Della cosiddetta “carne coltivata” si fa un gran parlare, in particolare dopo il decreto del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che fa dell’Italia il primo Paese al mondo a vietarne la produzione interna, ma in verità è un tema piuttosto antico: già l’ex-primo ministro inglese Winston Churchill, negli anni ’30 del Novecento, in un articolo intitolato “Fifty Years Hence” ipotizzava un futuro con la carne coltivata.
Negli ultimi anni in cui parla sempre di più di questa tecnologia, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha iniziato ad approfondire la valutazione dei rischi per la salute umana con lo stato di avanzamento e le prospettive nell’UE prima di proporre questa produzione come migliore alternativa all’allevamento. Il tema non è semplice, anche se riguarda la quotidianità di ognuno: quali “sostituti della carne” per garantirsi un buon apporto proteico è una scelta certamente personale, che tuttavia non sempre avviene in modo totalmente consapevole in quanto non sempre il consumatore è adeguatamente informato sulle proprietà e sui metodi di produzione.
La prima cosa da fare è sfatare un mito: in base ai dati disponibili, afferma in un articolo European Livestock Voice, gruppo che riunisce a livello europeo le associazioni che si occupano di allevamento, salute e nutrizione animale, la produzione di carne in vitro non offre alcun vantaggio ambientale rispetto alla carne vera.
Il primo prodotto di questo tipo fu un hamburger a base di cellule staminali, prodotto da Mark Post dell’Università di Utrecht nel 2013. Da allora il tema della carne coltivata ha guadagnato una grande popolarità sui media, proposta spesso come una delle alternative più promettenti per risolvere i problemi di benessere degli animali e sicurezza alimentare preservando l’ambiente, ed entrando nell’agenda politica nei mesi più recenti. Tuttavia, quando si esaminano le pubblicazioni accademiche, la scienza sembra più cauta rispetto ai media sullo sviluppo della carne in vitro e sui suoi benefici.
La carne in vitro è un ammasso di cellule muscolari prelevate da un animale che si moltiplicano in piastre di Petri con un terreno di coltura sufficientemente ricco da consentire alle cellule di moltiplicarsi: i terreni di coltura necessitano ancora di ormoni, fattori di crescita, siero di vitello fetale (o sieri artificiali, tuttavia meno efficaci), antibiotici o fungicidi per lo sviluppo cellulare. Inoltre, non è chiaro se la produzione di carne coltivata possa fornire un’alternativa climaticamente più sostenibile. Secondo una revisione completa degli studi su carne e proteine da parte dell’International Panel of Experts on Sustainable Food Systems (IPES-Food), la carne coltivata in realtà “rafforza il dominio dei sistemi alimentari da parte delle grandi aziende agroalimentari, diete standardizzate di alimenti trasformati e catene di approvvigionamento industriale che danneggiano le persone e il pianeta”. In effetti a oggi il mercato delle proteine alternative è caratterizzato da aziende giganti che creano i cosiddetti “monopolio proteici”, con diversi sostenitori di alto profilo e investimenti molto importanti.