Un mercato solido e autosufficiente che ha resistito agli effetti del lockdown. Il settore delle carni avicole ha attraversato la prima fase della crisi CoVid-19 rispondendo all’aumento della domanda nelle settimane iniziali del lockdown. Poi è andato incontro a un rimodellamento della domanda e a un calo delle quotazioni. Un andamento che ha scalfito la fiducia degli operatori ma le prospettive per i prossimi mesi sembrano incoraggianti. Ismea ha fornito un quadro complessivo del 2019 e tracciato un primo bilancio dell’anno in corso nell’ultimo report sull’avicoltura.
Domanda irregolare nei mesi del 2020
L’avvio del 2020 è stato ‘fiacco’, dice Ismea. L’ultima parte del 2019 aveva lasciato quotazioni in calo che l’aumento della produzione di inizio gennaio 2020 non era riuscito a invertire. La domanda era piatta e i prezzi contenuti. Poi a marzo lo shock coronavirus. Di fronte alle mutate abitudini di acquisto, i consumi di carni avicole hanno fatto eccezione tra i prodotti freschi. Le vendite sono aumentate notevolmente. Negli ultimi cinque anni la media era di 21-26,5 kg carne bianca al mese, a marzo si sono superati i 31 milioni. La filiera si è dimostrata all’altezza della situazione perché integrata, non dipendente dall’estero e in grado di fornire prodotti differenti, inclusi tanti elaborati e confezionati con cui assecondare le necessità dei consumatori.
L’aumento della domanda ha portato con sé l’aumento delle quotazioni (del vivo e del macellato) che si sono riflessi sui prezzi al consumo (+6,3% a marzo). Poi, però, il quadro si è assestato con il cambio di scenario a fine aprile. La domanda si è indebolita e anche le quotazioni all’origine si sono ridimensionate. A maggio sono scese di oltre il 20% addirittura insufficienti a coprire i costi di produzione secondo gli operatori. Con le rosticcerie chiuse, infatti, si è creato un surplus di pollo leggero che ha spinto gli allevatori a diminuirne gli accasamenti a favore del pollo pesante per il petto da destinare alla Gdo. Una volta riaperti questi esercizi la domanda di ‘leggeri’ è tornata a salire. C’è stata così un’inversione di tendenza dei prezzi dei polli pesanti a partire da metà aprile, con una lieve ripresa nell’ultima settimana di maggio e con gli operatori che confidano in un loro necessario aumento nei prossimi mesi. Per il macellato, invece, i valori del petto hanno perso il 18% nelle ultime settimane con i primi segni di ripresa sui prezzi del vivo nella seconda metà di giugno senza, ancora, riflessi sul macellato.
Questo andamento ha inciso sulla fiducia degli operatori, come rilevato da Ismea: per la zootecnia le maggiori difficoltà erano legate proprio al calo delle vendite. Tuttavia il sentiment per il futuro è ottimistico. Qualche sfida resta, in particolare legata alla concorrenza con l’estero, soprattutto di Polonia e Ucraina. Se l’Italia non potrà competere sul prezzo, potrà però far valere gli investimenti in qualità, benessere animale e sostenibilità. Decisiva, per evitare sbilanciamenti sul mercato, sarà la programmazione produttiva. I dati dei pulcini di maggio e delle uova incubate fanno intravedere un miglioramento per la riduzione dell’offerta tra fine giugno e inizio luglio. Agli allevatori non resta che aspettare i riflessi sulle quotazioni.
In Europa la Polonia si conferma primo produttore
Il 2019 si è chiuso con numeri positivi. La produzione è aumentata dell’1,2% portandosi a 1,3 milioni di tonnellate che fanno dell’Italia il settimo produttore in Europa. L’offerta è cresciuta meno degli altri Stati ma l’Italia può puntare su altri valori: l’innovazione, il miglioramento degli standard qualitativi degli allevamenti, la differenziazione del prodotto. Nel continente – che vede la produzione in crescita da dieci anni – l’area più dinamica è quella dell’Est. Ancora una volta la Polonia si è rilevato il principale produttore mentre Romania e Ungheria hanno aumentato le produzioni negli ultimi cinque anni più degli altri.
Tornando in Italia, sempre per il 2019, Ismea ha rilevato 147 milioni di volatili allevati: metà sono polli da carne, 35% galline ovaiole, 7% tacchini da carne e 8% specie minori. La produzione si concentra in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Il carattere di autoapprovvigionamento ha permesso di migliorare l’export e il saldo commerciale con l’estero. La Germania resta il partner privilegiato degli scambi.
I consumi sono cresciuti dell’1,4% sul 2018 a 20 kg pro capite. Anche la carne bianca ha subito l’erosione dei consumi di tutti i prodotti carnei, ma in misura minore. Dal 2015 la perdita è stata del 2,2% a fronte del 9% della carne suina e del 4% della bovina. Anche nel 2019 c’è stato lo stesso andamento: -2,8% il calo dei consumi di tutte le carni, -1,2% per quelle avicole. In dettaglio è stato il tacchino a perdere (-7%) mentre il pollo ha tenuto sia in volume (+0,2%) che in valore (+2,5%).
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