale è di fatto una sfida del progresso scientifico. Quali sono i campi principali su cui puntare?

Pensando al settore zootecnico, l’Europa importa circa 32 milioni di tonnellate di soia Ogm all’anno (USDA 2016) ossia circa il 90% del suo fabbisogno. L’Italia importa circa quattro milioni di tonnellate di soia Ogm ogni anno, ossia consuma circa diecimila tonnellate al giorno di soia Ogm. Secondo Assalzoo, l’associazione dei mangimisti italiani, l’87% di tutti i mangimi commercializzati in Italia contengono Ogm e questi vengono usati anche per la produzione di prodotti tipici DOP ed IGP come descritto nel relativo documento di Nomisma 2004 (http://www.salmone.org/agricoltura-di-qualita-usa-ogm/). Tra questi figurano i primi quattro prodotti alimentari italiani tutelati dai relativi Consorzi: Prosciutto di Parma e San Daniele, Parmigiano Reggiano e Grana Padano (Figura 1).

Complessivamente l’Italia accumula ogni anno un debito nell’interscambio commerciale agroalimentare che oscilla tra 5 ed i 7 miliardi di euro. Buona parte di questo deficit commerciale (ossia circa 2,5 miliardi di euro l’anno) sono dovuti ad importazione di mangimi (soprattutto soia e mais) e questi sono quasi totalmente Ogm per quel che riguarda la soia ed in parte Ogm per il mais, anche se va ricordato che quando un alimento o un mangime contiene Ogm oltre lo 0,9% tutta la confezione va etichettata come “contenente Ogm” categoria nella quale ricadono quasi tutti i mangimi commercializzati nei consorzi agrari nazionali.

La massiccia importazione di questi prodotti Ogm ha provocato una perdita continua di competitività da parte delle nostre aziende cerealicole, molte delle quali ora fuori mercato.

Oltre agli aspetti economici, anche l’impatto ambientale delle coltivazioni non Ogm è pesante sia per quanto illustrato per l’uso di erbicidi, sia per quanto illustrato per l’uso di insetticidi sul mais che per un Ogm del tipo Bt potrebbero essere risparmiati, ma anche per quanto riguarda l’impiego di fungicidi sulla vite o sul melo, come verrà illustrato nei capitoli seguenti.

La vite copre il 3% della superficie agricola italiana, ma utilizza il 60% di tutti i fungicidi utilizzati e tra questi i derivati del rame che restano il principale presidio per contrastare la peronospora, un tipico fungo patogeno per la vite. I dosaggi arrivano a 6kg ettaro in agricoltura biologica e la metà in agricoltura tradizionale. Ma essendo un metallo pesante, il rame inquina i terreni e riduce la flora microbica portando ad un inaridimento dei suoli dal momento che quella della vite è la più sistematica e prolungata monocultura. Tra l’altro una monocultura propagata per cloni (barbatelle) dal momento che la cosiddetta tipicità dei vini vieta il miglioramento genetico anche solo tramite incrocio. Una monocultura opposta a quella del mais Bt che per definizione è un ibrido sempre aggiornato, sempre nuovo, sempre più adeguato ai territori: quella della vite è una monocultura di cloni. L’alternativa all’inquinamento endemico dei suoli con metalli pesanti è l’introduzione di cloni resistenti e l’unico approccio che permette di mantenere l’identità del clone di vite è proprio l’ingegneria genetica. Un discorso del tutto analogo si può fare per tutte le specie cerealicole e ortofrutticole fondamentali per l’agricoltura del nostro paese.

Questi esempi devono far pensare su come orientare la politica agricola del nostro paese secondo le conoscenze derivate dalla ricerca scientifica utili a sviluppare nuovi sistemi agricoli veramente sostenibili, competitivi e capaci di rispondere alle emergenze che dovremo affrontare nel prossimo periodo. 

Quali sono le sfide del domani agro-alimentare dalla prospettiva dello scienziato?

Considerando le mie competenze, dopo tanti dibattiti e restrizioni, ora potrebbe essere il momento di mostrare con forza le ragioni della buona scienza a favore delle biotecnologie vegetali, in alternativa alle falsificazioni che il fronte degli antagonisti utilizzano per sostenere le ragioni del no agli Ogm. I recenti falsi scientifici (vedi caso Seralini/Infascelli http://phys.org/news/2012-10-linking-gm-corn-cancer-non-event.html; http://www.stradeonline.it/stradedelcibo/1652-ogm-tra-scienza-e-attivismo-la-brutta-storia-dei-dati-manipolati-a-napoli😉 hanno influenzato grandemente il dibattito giustificando la diffusa fobia verso gli Ogm grazie alla loro oculata pubblicizzazione.

Questo castello di carte può essere fatto crollare da una attenta vigilanza e dalle sue macerie può essere ricostruita una migliore comprensione delle ragioni della ricerca sul miglioramento genetico biotecnologico delle colture e una sua maggiore accettazione. Certamente uno spunto ulteriore di riflessione viene dalle NBT, che si identificano come tecniche di breeding di precisione.  Infatti, ora sembra il momento appropriato per aprire un dibattito sul come migliorare l’accettazione da parte dell’opinione pubblica in Europa delle piante geneticamente modificate di “seconda generazione”, cioè quelle prodotte mediante tecniche che possono, in teoria, causare meno rifiuto e che promettono di ridurre significativamente il tempo necessario per ottenere nuove e migliori cultivar.

L’accettabilità futura di piante e prodotti Ogm, di vecchia e nuova generazione, dipende solamente dalla continuità della ricerca (in Italia è vietata la sperimentazione in campo) che deve operare per migliorare le tecniche di miglioramento genetico, per individuare e sperimentare geni di interesse connessi alla risoluzione di problematiche specifiche dei nostri sistemi produttivi con la completa assenza di rischi per l’uomo e per l’ambiente. Tale aspetto è particolarmente importante per le specie arboree da frutto se si considerano la notevole complessità fisiologica della piante e il lungo ciclo delle coltivazioni, fattori che rendono più complessi i problemi connessi alla stabilità dell’espressione del transgene.

Non ritengo possibile e anche utile mirare a demolire le normative Europee sulla biosicurezza delle biotecnologie e tanto meno cercare di scavalcarle dicendo che certi prodotti sono meglio di altri. Un approccio più appropriato potrebbe essere quello di continuare nella via indicata anche da questo documento di focalizzare la struttura della normativa sulla biosicurezza non sul “metodo”, come ora sono impostate le attuali normative, ma sul “prodotto”, come già molti paesi al mondo stanno facendo, richiedendo quindi la valutazione di rischio non perché si è usato una biotecnologia invece che un’altra ma solo quando, indipendentemente dal metodo usato per ottenere quella pianta o quel prodotto, c’è idea concreta di possibili rischi per l’ambiente e per il consumatore.

Bisogna finirla di credere alle ‘fake news’. Serve coraggio per affrontare le biotecnologie una volta per tutte. Le biotecnologie non salvano il mondo ma offrono opportunità uniche per risolvere le emergenze sempre più pressanti della nostra agricoltura. Rimbocchiamoci le maniche (ricercatori-stato-imprese) per progetti mirati a dimostrare che con le NBT si possono creare piante/prodotti capaci di risolvere problemi della nostra agricoltura (anche quella biologica), senza maggiori rischi per l’ambiente e per il consumatore. Solo cosi si può pensare di aumentare l’accettabilità pubblica, fondamentale per l’approvazione e diffusione commerciale dei nuovi prodotti biotecnologici.

Nadia Comerci