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Dieta vegana, sfatato il mito della sostenibilità ambientale

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La dieta vegana non è sostenibile in termini ambientali. A sostenerlo è l’associazione degli allevatori europei European Livestock Voice, che cita uno studio di alcuni ricercatori della Friedman School of Nutrition Science and Policy pubblicato sulla rivista Elementa – Science of the Anthropocene che ha evidenziato come, confrontando dieci diverse diete, quella vegana mostri un uso peggiore e meno differenziato del “terreno risorsa”.

Dallo studio è emerso che tra le dieci diete esaminate dai ricercatori quelle che escludevano gli alimenti di origine animale – generalmente ritenute più “virtuose” in termini ambientali – si sono rivelate meno efficienti nella gestione del territorio.

I limiti della dieta vegana

In uno scenario ipotetico composto al 100% da vegani, spiegano i ricercatori, avremmo bisogno di più terra coltivabile di quella attuale. Va considerato poi che non tutti i terreni agricoli sono comparabili in termini di produttività: alcuni di essi, ad esempio, danno il meglio di sé con i cereali, ma sono inefficienti per la produzione ortofrutticola, come i terreni argillosi poveri di risorse idriche, e non si può non tenere conto che alcuni terreni sono adatti solo al pascolo in quanto le colture orticole rappresenterebbero una scelta che comporterebbe una spesa eccessiva in termini energetici (per via della tipologia del terreno, della densa presenza di sassi, della diversa profondità del suolo e incidenza dei pendii, ecc.). Secondo i risultati dello studio, quindi, a conti fatti l’uso del suolo connesso a una dieta vegana sarebbe in grado di sfamare meno persone rispetto all’uso del suolo connesso a una dieta onnivora. Questo significa che l’eliminazione completa e improvvisa dalla nostra alimentazione dei prodotti di origine animale potrebbe non essere l’opzione più sostenibile a lungo termine per l’umanità: insomma, la dieta vegana potrebbe non essere la scelta migliore per il sostentamento della popolazione umana, per provvedere al suo fabbisogno proteico e per la gestione delle risorse del suolo a livello mondiale.

Il mangime per il bestiame non è in competizione col cibo umano

Un argomento spesso presentato come a sostegno della scarsa sostenibilità della dieta onnivora riguarda il mangime per il bestiame posto in competizione con il cibo umano. Eppure, secondo la Fao, l’86% del mangime per il bestiame non è adatto al consumo umano: i mangimi concentrati somministrati al bestiame sono infatti composti da residui colturali e sottoprodotti dei cereali, delle colture proteiche (come i piselli), dei semi oleosi, della frutta (ad esempio la polpa di agrumi), degli ortaggi, dei tuberi e del latte (il siero di caseifici).