L’emergenza dovuta alla gestione del rischio sanitario per la diffusione del coronavirus ha condizionato pesantemente il settore agroalimentare. Ha modificato le abitudini dei consumatori e inciso notevolmente sul fronte dell’offerta. Le limitazioni agli spostamenti, la chiusura dei servizi di ristorazione, le restrizioni agli scambi internazionali hanno inciso sul settore agroalimentare. Lo scenario, dalle prime previsioni sui principali indicatori economici, è fortemente negativo. Il Fondo monetario internazionale parla di un calo del 9,1% del Pil per l’Italia nel 2020; per il governo il calo sarà dell’8,1% mentre l’Istat stima una flessione del 4,8% per il primo trimestre.
La crisi è avvertita chiaramente dagli operatori del settore. Ismea, nell’ultimo numero di AgriMercato, il trimestrale dedicato all’agroalimentare, ha rilevato un calo di 11 punti anno su anno dell’indice di fiducia degli agricoltori e di 43 punti di quello dell’industria alimentare. Gravi difficoltà sono state lamentate dal comparto zootecnico. Il calo delle vendite ha pesato in maniera particolare per questo comparto. Tra le imprese alimentari il giudizio più negativo è arrivato dall’industria del vino, della lavorazione ittica, degli elaborati di carne, dell’industria dolciaria.
La riduzione degli ordini è stata avvertita in particolare, tra le altre, dalle imprese che si occupano di elaborazione carni e da quelle del settore lattiero caseario. A pesare è stato il fermo del canale Horeca. Un altro aspetto problematico nel primo trimestre dell’anno, per via della crisi da coronavirus, è stato quello dell’approvvigionamento di materie prime e di materiale di consumo. Un problema avvertito in generale sia nel settore primario che in quello industriale, ma in particolar modo dalla mangimistica per la cronica dipendenza dall’estero nell’acquisizione dei prodotti per l’alimentazione animale.
Export
Il lockdown a livello internazionale si è abbattuto su una tendenza favorevole dell’export agroalimentare nostrano. Nei primi due mesi, rispetto al 2019, si è registrato un aumento del 10,8% ma la previsione di marzo è negativa: -5,8% per i beni non durevoli (di cui fa parte l’agroalimentare). L’aumento iniziale ha riguardato i principali partner europei (Francia +14,3% e Germania +6%, ad esempio) ma anche gli Usa (+13% rispetto al periodo gennaio/febbraio 2019, nonostante i dazi aggiuntivi in vigore da novembre su alcuni prodotti tra cui il Parmigiano Reggiano). Bene anche le spedizioni verso la Russia nonostante l’embargo da parte di Mosca su molti prodotti freschi (+21,3%). Il calo dell’export verso la Cina di febbraio potrebbe precedere però un rimbalzo da aprile con la progressiva riapertura del mercato, rimbalzo che potrebbe essere favorito dalle disponibilità all’import di carni bovine e di riso grazie ai due protocolli d’intesa firmati il mese scorso.
Prezzi
Il primo trimestre ha visto un calo generale dei prezzi agricoli e dei mezzi di produzione su base tendenziale. I listini all’origine dei prodotti agricoli sono scesi dello 0,9%; – 4,1% per i prodotti vegetali, soprattutto olio d’oliva e ortaggi, mentre i prodotti zootecnici sono in controtendenza (+3,1%), grazie a impulso di ristalli e uova, ma con calo dei prodotti lattiero-caseari. Giù anche i prezzi dei mezzi correnti di produzione dell’agricoltura: – 0,7%, sintesi dei ribassi dei prodotti energetici, dei mangimi e dei concimi e dell’aumento dei ristalli, del contoterzismo e dei salari.
Cereali
Eccetto il grano duro, la seconda parte della campagna cerealicola è stata caratterizzata da una buona disponibilità di prodotto sul mercato internazionale. In un contesto di prezzi generalmente in calo la crisi da coronavirus ha determinato aumenti di prezzo per tutti i cereali: +2,6% per il grano duro, +1,5% per il tenero e +2,8% per il mais. Hanno pesato i timori per le conseguenze di una possibile chiusura delle frontiere e le oggettive iniziali difficoltà logistiche patite dalle ditte di trasporto.
Carne
Il mercato della carne bovina nel primo trimestre ha conosciuto fenomeni diversi. Le vendite della distribuzione sono aumentate del 6,3% su base tendenziale, ma gli allevatori hanno indicato difficoltà nelle contrattazioni e insoddisfazione per i prezzi di alcune referenze. I problemi maggiori hanno riguardato l’approvvigionamento dei ristalli, i maggiori costi di produzione per l’aumento dei prezzi dei ristalli stessi,le difficoltà nella logistica, la riduzione dell’attività dei macelli e soprattutto lo stop all’Horeca e la contrazione dell’export. Gli operatori devono collocare infatti la merce ‘matura’, ricorda Ismea. Pesa inoltre la pressione esercitata dalle carni estere ormai molto competitive. I prezzi sono rimasti bassi per i capi adulti mentre per i vitelloni ha visto un leggero aumento rispetto allo scorso anno. Nella distribuzione i prezzi sono stati in linea con gli anni precedenti nei primi due mesi e poi sono aumentati dell’1,2% a marzo.
Molto bene è andato il mercato delle carni bianche. Sul fronte dei consumi c’è stato addirittura, in alcune settimane, un incremento del 20%. La maggiore domanda di marzo ha portato su sia i prezzi dei capi che della carne e i supermercati hanno di conseguenza aumentato i prezzi a fronte di una maggiore richiesta (+6,3% prezzi al consumo). Aprile ha visto un ritorno alla normalità.
A differenza di quello avicolo, il mercato suinicolo ha dovuto fare più i conti con il lockdown. Lo stop all’Horeca ha portato a un calo della domanda (la stima è -20% di fatturato). I prezzi dei capi vivi sono diminuiti anche per effetto dell’eccesso di offerta e per via della minore attività dei macelli: la produzione si è contratta del 20%. Sul fronte della trasformazione pesa anche il freno all’export che già aveva subito un rallentamento nel 2019 (-0,3% volume +1,4% valore). Per i prezzi all’origine anche ad aprile c’è stato un calo sia per i suini da macello pesanti, destinati alle produzioni certificate, che per i suinetti da allevamento.
Andamento fortemente negativo per il settore ovino, nonostante le festività pasquali. Poche richieste dei macelli, offerta abbondante di capi, cali dei prezzi del vivo e dell’ingrosso nel periodo pasquale. È andata meglio al latte grazie all’export del Pecorino romano. Nel 2019 c’è stato infatti un aumento del 29% in volume. Tuttavia resta incertezza sul futuro poiché la produzione di Pecorino Romano è in forte aumento rispetto allo scorso anno grazie al recupero dalla vertenza del 2019 e ai nuovi consumi che hanno spinto le industrie di trasformazione verso formaggi a lunga stagionatura.
Settore lattiero-caseario
La crisi ha colpito il comparto mondiale in un momento favorevole, con una buona disponibilità di latte e una domanda molto vivace, comportando un rallentamento degli scambi commerciali e generando eccedenze. Anche in Italia il 2020 si è aperto con un quadro negativo. I prezzi all’ingrosso dei principali formaggi hanno cominciato a scendere dall’autunno del 2019 per via della crescita continua dell’offerta per tutto il 2019 e un’interruzione della tendenza dell’export verso gli Usa. Sono aumentate le giacenze anche perché i consumi nazionali non hanno aiutato. Con l’arrivo dell’emergenza la flessione dei prezzi è stata accelerata (-20% per il Parmigiano Reggiano e -10% per il Grana Padano a gennaio-aprile anno su anno). Anche il latte spot ha visto ridursi le quotazioni (-10 euro tra aprile e gennaio 2020). Come per la carne e il pesce anche in questo settore ha gravato molto la chiusura dell’Horeca. Determinante sarà l’evoluzione dei consumi nelle prossime settimane e la risposta del mercato cinese.
Ortofrutta
Le maggiori criticità sono state la carenza di manodopera, con i lavoratori stranieri che hanno preferito tornare nei Paesi di origine, e i problemi per il trasporto su gomma. I mercati all’ingrosso, dopo le iniziali difficoltà, si sono equilibrati grazie agli approvvigionamenti della Grande distribuzione organizzata, con un aumento anche dall’estero, e dei negozi di vicinato.
Consumi
Il fronte dei consumi è stato attraversato da due tendenze opposte: quasi totale azzeramento del consumo fuori casa e aumento di quello domestico, anche grazie all’effetto dispensa. Il dato della spesa delle famiglie nel primo trimestre ha conosciuto l’aumento più alto del decennio: +7%. Tra i prodotti con i maggiori incrementi le uova (+14,1%), i prodotti del lattiero-caseario (+7,6%), i salumi (+7,4%) e le carni (+6,3%). Bene anche i derivati dei cereali (+8%), grazie al boom delle farine (fino al 60%). Frutta e ortaggi con aumenti del 6% e 7,9%. Nel 2020 – è la stima di Ismea – il calo del 40% dei consumi fuori casa e l’aumento dell’8% della spesa domestica potrebbe comportare un calo generale della spesa nell’agroalimentare del 7,1%, pari a circa 21 miliardi di euro.
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