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Fake news e zootecnia

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Il mondo delle produzioni zootecniche è sotto attacco mediatico ormai da una decina d’anni. Le notizie false, in inglese fake news, hanno contribuito a creare nella pubblica opinione un insieme di convinzioni difficili (se non impossibili in qualche caso) da sradicare. In questo articolo darò conto della difficoltà a definire correttamente cosa siano le fake news e ne tenterò una tassonomia con esempi paradigmatici per ciascuna categoria.

Le fake news

Il temine fake news, letteralmente ‘notizia falsa’, è entrato stabilmente nel nostro lessico da quando, nel 2017, il più famoso dizionario di lingua inglese, il Collins, la dichiarò parola dell’anno. Il suo uso quotidiano, rilevato nei vari media italiani e nella conversazione corrente, non è solo frutto dell’anglofilia linguistica che distingue il Bel Paese, ma nasconde la sua non perfetta traducibilità in italiano. Fake News, infatti, ha assunto nel tempo molti significati quali gossip, bufala, rumor, leggenda urbana, ecc…

La letteratura scientifica sul tema è ricchissima, soprattutto dopo che nel 2016 la campagna elettorale per le presidenziali statunitensi è stata interessata da questo fenomeno in modo massiccio: Google Scholar, il motore di ricerca bibliografico più consultato al mondo, segnala 33.800 paper pubblicati negli ultimi 5 anni su questo argomento. Fra questa imponente massa di pubblicazioni, due in particolare si sono occupate di attribuire un significato non ambiguo al termine utilizzando due tipi di approccio: uno empirico, basato sull’analisi delle definizioni riportate dagli autori di studi specifici; l’altro razionale, effettuato scomponendo il termine in fake e news e analizzandone separatamente la semantica.

L’approccio empirico è stato seguito da Edson Tandoc e colleghi i quali nel 2018 su Digital Journalism hanno pubblicato un lavoro (Defining fake news: a typology of scholarly definitions) in cui hanno classificato le Fake News secondo due domini di fatticità (aderenza ai fatti) e intenzione ingannatrice dell’autore, e due livelli di espressione di ciascun dominio (alto o basso), identificandone sei significati diversi: satira, parodia, propaganda, pubblicità, fabbricazione e manipolazione. I due ultimi, i più rilevanti come vedremo, sono caratterizzati da bassa fatticità e alta intenzione ingannatrice dell’autore, come riportato in tabella 1.

Tabella 1 – Tipologia di fake news secondo Tandoc et al., Digital Journalism, 2018 

 

Intenzione immediata dell’autore di ingannare

Livello di fatticità

Alta

Bassa

Alto

Native advertising, Propaganda,

Nuova satira

Basso

Manipolazione

Fabbricazione

Nuova parodia

L’approccio razionale è stato seguito da Alex Gelfert il quale, sempre nel 2018, ha firmato un lavoro sulla rivista di filosofia Informal Logic dal titolo “Fake news, a definition” da cui leggiamo: “Fake news è la presentazione deliberata di affermazioni (tipicamente) false o ingannevoli come notizie, in cui le affermazioni sono falsificate secondo un progetto”. Seguendo i due metodi, si è arrivati alla stessa definizione: le fake news sono false narrazioni che somigliano a notizie, costruite in maniera da trarre deliberatamente in inganno il lettore. Rispetto ai media tradizionali, i social ne hanno maggiormente e con più velocità favorito la diffusione. Lo stesso Gelfert afferma che “i social online hanno consentito ai fornitori di notizie false di indirizzarle a un pubblico specifico e sfruttare pregiudizi cognitivi ben documentati ed euristiche nel tentativo di indurre in errore i consumatori [di notizie] e spingerli a propagarle ulteriormente”. Questo ha creato allarme più che giustificato. Soroush Vosoughi e colleghi, in uno studio pubblicato su Science nel marzo 2018 (The spread of true and false news online), hanno analizzato la diffusione differenziale di notizie vere e false su Twitter dal 2006 al 2017: i dati comprendono ~ 126.000 storie twittate da ~ 3 milioni di persone più di 4,5 milioni di volte. Gli autori hanno trovato che le falsità si diffondono in modo significativamente più veloce, più profondo e più ampio delle verità in tutte le categorie di informazioni e che gli effetti sono più pronunciati per le false notizie politiche che per quelle, in ordine decrescente, su terrorismo, catastrofi naturali, scienza, leggende urbane o informazioni finanziarie. Contrariamente a quanto da molti creduto, i bot (algoritmi che creano e diffondono automaticamente le fake news) non hanno influito sul fenomeno, dimostrando che le notizie false si diffondono più di quelle vere perché noi umani, non i bot, abbiamo maggiori capacità di propagarle. 

Il gruppo di ricerca italiano guidato da Walter Quattrociocchi dell’Università di Venezia, in una serie di articoli pubblicati sulla rivista Plos One, rende conto di quanto sta accadendo nell’ecosistema dei social. L’autore afferma che stiamo assistendo a questa profonda trasformazione in quanto “l’informazione sta cambiando rapidamente connotati, l’avvento dei social net comporta che la produzione e il consumo dei contenuti sono fortemente disintermediati per cui chiunque pubblica ciò che crede senza una verifica sulla fondatezza o sostenibilità di quanto pubblicato” e si chiede se “stiamo entrando nell’era della disinformazione?”. In uno dei lavori, Emotional dinamycs in the age of misinformation, pubblicato nel 2015, si afferma che “studi quantitativi dimostrano che l’essere umano non è razionale e in un contesto informativo non filtrato prende tutto ciò che più gli aggrada (Confirmation bias). Il web ha facilitato l’interconnessione e l’accesso ai contenuti: ha spinto la formazione di Echo chambers, comunità che condividono interessi e selezionano informazioni secondo una narrazione del mondo condivisa”. Tuttavia, uno studio sperimentale pubblicato quest’anno sulla rivista di scienze cognitive Cognition da Pennycook e Rand (Lazy, not biased: susceptibility to partisan fake news is better esplained by lack of reasoning than by motivated reasoning) conclude che “il pensiero analitico viene utilizzato per valutare la plausibilità dei titoli di testa [delle fake news] indipendentemente dal fatto che le storie siano coerenti o incoerenti con la propria ideologia politica. La suscettibilità alle notizie false è guidata più dal pensiero pigro che da un pregiudizio partigiano in sé” dimostrando che di fronte a queste false notizie più che agenti irrazionali siamo semplicemente pigri.

La ricerca su questo argomento ha dato origine ad una vera e propria scienza, come dimostrato da Lazert e colleghi in uno studio apparso nel 2018 su Science (The science of fake news). Gli autori, dopo aver analizzato una ponderosa bibliografia, pongono l’accento sulla sovrapposizione di significato di misinformation e disinformation, la prima risultante da un inquinamento delle fonti con distorsione della fatticità della notizia, la seconda riferentesi a notizie inventate di sana pianta. Dopo aver messo l’accento sul ruolo dei bot, che a loro avviso rappresentano il 9-15% degli account Twitter i quali con 60 milioni di posizioni attive infestano l’ecosistema social, affermano che “gli individui tendono a non mettere in discussione la credibilità delle informazioni a meno che questa non violi i loro preconcetti o che loro non siano incentivati a farlo” e che la gente “tende ad allineare le proprie credenze ai valori della comunità a cui appartiene”.

Nonostante molti autori diano per scontato che sia stato il web a generare l’esplosione di un fenomeno che nel mondo dei media è sempre esistito, pochi ne hanno analizzato a fondo le cause; Bakir e MacStay, l’hanno fatto in un lavoro apparso su Digital Journalism nel 2017 (Fake News and economy of the emotions: problems, causes, solutions) in cui ne individuano cinque: 1) il declino finanziario dei media tradizionali (legacy media); 2) l’incremento dell’immediatezza del ciclo delle notizie; 3) la rapida circolazione di misinformazione e disinformazione; 4) l’incremento della natura emozionale del discorso on line; 5) l’incremento di persone che capitalizzano sugli algoritmi utilizzati dalla piattaforme social o dai motori di ricerca internet. Gli autori avvertono che le soluzioni, anche quelle assunte dalle major del web, non sono sufficienti per contrastare il fenomeno. L’unica via è seguire la moneta (follow the money) depotenziando gli interessi economici pubblicitari che circolano intorno alla clickomania, non solo con accurati fact checking, ma mettendo in guardia i più importanti brand che la loro reputazione è intimamente legata alla qualità delle informazioni veicolate dalle piattaforme su cui agiscono come inserzionisti. In altre parole, se passasse la logica Fake News = Fake Brand, il brodo di coltura finanziario che alimenta questo perverso fenomeno verrebbe enormemente prosciugato.

In conclusione, le fake news sembrano news, ma sono deliberatamente false o fuorvianti (gli errori o la satira non sono fake news) e circolano più rapidamente, penetrando più profondamente nell’ecosistema social in cui bot hanno meno responsabilità del previsto (l’intelligenza artificiale deve ancora imparare a essere maliziosa (maligna?) quanto noi umani); il miglior modo per combatterle è agire sul substrato finanziario che regge il sistema delle falsità attraverso un fact checking orientato a scremare l’attendibilità delle piattaforme social o internet a cui un brand può ragionevolmente affidare la propria reputazione.

Le fake news in zootecnia

Le principali fake news che riguardano la zootecnia si riferiscono a tre categorie: salubrità dei prodotti, sicurezza alimentare, impatti ambientali. Riporto le principali nella tabella 2, con brevi controdeduzioni, pur rendendomi conto che per gli addetti ai lavori sono inutili data l’evidenza da sé delle falsità riportate, ma che possono risultare utili verso l’esterno dell’ambito dei produttori delle filiere zootecniche.

Tabella 2 – Le principali fake news del settore zootecnico

 

Categoria

Tipo

Fake News

Perché è falsa

Salubrità

Misinformation

La carne fa venire il cancro, lo dice l’OMS.

L’OMS, tramite la IARC, ha analizzato il rischio di sviluppare un solo tipo di cancro, quello al colon-retto, sui 156 conosciuti, in relazione a un consumo eccessivo di carne (molto al di sopra di quello italiano). Il rischio assoluto è inferiore all’1% per cui trascurabile.

 

Misinformation

I grassi animali sono nocivi al cuore

Dopo 50 anni di demonizzazione l’Associazione europea dei cardiologi ha stabilito che il consumo di grassi, anche saturi, non è collegato alle cardiopatie.

 

Disinformation

I nitriti dei salumi sono dannosi

I nitriti sono presenti naturalmente in molte verdure a foglia in quantità superiori a quelle riscontrabili nei salumi (dove peraltro sono stati drasticamente ridotti)

 

Disinformation

Noi umani siamo primati erbivori, per cui mangiare prodotti animali è innaturale

L’evoluzione del genere Homo si è spostata sempre più su habitus alimentari che comprendevano il consumo di carne, pesce e uova. La natura ci ha costruito per consumare prodotti di origine animale.

 

Misinformation

Il latte e i latticini sono alimenti da mammiferi neonati. Consumarli in età adulta è nocivo.

L’uomo e l’allevamento degli animali da latte si sono coevoluti. L’innaturalità del suo consumo è inferiore a quella degli altri prodotti dell’agricoltura (frumento, riso, mais, soia, ecc..) che non esistevano nella dieta dell’Uomo fino all’invenzione dell’agricoltura.

 

Disinformation

I grassi animali favoriscono l’obesità

È dimostrato che nelle diete dimagranti il latte scremato e le diete povere in carboidrati e non quelle low fat sono più efficaci nel perdere permanentemente peso

 

Misinformation

Le uova contengono colesterolo per cui il loro consumo fa aumentare la colesterolemia

Recenti ricerche dimostrano che consumo di uova e colesterolemia nell’uomo non sono correlati.

Sicurezza alimentare (safety)

Disinformation

La carne e a volte il latte possono contenere ormoni

Il trattamento di animali con ormoni è vietato in Europa da quasi 40 anni e i prodotti animali importati non ne contengono.

 

Disinformation

I prodotti animali contengono antibiotici per cui provocano l’antibiotico-resistenza

È da più di dieci anni sono vietati gli antibiotici a scopo preventivo. Il loro impiego negli allevamenti è permesso solo ai fini di cura, terapia e profilassi dell’animale, ed è sempre subordinato alla prescrizione medico-veterinaria.

Nelle oltre 44.000 analisi condotte nel 2017 in Italia dalle autorità competenti per la valutazione dei residui di trattamenti farmacologici su animali produttori di derrate alimentari, solo 39 sono risultate positive.

Sicurezza alimentare (security)

Disinformation

Gli animali zootecnici sono concorrenti con l’uomo per gli alimenti

Secondo la FAO l’86% degli alimenti utilizzati al mondo dagli animali zootecnici non sono adatti al consumo umano. Le produzioni zootecniche rappresentano una formidabile macchina per trasformare questi alimenti in proteine e principi nutritivi nobili e valorizzare l’integrazione con cereali e farine proteiche.

 

Misinformation

Le produzioni foraggere occupano terre che possono essere utilizzate per produrre alimenti per l’uomo

Pascoli e foraggere sono coltivati in terreni non coltivabili o con grossi limiti di utilizzabilità agronomica. Il pascolamento e la raccolta dei foraggi ivi prodotti sono per la maggior parte dei casi l’unico modo per valorizzare queste terre ai fini alimentari

 

Misinformation

In Italia mangiamo troppa carne

Le stime ufficiali che danno un consumo unitario di 79,1 kg di carne/anno si riferiscono ai consumi apparenti, che considerano anche le parti non commestibili. In Italia, infatti, in media il consumo reale è di circa 37,9 Kg di carne all’anno per abitante.

Impatti ambientali

Disinformation

Gli allevamenti inquinano più dei trasporti

Secondo ISPRA il solo settore zootecnico, nel 2017 in Italia ha contribuito all’emissione totale di gas serra per il 4,4%, mentre  quello dei trasporti per il 24%.

 

Misinformation

Servono 15.000 litri d’acqua per produrne un chilo di carne bovina.

Le fonti su cui si basano queste stime quantificano il volume di acqua utilizzata e non l’impatto ambientale dell’acqua consumata nella produzione. Ma non tutta l’acqua è uguale: l’acqua presa dalla falda non ha lo stesso impatto ambientale di quella piovana o di quella scaricata. In Italia per produrre 1kg di carne bovina in un allevamento efficiente servono 790 litri d’acqua perché l’80-90% di queste risorse idriche ritorna nel naturale ciclo dell’acqua.

 

Disinformation

Gli allevamenti intensivi sono più inquinanti

L’intensivizzazione dei processi produttivi e l’aumento della produzione unitaria riducono l’impatto per unità di prodotto e, a parità di produzione totale, liberano terreni per destinazioni naturali. Nei suini produrre 2.000 kg di peso vivo per scrofa genera una carbon footoprint di 5,5 kg di CO2eq/kg peso venduto a fronte di 3,5 per un allevamento che ne produce 3.500.

 

Disinformation

Gli allevamenti zootecnici sono uguali alle altre fonti di gas serra

Il metano, il principale gas serrigeno da allevamenti, ha una durata in atmosfera di 10 anni; la CO2 prodotta dalla combustione di carbone, petrolio e gas fossile dura 1000 anni. Inoltre, in Italia le superfici pascolate e coltivate a foraggere assorbono 25 milioni di tons di CO2eq a fronte di una emissione di 20 milioni di tons di tutto il settore zootecnico che pertanto è a credito di circa 5 milioni di tons di CO2eq.

 

Disinformation

Salveremo il mondo non mangiando la carne e gli altri prodotti di origine animale

Non salveremo il mondo non mangiando carne, latte, uova e pesce. Lo salveremo se saremo responsabili e combatteremo l’ineguaglianza e la povertà.

 

 Foto: Pixabay

Giuseppe Pulina