Ancora un anno da record, ma questa volta alla vigilia di un evento imprevedibile il cui impatto sul settore agroalimentare è diventato sempre più chiaro. Per la Dop economy il 2019 ha confermato i numeri positivi degli ultimi anni: più prodotti fregiati con i marchi di qualità, maggiore produzione, crescenti ricadute sul territorio. Con le sue 838 certificazioni, di cui 312 nel solo settore del cibo, le Dop, gli Igp e le Stg sono la punta di diamante del Made in Italy agroalimentare. La Fondazione Qualivita e Ismea hanno raccolto i numeri di questo successo nell’ultima edizione del loro rapporto dedicato a questo segmento dell’economia del settore primario. Ma è un quadro che stride se messo a confronto con la situazione attuale caratterizzata da una congiuntura quanto mai negativa che ha travolto tutti i comparti produttivi.
La Dop economy non è stata risparmiata, con lo stop alla ristorazione e al turismo inquadrati come i fattori più penalizzati. Un’indagine svolta a luglio sempre da Ismea e Qualivita tra alcuni Consorzi di tutela ha rilevato che le difficoltà nella gestione dell’emergenza si sono correlate alla tipologia di prodotto, alla rilevanza dell’Horeca sul fatturato e al peso dei mercati esteri. Le filiere dei prodotti a indicazione geografica hanno reagito in maniera diversa davanti al lockdown. Alcune hanno fatto forza sul loro valore intrinseco mostrando solidità anche in un periodo di crisi, altre hanno compensato il calo delle vendite dell’Horeca con la grande distribuzione e la vendita al dettaglio oppure sperimentando nuovi canali come le consegne a domicilio e l’e-commerce. Le prime stime parlano di cali di fatturati e riduzione dell’export per questo 2020: dalla perdita di oltre 200 milioni di euro dal canale Horeca per i formaggi a un taglio di 30 milioni dell’export dei salumi.
Lo scoppio della pandemia è coinciso con il periodo in cui l’Unione europea stava definendo il futuro dell’agroalimentare, all’insegna di una svolta green del suo sistema produttivo. Il paradigma che si dovrebbe affermare condivide alcune caratteristiche del modello produttivo di Dop e Igp. Il legame con il territorio, la tutela dell’ambiente, la promozione dello sviluppo rurale ben si coniugano con la dimensione della sostenibilità. Le produzioni agroalimentari e vitivinicole a indicazione geografica hanno tutte le carte in regola per poter continuare a svolgere quella funzione di traino di tutto il settore primario, veicolo di valori che trovano rispondenza nelle richieste dei consumatori, anche all’estero: attenzione all’origine, italianità, tradizione, identità nazionale, riguardo per le materie prime, qualità.
Formaggi e preparati di carne i prodotti col maggior valore
Nel 2019 il valore complessivo della Dop economy ha sfiorato i 17 miliardi di euro, in crescita del 4,2% rispetto al 2018. Il suo fatturato è quasi il 20% di quello totale dell’agroalimentare nazionale. Il solo food ha fornito un valore alla produzione di 7,7 miliardi, un dato cresciuto di ben il 54% in dieci anni. Non solo i prodotti blasonati hanno fatto segnare ottime performance, ma anche le piccole filiere: oltre 50 milioni derivano dai prodotti che sono entrati nel circuito Ig negli ultimi cinque anni. Formaggi e prodotti a base di carne continuano a farla da padrona, con un valore alla produzione rispettivamente di 4,5 e 1,9 miliardi (quest’ultimo dato è però in calo). Più indietro le carni fresche con 92 milioni (+0,9%) e 196 milioni al consumo (+0,8%), scontando però la mancata rivalutazione dei prezzi unitari che ha interessato tutte le carni nel 2019.
La top ten delle Ig per valore alla produzione è quindi dominata dai prodotti della zootecnia con l’eccezione dell’Aceto Balsamico di Modena, al quinto posto, e della Pasta di Gragnano, al nono. Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Prosciutto di Parma sono le tre Dop sul podio, seguite dalla Mozzarella di Bufala campana Dop. Tutti questi prodotti hanno registrato un rialzo rispetto all’anno passato.
Anche l’export totale è in crescita (+5,1%), così come quello di cibo. Ha raggiunto i 3,8 miliardi di euro, +7,2% rispetto al 2018. Invariata la graduatoria degli acquirenti più fedeli: Germania e Stati Uniti, seguiti da Francia, Regno Unito, Spagna e Canada. Proprio la presenza del Regno Unito chiama in causa uno dei capitoli che negli ultimissimi anni hanno fatto emergere la centralità delle produzioni a indicazione geografica nelle dinamiche geopolitiche relative al commercio agroalimentare, ovvero la Brexit. Ma questa è solo una delle sfide che riguardano questo comparto, accanto alla riforma della Pac, all’etichettatura, al patto per l’export, alla questione dazi, tutti temi che hanno messo Dop e Igp al centro del dibattito politico-economico, come ha ricordato il direttore generale della Fondazione Qualivita Mauro Rosati.
Anche per le vendite all’estero sono i formaggi a guidare il fronte: i derivati del latte superano per la prima volta i 2 miliardi di euro di valore all’esportazione, seguiti dai prodotti a base di carne, con 600 milioni, un dato inedito anche in questo caso. Nel mercato interno resta il segno positivo: +4,6% considerando solo le vendite a peso fisso. In questo caso Qualivita e Ismea hanno rilevato una tendenza simile nel primo semestre del 2020, con l’incremento degli acquisti al dettaglio dei prodotti certificati del 12%, più del dato di tutto l’agroalimentare (+9,2%).
Le prime cinque regioni superano il miliardo di valore
Nel 2019 la lista dei prodotti a indicazione geografica si è allungata di altre tredici Dop e Igp e anche di un prodotto Stg. Il totale del settore food è ora di 312. Considerando tutti gli allori l’Italia gode del primato mondiale che in Europa la colloca sopra Francia e Spagna. Da questo record beneficia tutto il territorio italiano, tutte le regioni. Lo scorso anno in diciassette regioni su venti le ricadute della produzione certificata hanno incrementato la loro entità. Le crescite maggiori del valore alla produzione sono quelle di Lombardia ed Emilia-Romagna, rispettivamente sopra i 200 e i 100 milioni di euro, ma anche Piemonte e Campania hanno visto incrementare il valore delle filiere Dop e Igp (90 e 82 milioni).
Le prime cinque regioni superano ormai il miliardo: Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana. E anche il Friuli Venezia Giulia sfiora questa soglia. Ma se si considera solo il food la graduatoria cambia: l’Emilia Romagna è in testa prima di Lombardia, Campania, Veneto e Piemonte. Sebbene resti uno sbilanciamento tra Nord e Sud (Sud e isole detengono solo il 15% del valore complessivo), ci sono diverse realtà virtuose su tutta la Penisola grazie ai distretti produttivi e alle diverse categorie radicate sul territorio. La Sardegna, ad esempio, è insieme alla Toscana detentrice della metà del valore totale della carne fresca.
Foto: Pixabay