Utilizzo di erbicidi meno nocivi, riduzione del ricorso a insetticidi chimici e diminuzione delle emissioni di gas-serra: sono questi i benefici per l’ambiente derivanti da 15 anni di coltivazione di piante geneticamente modificate (GM). Benefici che si sommano a quelli che gli agricoltori hanno riscontrato dal punto di vista economico, pari a un guadagno per le aziende agricole di 78,4 miliardi di dollari. A evidenziarli è il settimo rapporto annuale sulle piante GM stilato da Graham Brookes e Peter Barfoot della PG Economics Ltd (Dorchester, Regno Unito), che ha analizzato l’impatto globale delle colture GM dal 1996 al 2010.
L’analisi condotta dagli esperti si è focalizzata sugli effetti economici a livello delle aziende agricole, sull’impatto sulle produzioni, sui vantaggi ambientali derivanti dai cambiamenti nell’uso di insetticidi ed erbicidi e sul contributo delle piante GM alla riduzione delle emissioni responsabili dell’effetto serra. I 15 anni presi in considerazione sono i primi trascorsi da quando le piante geneticamente modificate hanno iniziato ad essere coltivate a scopo commerciale su aree agricole di dimensioni significative. Secondo Brookes in questo periodo “le biotecnologie agroalimentari hanno prodotto costantemente importanti guadagni economici e produttivi, migliorato le rendite e ridotto i rischi per gli agricoltori che hanno coltivato piante GM in tutto il mondo”. Basti pensare che nel solo 2010 i benefici economici netti per le aziende agricole hanno raggiunto i 14 miliardi di dollari, corrispondenti a un aumento medio degli incassi pari a 100 dollari per ogni ettaro coltivato.
Anche se elevati, sia i vantaggi economici, sia quelli ambientali derivano da poche specie coltivate (essenzialmente soia, mais, cotone e colza), che, seppur non numerose, hanno consentito di trarre grandi benefici dalla combinazione delle loro caratteristiche intrinseche e dell’uso di pratiche agricole più efficienti dal punto di vista economico e, allo stesso tempo, più rispettose dell’ambiente. Tuttavia, a fare la parte del leone sono state le varietà di mais e di cotone resistenti agli insetti che nel 2010 hanno portato a una rendita media pari a, rispettivamente, 89 e 284 dollari all’ettaro.
L’analisi di Brookes e Barfoot è scesa nel dettaglio degli effetti dell’introduzione della resistenza agli erbicidi o agli insetti nelle piante GM. Il primo dato ad emergere dall’analisi è la riduzione dei costi di produzione associata alla loro coltivazione. In particolare, le varietà resistenti agli insetti limitano l’uso dei pesticidi e, allo stesso tempo, permettono di migliorare le rese e di ridurre i rischi di produzione. Nel periodo preso in considerazione queste caratteristiche hanno consentito di aumentare la produttività e i guadagni e di mettere in atto metodi di coltivazione più rispettosi dell’ambiente.
I vantaggi economici in termini di riduzione dei costi a carico dell’azienda agricola sono risultati ancora più evidenti nel caso delle piante resistenti agli erbicidi. Emblematico è il caso della soia, che ha consentito ai coltivatori di limitare le spese utilizzando erbicidi a basso costo, ma a largo spettro. Non solo, la coltivazione di varietà di soia geneticamente modificate hanno consentito di abbandonare i sistemi di produzione tradizionale a favore di metodi più innovativi che non richiedono l’uso dell’aratro o lo limitano fortemente. Quest’ultimo fattore ha permesso, da un lato, di aumentare i ricavi e, dall’altro, di ridurre le emissioni di gas-serra dai mezzi agricoli, apportando grandi benefici dal punto di vista ambientale.
Considerate nell’insieme, la resistenza all’attacco da parte degli insetti e all’azione degli erbicidi hanno dato un importante contributo all’aumento delle produzioni mondiali di soia, mais, cotone e colza. Il 60% dei guadagni registrati, pari a 46,8 miliardi di dollari, è, infatti, attribuibile alla riduzione dell’uso dei pesticidi, ad una minore competizione con le piante infestanti e a un patrimonio genetico migliore.
Brookes e Barfoot hanno sottolineato che le loro analisi si sono basate soprattutto su dati di resa e di impatto ambientale corrispondenti alla media dei valori registrati in diverse coltivazioni. Considerando l’impatto economico e ambientale delle piante geneticamente modificate a livello delle singole aziende agricole, ci si può aspettare che i vantaggi siano molto variabili anche all’interno di uno stesso Paese.
Un esempio di questo fenomeno sta nel fatto che i vantaggi sono risultati particolarmente evidenti nei Paesi in via di Sviluppo, in cui il 90% delle aziende è di piccole dimensioni e ha a disposizione poche risorse. A beneficiare dei vantaggi dell’agrobiotech sono state soprattutto l’India e la Cina, dove i maggiori benefici sono attribuibili alla coltivazione di piante di cotone geneticamente modificato.
Tuttavia, anche se il 55% dei guadagni registrati nel 2010 ha interessato proprio i Paesi in via di Sviluppo, analizzando la situazione dal 1996 al 2010 è possibile concludere che i benefici derivanti dall’utilizzo delle piante geneticamente modificate si sono ripartiti equamente tra tutte le nazioni che le hanno coltivate.
Infine, per quanto riguarda l’eterno dibattito sulla diffusione della resistenza agli erbicidi alle piante infestanti, gli esperti hanno evidenziato che la comparsa indesiderata di nuove piante in grado di tollerare, in particolare, l’applicazione del glyphosate è stata promossa dall’uso indiscriminato di questo erbicida da parte di alcuni agricoltori. Per questo motivo attualmente si stanno mettendo in atto strategie di eradicazione delle piante infestanti basate sull’uso combinato di diversi principi attivi. Nonostante ciò, i vantaggi netti derivanti dall’uso delle varietà geneticamente modificate sono stati e continuano ad essere significativi sia dal punto di vista ambientale che da quello economico.
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Silvia Soligon