Biosicurezza, innovazione, sostenibilità sono gli elementi che devono dar forma a un sistema agro-alimentare-zootecnico sicuro con cui contrastare il rischio di epidemie che possano mettere in pericolo sia l’uomo che gli animali. Le pratiche di allevamento gestite nel modo corretto sono infatti parte della soluzione nella lotta alle malattie infettive. Per bocca di Johannes Charlier, esperto in scienze veterinarie, Fefac, la Federazione dei Produttori europei di mangimi, torna sul tema della correlazione tra zootecnia e malattie tornata d’attualità con l’emergenza CoVid-19. Alla domanda se ‘c’è un collegamento tra il modo in cui alleviamo gli animali in Europa e l’insorgenza di malattie nell’uomo’ la risposta secca di Charlier è ‘no’.
Biosicurezza e allevamenti
Da sempre gli allevamenti hanno dovuto fare i conti con il rischio di patologie tra gli animali. L’evoluzione delle pratiche agricole e di allevamento, a partire dalle forme di sussistenza, è proseguita in parallelo con quella delle epidemie di malattie infettive tra uomini e animali. Se il modo di arginare i focolai epidemici da molti secoli prevede le stesse pratiche negli allevamenti – ricorda l’esperto – come l’isolamento delle aree colpite e l’abbattimento dei capi malati, a queste si sono aggiunte metodiche avanzate: la biosicurezza, la rilevazione precoce delle malattie e la vaccinazione.
Proprio grazie a questi nuovi strumenti l’uomo è diventato più efficace nella lotta agli agenti patogeni. Proprio gli allevamenti intensivi, quelli che più hanno bisogno di mettere in pratica queste attività di prevenzione e contrasto, più degli allevamenti estensivi o delle piccole aziende agricole, sono anche quelli che riescono a farlo in modo più efficace, sottolinea Charlier.
Quando si parla di salute dell’uomo non si può dunque prescindere dal mondo animale. Circa due terzi delle malattie infettive che colpiscono l’uomo sono causate da patogeni che infettano anche gli animali, domestici e selvatici. Nella maggior parte, almeno in Europa, da batteri e parassiti e non da virus. Questi, tuttavia, sono dietro le malattie emergenti degli ultimi decenni, dall’Hiv a Ebola a Sars e derivano spesso da animali selvatici, meno dagli allevamenti, come ad esempio per l’influenza aviaria.
Il rischio del salto di specie di tali virus si è visto essere maggiore nelle zone boschive tropicali dove la biodiversità animale è maggiore. E questo è aumentato dalla mano dell’uomo: dai suoi insediamenti che sconvolgono gli habitat fino all’agricoltura in espansione. Tuttavia non è dando la colpa all’agricoltura che queste pratiche scompariranno, dice Charlier.
Più sorveglianza nelle aree a maggior rischio
L’intensificazione sostenibile, con alti livelli produttivi per soddisfare la domanda di cibo di una popolazione in continua crescita e un impatto ambientale contenuto, è la chiave per migliorare gli allevamenti. È essenziale che gli avanzamenti delle misure di biosicurezza vadano di pari passo con i programmi di intensificazione agricola nel mondo.
A questo deve poi accompagnarsi l’innovazione, a cominciare da quella nel campo della prevenzione delle malattie. Ecco l’importanza della vaccinazione. Sin dall’origine questa pratica ha trovato una sponda preziosa sul mondo animale, basti pensare a come è stato sviluppato il vaccino contro il vaiolo. La cosa interessante è che anche oggi è stata sollevata l’ipotesi di un potenziale effetto protettivo contro CoVid-19 attraverso il contatto con gli animali.
Per il futuro è necessario continuare a investire nella ricerca sulle malattie infettive e sull’immunità per mettere a punto vaccini di ultima generazione e metodi ancora più efficienti per rilevare i patogeni. Insieme alla ricerca e all’innovazione, bisogna investire in infrastrutture sanitarie, pratiche di biosicurezza per gli allevamenti, formazione degli esperti e miglioramenti della sorveglianza mirata, soprattutto nelle aree in cui l’interazione tra uomo e animale continua a presentare maggiori criticità.
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